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EMILIA EMPRIN GIARDINI (Rifondazione Comunista) - Intervento del 3 aprile 2006


1. RAPPRESENTANZA
In che modo è possibile garantire una presenza reale delle donne nelle istituzioni? E'necessario intervenire con misure specifiche e quali?

La presenza delle donne nei luoghi della decisionalità politica deve essere assicurata anche ricorrendo ad automatismi, come le norme antidiscriminatorie, che la definizione di “quote rosa” mortifica. Va sottolineato che non è solo questione di rendere una elementare giustizia alle donne: la presenza è cosa diversa dalla rappresentanza, e le due cose non vanno confuse. La rappresentanza, come la cittadinanza, sono state pensate e costruite da uomini e devono essere rivisitate e riattraversate da una soggettività di donne e di uomini consapevoli che le scelte – tutte le scelte politiche – non sono “neutre”, ma sono connotate da un punto di vista di genere, li chiamano in causa in quanto parte maschile e parte femminile della società. Nello stesso tempo, la rappresentanza di genere si intreccia con appartenenze sociali, storie, percorsi e progetti politici che sono diversi: nel mio caso, con il progetto politico di Rifondazione comunista e del Forum delle donne del Prc.

2) PARI OPPORTUNITA'
Le politiche di pari opportunità possono interagire proficuamente con la politica tout court e come?
Non credo che sia in primo luogo questione di strumenti, ma di orientamento politico e culturale: se le politiche di pari opportunità non sono orientate dalla riflessione e dalla soggettività politica di genere esse sono a rischio di omologazione in una concezione di cittadinanza pensata e agita dagli uomini, restano prive della necessaria forza trasformativa dei rapporti politici, civili, economici e sociali tra uomini e donne.

3) FAMIGLIE
Quali politiche familiari sono necessarie perchè le donne possano raggiungere una effettiva conciliazione di tempi di vita e di lavoro?
A mio giudizio continuare a pensare alla conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro delle donne non risolve il problema. Queste politiche non risolvono la contraddizione tra sfera della vita lavorativa retribuita e sfera della cura, che continua ad essere concepita come compito essenzialmente femminile, e continuano a concepire la famiglia, e il ruolo socialmente assolto dalle donne in famiglia, come il luogo e la funzione quasi esclusivi della solidarietà materiale tra i sessi e le generazioni: la famiglia “gamba nascosta” dello Stato sociale, come l’ha definita Chiara Saraceni. La generalizzazione della precarietà delle condizioni di lavoro e della vita, alimentata dalla politica economica e sociale del governo delle destre, l’assenza di una politica economica e sociale a sostegno dei redditi da lavoro e di interventi di contrasto dell’impoverimento e dell’esclusione sociale di strati sempre più ampi di popolazione, l’assenza di una nuova politica sociale per la casa, la mancanza di una riforma degli assegni familiari adeguata alla presenza di bambini e bambine, di asili nido e di servizi domiciliari per le persone non autosufficienti, ha reso esplosiva questa contraddizione: le donne italiane mettono al mondo sempre meno figli, sottraendosi a un modello di sviluppo in cui la riproduzione umana continua a essere affidata al loro sacrificio, alla catena della solidarietà intergenerazionale tra le donne in famiglia, cui oggi si affiancano lavoratrici migranti, nelle forme di lavoro precario e flessibile previste dalla legge Bossi/Fini, che ha coniato il brutto termine di “badantato”: un’idea custodialistica della risposta ai bisogni di cura e di assistenza che con le politiche delle destre è andato estendendosi dalla famiglia a tutti i servizi, facendo perdere sia la qualità pedagogica e relazionale che aveva connotato il riattraversamento dello stato sociale da parte dei movimenti politici delle donne nel secolo scorso, sia valore economico e retributivo alle prestazioni nei servizi sociali: basti pensare al fenomeno delle “esternalizzazioni” dei servizi” pubblici al ribasso del costo del lavoro, indotte dal blocco delle assunzione e dai tagli dei trasferimenti agli enti locali. Tutti gli interventi di politica economica e sociale che ho citato sono indifferibili e costituiscono un preciso impegno nel programma dell’Unione, ma dovremo fare un passo avanti. Dobbiamo indagare, conoscere e misurarci con la radicalità che ha assunto la contraddizione tra lavoro e vita: non solo e in primo luogo la maternità tutelata, ma l’intera sfera delle esistenze quotidiane, il presente prima ancora del futuro, sono messi radicalmente in discussione dal binomio flessibilità del lavoro/competitività dell’impresa, e mettono a tema la questione del rapporto tra lavoro e reddito di donne e uomini.
L'idea di famiglia si sta allargando a comprendere nuove soggettività, come riconoscerle e valorizzarle?

Penso alle famiglie ricostituite e alle convivenze di fatto, indipendentemente dall’orientamento sessuale e dal genere dei conviventi: il riconoscimento giuridico delle unioni civili, o Pacs, è un atto dovuto nei confronti di relazioni già ampiamente praticate e riconosciute nelle relazioni sociali, una politica antidiscriminatoria che nulla toglie alla famiglia tradizionale.


4) ISTRUZIONE/FORMAZIONE
A quale idea di formazione e istruzione si deve lavorare nel nostro paese?

