Aprile / Maggio 2005
Anno VI n. 4
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Editoriale

CHI SIAMO

Dalla parte delle formiche

SALUTE
& BENESSERE

Succubi di un'abitudine

Noi cultori dell'health foods

Le vitamine dell'anima

I forzati del fitness casereccio

Letti separati, rinasce l'amore

Forno a legna con le ore contate

CONVERSAZIONI
INNOVATIVE

Vicini...vicini?

Se la vita comincia in soffitta

Due sconosciuti, un ascensore e poi...

Bancarelle a "tutto gratis"

AMBIENTE

Benessere a prova di bussola

La casa secondo un click

STILI DI VITA

Ikea, l'uomo che si fece da solo

Il piacere di dedicarsi del tempo

Masochismo che piacere

L'insolito trono

Il colore del guscio

VIVERE
CON SUCCESSO

Casa e bottega

Abitare bene per lavorare meglio

NEWS

Notizie e curiosità dal mondo della salute e del benessere

VITA IN POSITIVO

La firma d'oro del Processo

Arbitro, mestiere o vocazione

Ad ogni quadro la sua cornice

CINEMA

Cinema story

Supersize me

 




Se ci rovisto un po' salta fuori l'impensabile: a ognuno di noi è capitato di metter piede almeno una volta in soffitta. Io lì mi sento un esploratore sulle tracce dei segreti di famiglia. In mezzo alle cianfrusaglie simbolo di qualche esperienza vissuta da un mio caro, in quel posto un po' buio, torno indietro negli anni, immagino storie d'altri tempi. Mi fermo ad ascoltare il silenzio rumoroso che ogni oggetto evoca, e sento il profondo benessere che arriva da lontano. Quei capienti scatoloni e bauli antidiluviani, accatastati l'uno sull'altro così come viene, paiono fortini da violare.
Ho l'impressione di sentire le loro voci roche chiedermi di aprirli. Spunta il mattarello della nonna. Mi pare di rivederla, la "sora Gina" - così la chiamavano i clienti della sua trattoria - affaccendata nel cucinare, servire in tavola, sparecchiare, lavare i piatti. Per poi rifare tutto daccapo. Da bambina la domenica la mamma mi portava da lei. Ricordo che per passare il tempo entravo nella grotta del vino situata nel retro del ristorante, era scura e piena di ragni. Cercavo di restarci qualche secondo in più rispetto alla volta precedente, era un esercizio per esorcizzare la paura del buio.
Non si lamentava mai, la sora Gina, e ascoltarla anche quando finiva una giornata faticosa, era un po` come riassumere mille impressioni di clienti, che si confidavano con lei grazie alla distensione che sa dare un cibo ben preparato. Continuo l'ispezione tra il disordine. Su di una poltrona damascata la coperta grigia mezza sgangherata che, fino all'età di 6 anni, credevo nascondesse un mostro verde pronto a mangiarmi.
Poi la mamma mi aveva mostrato che sotto al plaid c'era solo un vecchio cuscino verde di piume ed il mostro, allìmprovviso era sparito.
Più in là, su un piccolo tavolo in legno scuro, il grammofono: acquista fascino come un bell'uomo con l'avanzar degli anni. Il nonno materno ci ascoltava i dischi jazz. Ho subito l'impressione di riascoltare i suoi racconti sulla prigionia di guerra. Quell'esperienza gli aveva insegnato l'inglese ed mangiare cibo in scatola, ma soprattutto che la vita degli uomini sia è il bene più prezioso.
Torno ad immergermi tra gli i scatoloni (ormai ho preso confidenza, e l'invasione dei ricordi mi procura una calda sensazione di pace) e, sommersi sotto tanti impicci impolverati ecco le lettere d'amore da lui scritte in quei sette anni di lontananza alla nonna. Sgualcite ed un po' scolorite, non le ho mai lette fino in fondo. Forse per pudore o per il gusto di lasciare qualche frase all'immaginazione e poter dire, tra me e me, che il nonno mi ha lasciato un esempio di come amare una donna, anche da lontano, e non voglio turbare questa speranza...
Guardo in là verso il baule dei sogni da femminuccia. Tolgo qualche ragnatela e giro la chiave, dentro i corredi merlettati delle nonne e all'abito da sposa della mamma sotto naftalina. Forse mi sta, ma non è il caso di provarlo: si dice che che puoi restare zitella.
Siedo sulla moquette come uno spettatore sulla poltrona di un cinema multisala. Prendo tutto il tempo per osservare, di nuovo, le foto dei genitori appena nati - le ho guardate migliaia di volte per notare qualche somiglianza sfuggita - quelle dei nonni in viaggio di nozze, dei cugini ai cenoni chilometrici di Natale, delle vacanze al mare con i genitori, di me da piccola, immancabilmente imbronciata. E' come vedere una serie di cortometraggi fatti di ricordi proiettati sulla parete di quella piccola stanza.
Ripongo fotografie ed album, sono irresistibilmente attratta da un cesto in vimini. Quello dei giocattoli. Ecco le Barbie, per niente invecchiate e ancora di buon cuore. Le ho tagliato i capelli per vedere se sarebbero ricresciuti, le ho spennellate con le tempere per abbronzarle e non si sono mai arrabbiate! Poi, Birimbo il bambolotto. Indossa il maglioncino azzurro. Me lo confezionò zia Cecilia ai ferri vedendomi preoccupata che quel figliolo prendesse freddo. Ero piccola e la zia già anziana, viveva con noi durante i mesi più freddi. Il giorno del suo arrivo era di festa, per me. Tra noi c'era una sintonia perfetta, ci piaceva tanto abbuffarci di cartoni al calduccio del camino. Una volta - riferendosi ad una beniamina dei cartoons - pronunciò una frase rimasta storica fra i parenti. "Candy Candy è dimagrita, starà poco bene?". Chiunque, in famiglia, la cita sa che troverà la tenera risata di quelli che conoscono l'aneddoto.
Appeso al muro il tutù di quando a 10 avevo deciso di fare la ballerina, quel sogno è andato riposto nel cassetto "dei tentativi": con quelle gambe, né esili, né aggraziate, non avrei fatto molta strada in quel campo. Vicino la finestra, lì da anni ed anni, la Singer della nonna paterna. Cappelli, costumi da bagno, abiti da sera, cappotti: ha visto di tutto quella cucitrice. Peccato non saperla adoperare. La mia soffitta - calda e confortevole - è come un abbraccio stretto. Piena di cose che vogliono confidarti i sogni di chi le ha usate, a chi sono appartenute. Prima di congedarla cerco quel piccolo baule con la divisa da ciclista del nonno mai conosciuto. Il destino lo ha portato via troppo presto. Chissà come era bello sulla bici... Qualunque foto non potrà mai rendere giustizia al suo splendido viso.
Decido di scendere, mi dico che devo gettare via qualche oggetto, rimando ancora. Tanto già so che non lo farò, neppure la prossima volta. Sono sentimentale, sto bene così..... quei ricordi sono parte di me. Di liberarmene non se ne parla!

Cristiana Ciccolini