Aprile / Maggio 2005
Anno VI n. 4
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Editoriale

CHI SIAMO

Dalla parte delle formiche

SALUTE
& BENESSERE

Succubi di un'abitudine

Noi cultori dell'health foods

Le vitamine dell'anima

I forzati del fitness casereccio

Letti separati, rinasce l'amore

Forno a legna con le ore contate

CONVERSAZIONI
INNOVATIVE

Vicini...vicini?

Se la vita comincia in soffitta

Due sconosciuti un ascensore e poi...

Bancarelle a "tutto gratis"

AMBIENTE

Benessere a prova di bussola

La casa secondo un click

STILI DI VITA

Ikea, l'uomo che si fece da solo

Il piacere di dedicarsi del tempo

Masochismo che piacere

L'insolito trono

Il colore del guscio

VIVERE
CON SUCCESSO

Casa e bottega

Abitare bene per lavorare meglio

NEWS

Notizie e curiosità dal mondo della salute e del benessere

VITA IN POSITIVO

La firma d'oro del Processo

Arbitro, mestiere o vocazione

Ad ogni quadro la sua cornice

CINEMA

Cinema story

Supersize me

 




Da solo in mezzo al terreno di gioco e senza un allenatore che lo inciti e gli dica cosa fare. Nessuno che faccia il tifo per lui e lo sostenga ma solo la consapevolezza di doversi assumere l'onerosa responsabilità di importanti e cruciali decisioni.
Cosa spinge un uomo o una donna a decidere di diventare arbitro? Per quale motivo invece di fare il tennista, il calciatore o il pallavolista, si sceglie di diventare arbitro di tennis, di calcio o di pallavolo? Di certo non per i guadagni, neanche paragonabili ai compensi miliardari degli atleti. E neanche per vedere la propria faccia sulle pagine dei giornali, dedicate piuttosto ai campioni sportivi (quelli sì, amati dai tifosi!). Allora perché si accetta di assumere un ruolo tanto scomodo e delicato? È forse un delirio di onnipotenza e quindi il bisogno di imporre la propria autorità sugli altri o al contrario è semplicemente l'esigenza di mettere in pratica le proprie inclinazioni all'obiettività, all'imparzialità e al senso della giustizia?
Non è semplice rispondere. Forse entrambe le cose. Perché fare l'arbitro non è solo un mestiere, ma un vero e proprio stile di vita. Se è vero che per intraprendere questa professione si seguono corsi, lezioni e ci si allena duramente, di certo giudici di gara non ci si improvvisa.
Fa parte del carattere. Di un rigore, una disciplina e un senso del dovere che accompagna atteggiamenti e modi di fare anche fuori del campo di gioco. Se non ci si sentisse più che sicuri di saper dominare la propria irritabilità, le proprie emozioni e, più di tutto, l'ostilità generale provocata inevitabilmente dal ruolo che si riveste, la decisione di seguire questo tipo di carriera sembrerebbe una scelta di puro masochismo.
Senza dubbio la pressione psicologia che un arbitro deve essere in grado di gestire è notevole, dal momento che altrettanto forte e percepibile è l'antagonismo dichiarato alla sua funzione.
Ciò che richiede a se stesso, quindi, è un duro lavoro mentale che gli assicuri un perfetto autocontrollo e l'imperturbabilità necessaria a mantenere un'adeguata gestione delle situazioni. Del resto da garante del corretto funzionamento del gioco e giudice supremo tra le parti, il più delle volte è egli stesso a ritrovarsi sotto accusa e giudicato. E' a questo punto che a salvarlo intervengono quel distacco e quel dominio delle passioni che molto probabilmente gli appartengono come propri e ne misurano gesti e comportamenti anche nella vita di tutti i giorni.
Due studiosi di psicologia arbitrale, R. Weinber e P. Richardson, nel loro libro intitolato Psychology of officiating, hanno riassunto in otto caratteristiche fondamentali il lavoro dell'arbitro: motivazione, capacità di relazionarsi, comunicazione, rapidità decisionale, autonomia di giudizio, coerenza, concentrazione e fiducia in sé. Insomma, un impegno che forse non tutti sarebbero disposti a prendersi.
È chiaro quindi che requisiti indispensabili per chi si investe di un tale compito sembrano essere un'indubbia autostima, un'alta considerazione delle proprie capacità gestionali e un' estrema fiducia nel saper discernere ciò che è giusto da ciò che non lo è. E un bravo arbitro sa come farne buon uso, scongiurando il pericolo di abusare del proprio potere. Deve dimostrare che il rispetto non si ottiene indossando una divisa o imponendosi sugli altri, ma rivelando competenza e trasmettendo la passione che lo porta ad assumere, chi sa perché, una posizione tanto ingrata.

(f.d.c.)