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FRANCESCA ZAJCZYK, candidata a MILANO, nella lista per l’Ulivo


Professoressa ordinaria di Sociologia Urbana, da anni impegnata nella ricerca e nell'insegnamento di una serie di temi relativi alla città contemporanea e alle sue trasformazioni, con alcuni approfondimenti sulla realtà milanese: ha analizzato il fenomeno della povertà urbana, quello del cambiamento dei quartieri, e dei quartieri periferici in particolare; ha condotto studi sulle politiche temporali e sui tempi della città, con particolare riguardo a quello della conciliazione del tempo di lavoro e del tempo di vita, soprattutto per le donne.

Da alcuni anni ha cominciato ad occuparsi del problema della scarsa presenza delle donne nei luoghi decisionali dell'economia e della politica, non si definisce femminista, ma semplicemente attenta ai problemi delle donne.

Nata nel 1947 a Silvi Marina (Pescara) da mamma abruzzese e papà polacco. Il papà era medico condotto, arrivato in Abruzzo in confino, in quanto antifascista ed ebreo. Nel 1950 per sfamare e far studiare lei e la sorella decise di trasferirsi a Milano con tutti noi; qui ha continuato a fare il medico, in strutture pubbliche.

Ha fatto tutti gli studi a Milano e si è laureata, a pieni voti, in giurisprudenza alla Statale, ha conseguito il titolo di avvocato, ma successivamente si è dedicata alla Sociologia.

Sposata con due figli, che hanno intrapreso gli studi di Scienze politiche e di giurisprudenza.

Zajczyk Il suo programma visibile al sito: www.francescazac.it:

FAVORIRE la qualità dei tempi di tutte le sue popolazioni

VALORIZZARE le sue risorse umane e culturali

CONCILIARE gli interessi della vita famigliare con quella lavorativa

FACILITARE la mobilità di tutti i suoi cittadini

MIGLIORARE gli orari e la distribuzione dei servizi nel centro e nelle periferie

PROMUOVERE innovazione organizzativa e tecnologica nell'accesso ai servizi

Incuriosita dai contenuti, che sembrano essere molto attuali, e stuzzicata dalla mail che ha inviato ai colleghi della Bicocca, di cui io faccio parte, la chiamo e le chiedo una breve intervista. Nonostante i miei sei anni in Bicocca, è la prima volta che ci scambio due parole; così temo di incontrare una cattedratica, tutta dialettica e sapere e invece, con grande stupore, anche leggendo il sito, la trovo una persona veramente alla mano, concreta, pratica, di linguaggio piano e attenta ai problemi della gente. Ancora gli intenti sono di massima, così nella mia intervista cerco di portarla su qualche proponimento concreto.

Ci tiene a fare una premessa. Negli anni ’90 con la giunta Borghini, Paola Malacorda propose una nuova figura: l’Assessore ai tempi della città, in attuazione di un disegno di legge degli anni ’80, che avevano proposto le donne del PCI. Al centro di questo progetto vi era infatti la necessità di organizzazione del tempo, con la percezione della difficoltà per le donne di vivere vita pubblica e vita privata, non senza strappi e difficoltà. Le donne iniziavano a soffrire del lavoro di cura, con figli ed anziani, unito al lavoro esterno, quello per il mercato, perchè allora l’organizzazione del tempo, della città e dei servizi, funzionava in maniera molto rigida. Così questo assessorato doveva affrontare la politica delle persone e lanciare idee innovative incentrate sull’alleggerimento di questa duplice difficoltà.

Il progetto tuttavia rimase nel cassetto, per le tre successive giunte: leghista e quelle di Albertini, mentre già diveniva realtà in altre città italiane ed europee.

Si dovette aspettare fino alla legge 53 del 2000, per la previsione di un Ufficio per i tempi e gli orari della città e dei cittadini, nei comuni con più di 30.000 abitanti.

La Regione subito promulgò un bando a cui i Comuni potevano partecipare per presentare progetti di azione utili per la costituzione di tale ufficio.

