Tutti noi, almeno una volta, abbiamo sfogliato uno di quei cataloghi Ikea che periodicamente invadono le cassette della posta. Le prime cose che risaltano sono due: l'originalità del design e la convenienza dei prezzi. Probabilmente le stesse cose risaltano anche agli occhi delle altre migliaia di persone che, ogni giorno, sfogliano in 27 paesi del mondo quel catalogo, tradotto in 17 lingue.
La storia di Ikea è la tipica favola del self-made man, l'uomo che si è fatto da solo. Nel 1943 il diciassettenne Ingvar Kamprad, svedese, decide di fondare una società e, dubbioso sul nome da darle, stabilisce di utilizzare le sue iniziali: I.K. Oggi quell'uomo di anni ne ha quasi 80, ed è ai vertici delle classifiche degli uomini più ricchi del mondo. I numeri del suo impero sono entusiasmanti: 12,8 miliardi di euro di fatturato, 84mila dipendenti, 365 milioni di visitatori ogni anno nei 202 punti vendita sparsi nel mondo. Un fenomeno che si espande sempre di più. I nuovi mercati, con la Cina in testa, stanno accogliendo con enorme entusiasmo i nuovi punti vendita. A livello socio-culturale si tratta di una vera e propria esportazione del modello dello stile di vita occidentale, che a quanto pare "tira" parecchio. Nel Settembre 2004 tre persone sono addirittura morte, schiacciate dalla folla che premeva per accaparrarsi buoni sconto da 150 dollari, in occasione dell'inaugurazione di un nuovo megastore Ikea. Tutto questo a Gedda, in Arabia Saudita.
Ma quali sono i segreti di un tale successo? La vera rivoluzione dell'azienda avvenne nel 1956, grazie all'invenzione dei pacchi piatti. Trasportare un tavolo dopo avergli smontato le gambe ed averlo appunto imballato in un pacco piatto, è molto meglio che trasportare un tavolo intero: richiede meno spazio per lo stoccaggio e per il trasporto e inoltre comporta una maggiore garanzia di evitare danni al prodotto. Tutto ciò riduce i costi, quindi i prezzi. Sempre per mantenere bassi i prezzi, ben sapendo quanto questo fattore pesi sui giudizi dei consumatori, l'azienda annovera fornitori in tutto il mondo, che gli garantiscono materie prime ai costi più bassi possibili, puntando sulla grande quantità.
Una volta tornati a casa, ci si troverà di fronte al fatto di dover assemblare il nuovo acquisto. Per qualcuno montare una libreria in salotto subito dopo averla comprata può essere un divertimento, per altri una scocciatura inutile. Fatto sta che quello è uno dei motivi principali per i quali quella libreria costa poco. Tanto vale impugnare occhiali trapano e istruzioni, magari farsi aiutare dai bambini..
C'è una cosa però sulla quale Ikea non risparmia mai: le idee. Una vera e propria squadra di ingegneri, creativi e designers lavora quotidianamente non solo per progettare nuovi prodotti, ma anche per studiare il modo più economico per produrli.
Il risultato di tutto questo è che la coppietta che abbia deciso di "mettere su" casa, in una sola giornata e a prezzi ragionevolissimi può arredarla tutta, dal lettone matrimoniale allo spazzolone del water, con tanto di consulenze gratuite di esperti di arredamento sempre a disposizione.
In questo modo si spiega un così incontrastato predominio sul mercato, che purtroppo sta avendo ripercussioni sul lavoro di tanti piccoli artigiani, sconfitti in partenza nella battaglia dei prezzi.
Questo è solo uno dei motivi che spingono movimenti no-global a protestare contro la multinazionale dell'arredamento montabile. L'altro grande tema di scontro è, come sempre in questi casi, quello della globalizzazione. E' giusto esportare in tali proporzioni uno stile di vita che potrebbe soppiantare le diverse culture del globo? L'argomento è complesso e non si può liquidare in poche righe. Certo è che il rischio dell'omologazione è da tenere ben presente: entrare in casa di uno studente di Shangai e trovarsi di fronte lo stesso arredamento scelto dalla casalinga di Viterbo, in effetti, sarebbe un po' triste.
Riccardo Staroccia
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