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Il rifiuto di guarire

Se non vuoi prenderti cura di te stessa sarà ben
difficile che tu guarisca dalla tua malattia.
(Nichiren Daishonin, dal Gosho "Il prolungamento della vita")


Il rifiuto di guarire, prendersi cura di se stessi, bisogno d'affetto o stare al centro dell'attenzione, la malattia diventa in qualche modo utile 

Come ben sa chi ha lunga e profonda esperienza di malati, esiste talora un paradossale attaccamento alla malattia. I motivi possono essere vari: bisogno d'affetto o semplicemente di stare al centro dell'attenzione, valvola di sfogo di un rapporto di coppia insoddisfacente, alibi sempre pronto e inconfutabile per rifiutarsi di fare il proprio lavoro, ricerca di un ruolo qualunque, magari del malato inguaribile, per dare peso alla propria esistenza.

In questi casi la malattia diventa in qualche modo "utile" ed è logico che chiunque tenti di togliergli la malattia viene visto da questo tipo di malato come un nemico da evitare se non da combattere. Tipico di questi pazienti è il loro peregrinare da un medico all'altro, da un ospedale all'altro, sempre scontenti di tutti ma soprattutto pronti a difendere con tutte le loro forze "la malattia" da quegli operatori sanitari (medici o non) che diano segni di averla compresa e di poterla eliminare.
Qualunque orario o giorno della settimana per effettuare visite od esami non va bene "per impegni di lavoro", al lavoro viceversa non possono fare questo o quello "a causa della loro malattia".

Il rifiuto di guarire in campo ginecologico si traduce nel rifiuto di quegli specialisti (uomini o donne che siano) che per la loro lunga ed approfondita esperienza, magari ospedaliera, sarebbero i più indicati a risolvere in breve tempo il problema. La richiesta di un gran numero di donne: "non toccare la mia malattia" ha generato una nuova figura professionale: "la ginecologa".
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Non sempre donna, ma rigorosamente mancante di esperienza ospedaliera e/o in genere clinico-chirurgica, la ginecologa racchiude in sé le nuove (?) tendenze new age con ruoli del tipo "la dottoressa Giò" od
"un medico per amico" delle fictions televisive.
La donna che entra nello studio privato della ginecologa sa che difficilmente ne uscirà con la prescrizione di esami invasivi che potrebbero avvicinarsi troppo alla sua malattia né tanto meno le verranno date indicazioni ad interventi in grado di eliminarla, magari in day hospital.
Paziente e ginecologa recitano ruoli prestabiliti:
"Io sono una persona emotiva" - "Il suo è un problema psicologico", e si viene a costituire un vero e proprio sanga1 della religione new age. Contrariamente alla dura realtà della vita, per la comunità di credenti tutto è dolce: la malattia, la medicina, il parto. Esistono però, mai affermate, regole ben precise, anche molto dure.

Una delle più importanti è quella di non ammalarsi mai di patologie che richiedano interventi chirurgici specie se tale malattie si manifestano dopo anni di "cure" inutili ed esami non effettuati. Quando ciò accade viene posto in essere un vero e proprio processo di disconoscimento con l'immediata espulsione della paziente dal sanga.
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La presenza di un tale malata all'interno della comunità minerebbe alla base l'unità dei credenti, sollevando dubbi sui presupposti stessi di quella "religione". Sola e disorientata la donna è costretta a rivolgersi agli odiati ginecologi-ghe tradizionali magari ospedalieri i quali oltretutto, in poche sedute, possono privarla della tanto amata malattia.

 
A questo punto la logica vorrebbe che la paziente aprisse gli occhi e si rendesse conto di essere stata truffata economicamente e tradita proprio sul piano di quel rapporto personale a cui Lei e gli altri credenti avevano dato tanta importanza ma poiché alla base di tutto c'è il suo rifiuto di guarire e l'attaccamento alla malattia preferisce odiare il medico che l' ha guarita.

Qualche volta questo gioco finisce tragicamente, ma questo è un altro discorso.


1Comunità di credenti.

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Ultimo aggiornamento 21/10/2002

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