Vanno bene i blocchi del traffico, così come il divieto di fumo in tutti i locali pubblici, ma lasciateci almeno la pizza margherita. Quello che è considerato uno degli alimenti preferiti dagli italiani, infatti, corre il serio rischio di estinzione. Tutta colpa di un decreto che dal prossimo autunno impone delle regole ferree a tutti gli esercizi che dispongono di un forno a legna. Sotto accusa è l'utilizzo del carbone e della carbonella, responsabili della formazione di ossido di azoto, di carbonio e di cloro. Il decreto "incriminato", che risale al 2002, è entrato in vigore lo scorso marzo ed obbliga i pubblici esercizi destinati alla ristorazione a rispettare determinati livelli di emissione di sostanze inquinanti. Livelli che dovranno essere annotati su un apposito "libretto di impianto", come si dovrebbe fare con le caldaie domestiche. Come a dire: passate al forno elettrico che è meglio. I limiti di emissione fissati dal provvedimento variano a seconda della potenza complessiva dell'impianto e vanno da 150 a 100 milligrammi per metro cubo per l'ossido di carbonio; da 300 a 200 per l'ossido di azoto; da 30 a 20 per il carbonio; 30 i milligrammi per metro cubo per i composti inorganici del cloro sotto forma di gas o vapori. Numeri espressi in onore della cronaca ma che non cambiano la sostanza delle cose.
Se da una parte è giusto difendere qualsiasi misura che mira alla salvaguardia della salute, dall'altra non si può nascondere la critica all'eccessiva severità di un decreto che non guarda in faccia i sapori tipici e le tradizioni della nostra penisola. Ci vogliono far intendere che un'innocente pizza alla pala, cotta rigorosamente tra i mattoni, possa trasformarsi in una piccola bomba ecologica. Bene, dobbiamo essere fieri di tutte queste attenzioni per la nostra salute. I signori che ci governano ci vogliono così bene, da impedirci di gustare una bella grigliata di carne cucinata in un forno alimentato a carbone e carbonella pur di non farci respirare l'aria cattiva.
Il forno a legna sale sul banco degli imputati al pari delle automobili, delle sigarette e delle ciminiere delle industrie. L'aria diventa sempre di più irrespirabile ed è necessario quindi correre ai ripari, perché in una società che da decenni ha fatto pochissimo per arginare l'inquinamento, ora qualsiasi provvedimento restrittivo è visto come la panacea per sconfiggere il male. Poco importa se a rimetterci possa essere uno dei piatti che fa della cucina italiana la numero uno al mondo: la pizza, appunto. Se non ci sarà una deroga, dal prossimo autunno le attività che non possiedono un forno a legna "ecologico" potrebbero essere costrette a passare a quello elettrico. Assisteremo così al trionfo della tecnologia sull'artigianale. Di colpo spariranno dalle insegne di ristoranti e pizzerie le diciture che reclamizzano il particolare tipo di cottura, che rende unico il sapore della margherita o di una bella bistecca cucinata alla griglia. Il gusto sarà sacrificato sull'altare della ricerca e del laboratorio. Lo sanno anche i bambini che l'elettricità rende i sapori standardizzati, ma ci dovremo fare l'abitudine e con il tempo non ci faremo più caso. La pizzeria di Marione farà le stesse pizze di "Spizzichino" e di tutti quei locali aperti in franchising un po' ovunque. Non sarà più l'arte del pizzaiolo a fare la differenza, perché tutto sarà affidato a manopole e termometri più o meno sofisticati. L'ardore delle braci lascerà il posto alla tecnologia e all'innovazione. E del gusto che ne sarà? Non possiamo negare che il forno elettrico non garantisca una buona, uniforme e gradevole cottura. E' lo standard che ci fa sorgere qualche dubbio: quel sapore poco biscottato del prodotto "elettrico" non è paragonabile nemmeno lontanamente all'emozione di assaggiare una fetta di pane appena cotto a legna, come si faceva una volta, quando il forno sembrava una tradizione inattaccabile dai lumi del progresso.
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