Z. trova interessante rilanciare questa idea e proporla tra i suoi intenti politici, in quanto ritiene necessaria l’attenzione trasversale alle politiche temporali, sui diversi settori di intervento.

Ritiene necessaria una conciliazione di microazioni, che possono aiutare i suoi cittadini e le donne a far convivere impegni di lavoro e privati.

Riguardo al punto 5 del suo programma, molto sentito a Milano: facilitare la mobilità, le chiedo come intende affrontarlo.

“L’ecobus”, mi risponde, “è un esempio. Boffi ed io ci siamo impegnati molto per ottenerlo nell’Università, sentendolo come un mezzo atto a favorire la mobilità di chi studia e lavora all’interno del campus. L’amministrazione si è dimostrata alquanto indifferente alla proposta, a differenza del Consorzio trasporti di Sesto San Giovanni, che ha fornito l’automezzo. Tuttavia ora circola, anche se il percorso è limitato e i tempi attesa di circa venti minuti, in quanto vi è un solo automezzo a disposizione.

Le faccio presente di quanto siano trafficate le strade milanesi la mattina, nonché le tangenziali, occupate da auto, con una sola persona, e le propongo il car pooling, l’uso tipicamente anglosassone o tedesco, di usare un’auto di proprietà, per quattro persone, in modo da ridurre tempi e costi, nonché rischio di inquinamento atmosferico. Ma….mi dice richiede un’idonea maturità culturale, difficile attuarla in Italia. Piuttosto propone di potenziare i mezzi pubblici extraurbani e l’uso della bicicletta, purchè vengano potenziati adeguati percorsi ciclabili.

Anche per il car sharing manca un’adeguata maturità.

Le chiedo infine, se si ritiene femminista. “No”, mi dice, “semplicemente sono una sociologa, studiosa dei problemi concernenti la povertà e i tempi delle donne. La mia ricerca, nonché approccio di genere, è stato frutto della maturità. Ne ho fatta una in particolare sulle elitè locali, fatte da donne che lavorano in posizioni importanti, ma vengono escluse dai ruoli decisionali, per svariati motivi. Arrivano ad un certo punto della loro carriera, ma non raggiungono il “tetto di cristallo”.

“Perché lei ritiene che per una donna sia così importante arrivare a vette così alte della carriera, o che spesso si hanno grandi difficoltà e minori gioie rispetto ad un risvolto affettivo del lavoro di cura?

Quale soluzione a questo dilemma, che spesso si pone di fronte alle scelte di vita delle giovani donne?”

Non ho soluzione; tuttavia penso che il problema sia da ricollegarsi ad una necessità di consapevolezza che le donne devono acquisire in merito alle difficoltà connesse alla vita lavorativa e privata, che in una metropoli devono affrontare.

Non parlo di discriminazioni, ma di una questione culturale. Anche noi genitori abbiamo favorito questo peso che le giovani donne devono portare, con il rischio di diventare delle eroine, della famiglia e del lavoro. E’ la donna stessa, che spesso lo pretende. Bisognerebbe quindi lavorare su una condivisione dei compiti di cura nella coppia

Altro problema culturale è connesso alla visibilità pubblica. Spesso l’uomo accetta a fatica la visibilità della donna.

“E suo marito?” “Mio marito” dice, “io non voglio essere secondo a nessuno, ma a te si. Sono ben contento e mi fa molto piacere poterti aiutare in questa candidatura”.

Sull’ultimo punto, circa l’innovazione organizzativa e tecnologica inerente i servizi, ritiene di dover velocizzare processi e servizi attraverso l’uso dell’informatica, come nelle operazioni di sportello pubbliche, che propone di utilizzare anche nell’e-work, per ridurre l’impatto del rientro dalla maternità per le donne, e agevolare alcuni soggetti nella gestione della propria attività lavorativa, potendola svolgere anche da casa.

(Valeria Cazzaniga)

leggi il programma su www.francescazac.it