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TORINO - Il massimo della pena. E' questo il prezzo da pagare per quel 21 febbraio nella villetta di Novi Ligure. Il magistrato Livia Locci ha letto le 76 pagine che aveva preparato in questi mesi, dentro c'erano tutti i dettagli possibili sull'orrore della della notte in cui furono trucidati Susy Cassini e suo figlio
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Gianluca, che aveva 12 anni. Ha parlato per quattro ore, tre per la ricostruzione del delitto, basata sui rilievi fatti dai Carabinieri, mezz'ora a testa per definire i due ragazzi "sani di mente al momento del fatto". Poi, il magistrato ha raccolto le forze. E ha detto qual è il prezzo da pagare: vent'anni di carcere per Erika, 16 per Omar. Una mazzata, di più non si poteva chiedere (la richiesta è stata fatta tenendo conto della diminuzione di un terzo della pena dovuta al rito abbreviato, si partiva quindi da trenta e 24 anni). "Per i minorenni - ha detto Livia Locci - non c'è l'ergastolo e la condanna richiesta, pur dura, è adeguata all'età degli imputati". Non una parola in più. Durissima. Ha riconosciuto tutte le aggravanti, dalla premeditazione per entrambi gli omicidi, al rapporto di parentela, fino alla continuazione del reato di duplice omicidio con quella della simulazione. Nessun sconto per Erika, soltanto l'attenuante della minore età, mentre per Omar è stata chiesta l'applicazione delle attenuanti generiche, il premio per il suo comportamento, ritenuto più "sincero e collaborativo" in questi mesi.
Erika è rimasta incredula, poi ha fatto l'unica cosa che poteva fare: piangere. "Non è giusto, non è giusto", avrebbe detto. Singhiozzi lunghi, inarrestabili anche dal padre, che è rimasto quattro ore in corridoio, fuori dall'aula, per poter abbracciare quella figlia che gli ha tolto tutto e dirle: "Fatti coraggio, devi essere forte". Dall'altra parte dell'aula, Omar si è pietrificato, dice chi c'era. Non ha avuto la forza di rimettersi a sedere, è rimasto fermo, e basta. Si è girato, ha cercato con lo sguardo i suoi genitori, ma non ha trovato nessuno. Adesso che tutto sta finendo, è tutto troppo difficile da sostenere, Maurizio Favaro e sua moglie sono rimasti a casa, non ce l'hanno fatta. E' stata dura anche per gli avvocati. "Non ce l'aspettavamo", hanno detto i legali di Omar, in silenzio quelli di Erika. Oggi tocca a loro: le arringhe puntano sull'incapacità di intendere e volere, una tesi che ieri la pm Locci ha demolito con durezza, facendo una serie di critiche "di livello metodologico" alle osservazioni dei consulenti della difesa. "Nei due ragazzi sono completamente assenti elementi patologici", ha detto il pm, che ha messo in evidenza il loro rapporto "particolarmente efficace con la realtà", escludendo che possano essere ritenuti parzialmente o totalmente infermi di mente o immaturi.
Il peso di quell'orrore, ieri era tutto lì, in una piccola aula del Tribunale dei minori di Torino. Fuori, il gelo, le telecamere e i giornalisti, e dentro ancora gelo, un silenzio spaventoso mentre un magistrato minuto dalla voce gentile faceva rivivere quell'atrocità. Livia Locci ha raccontato, ha spiegato il movente "la competitività esasperata che si era ormai sviluppata tra madre e figlia all'interno della famiglia De Nardo". E' stata drastica sulla premeditazione, "evidente dai colloqui tra i ragazzi il pomeriggio del massacro e dall'acquisto del topicida", ha messo in risalto il comportamento dei due dopo la strage, Erika che incolpa gli albanesi, Omar preoccupato di disfarsi degli abiti sporchi di sangue. In mezzo, ha raccontato un orrore ormai già sentito, le perizie dei carabinieri che attribuiscono "uguale partecipazione dei due imputati" al delitto.
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Omar avrebbe maggiormente infierito su Susy Cassini, Erika sul suo fratellino,
"ma sempre in stretta collaborazione".
Però non è stato soltanto un lungo elenco dell'orrore. Per la prima volta in questa storia,
c'è stata anche della pietà.
Per chi non c'è più, per chi è morto in maniera allucinante e
in questi mesi è rimasto sul fondale, come in una poesia di Eugenio Montale.
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Livia Locci si è
commossa leggendo alcuni versi del "Primo gennaio", e li ha dedicati alla madre di Erika:
"So che si può vivere non esistendo, emersi da una quinta, da un fondale, da un fuori che
non c'è, se mai nessuno l'ha veduto, so che si può esistere non vivendo, con radici strappate da
ogni vento...".
Anche nella morte, ha detto il magistrato, questa donna è stata "oscurata" da chi le è sopravvissuta e l'ha uccisa. "Ma Susy Cassini - ha detto Livia Locci -, è morta due volte come mamma: come madre di Erika perché, essendo donna di profonda eticità che cercava di trasmettere dei valori e il suo esempio alla figlia, non è riuscita; e come madre di Gianluca, perché suo malgrado quella sera non ha potuto, nel primo istinto di una madre, proteggere il suo cucciolo". E mentre il magistrato pronunciava queste parole, in aula c'era soltanto silenzio.
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