Il diritto all’istruzione, come quello alla salute, deve essere esteso al più alto numero di persone possibile, e viene prima della formazione, che ha finalità e obiettivi diversi dall’istruzione. Il programma dell’Unione prevede l’elevazione dell’obbligo scolastico fino al 16° anno di età, ma la società è oggi più matura e consapevole e ci sono le condizioni per elevarlo sino a 18 anni, lasciandosi definitivamente alle spalle la controriforma Moratti e la regressione politica e culturale che rappresenta: in questi anni c’è stato uno sfondamento dell’articolo 33 della Costituzione, attraverso la costruzione di un sistema di istruzione in scuole statali e paritarie, con un aumento incontrollato del finanziamento indiretto delle scuole private e tagli indiscriminati alla scuola pubblica, laica, inclusiva, fondata sulla libertà di insegnamento, sul dialogo, il riconoscimento e la convivenza tra giovani con storie, appartenenze sociali, culture, convinzioni religiose diverse, sull’inserimento e il sostegno delle alunne e degli alunni con handicap. La scuola della Moratti va di pari passo con la legge 30: di qui la precarietà del lavoro, dall’altra parte il doppio canale nell’istruzione, che circoscrive la mobilità sociale, la prospettiva di un miglioramento delle proprie condizioni di vita.

5) VIOLENZA
Da un punto di vista legislativo ritiene sia stato fatto abbastanza contro la violenza oppure è ancora necessario intervenire e in che modo? Cosa si può fare a livello di prevenzione?

Le politiche delle destre si sono rivelate del tutto inadeguate rispetto alla domanda di sicurezza da parte della collettività, a forme vecchie e nuove di violenza, all’iniquità del sistema economico mondiale, all’escalation della guerra preventiva e permanente, al rispetto della legalità, al contrasto della criminalità economica, alla lotta alle grandi organizzazioni criminali, la mafia, la ‘ndrangheta, la sacra corona unita,la camorra e le nuove mafie che uccidono e soffocano la vita civile, mettendo a rischio la stessa convivenza civile e la democrazia, e sono ricorse all’uso delle forze dell’ordine per operazioni repressive del tutto ingiustificate, come la vicenda di Genova nel 2001, di cui al di là degli aspetti giudiziari vanno chiarite le responsabilità politiche, attraverso l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta. Occorre superare la logica per cui la risposta è data dalle politiche di ordine pubblico e repressive, la prevenzione deve integrarsi con una nuova politica economica e sociale che punti a ricostruire i legami sociali. Voglio anche aggiungere che quando si parla di violenza resta sempre oscurato il versante della violenza sulle donne, che è la prima causa di morte delle donne nel mondo ed è violenza, certo, fomentata dal riemergere, nell’era del neoliberismo e della guerra costituente, degli integralismi religiosi, nazionalisti ed identitari, ma resta violenza esercitata dagli uomini sulle donne, interroga il genere maschile rispetto ai processi di liberazione e di riappropriazione di se e del proprio corpo da parte delle donne, e richiede un grande investimento politico e culturale.


6) SALUTE RIPRODUTTIVA
Depotenziamento dei consultori e boicottaggio della Ru486. La salute riproduttiva delle donne non sembra sia stata una priorità di questo governo...

L’attacco ai consultori e all’autodeterminazione femminile sul corpo e sulla sessualità, la spinta a riaffermare il controllo sul corpo femminile, rilanciata con vigore negli ultimi anni e con aggressività crescente negli ultimi mesi, anche con l’attacco all’aborto farmacologico, non è un fatto nuovo, ma oggi si ripresenta in un contesto di profonda crisi del pensiero laico, in cui si ripropone una contrapposizione astratta tra “abortisti” e “antiaboristi” che la legge 194 ha superato sul terreno della scelta libera e responsabile della donna. Scelta ancorata alla peculiarità di quella situazione e alla sua umana concreta sopportabilità, riaffermata nelle mobilitazioni che sono seguite all’appello “usciamo dal silenzio” delle donne di Milano. Così come è stata riaffermata l’esperienza dei consultori familiari che l’Organizzazione mondiale della sanità ha recentemente indicato come il modello di servizio più efficace per la salute riproduttiva della donna e dell’età evolutiva. Ciò che ha fatto la qualità dei servizi consultoriali in Italia è stato l’incontro scambievole tra il protagonismo e la partecipazione delle donne e l’esperienza delle operatrici e degli operatori, a partire dalle ostetriche, su cui si è costruito un servizio che ha anticipato la domanda, oggi più consapevole e diffusa, di un nuovo stato sociale, pubblico, sociale e partecipato. Questa peculiarità ha, tra l’altro, contribuito all’assolvimento di un ruolo decisivo dei consultori nella riduzione del carcinoma femminile e dell’aborto, che è progressivamente diminuito grazie all’aumento di conoscenze e di competenze delle donne e delle coppie nel gestire la fecondità e la maternità responsabile. La zona d’ombra rappresentata dal ricorso all’aborto delle donne straniere parla in primo luogo della loro difficoltà ad accedere ai servizi e della necessità di potenziare i servizi di mediazione culturale: infatti è dimostrato che, anche tra le italiane, le donne più istruite e competenti hanno avuto più facilità di accesso ai servizi e tra di loro sui è registrata una riduzione di aborti più rapida e consistente. L’esperienza consultoriale va dunque preservata e, potenziata e riqualificata, come del resto il programma dell’Unione si impegna a fare.

7) MIGRANTI
Il numero delle migranti cresce ogni anno, una popolazione femminile a volte altamente specializzata che non riesce a diventare una risorsa per il nostro paese ma, al contrario, vede lesi i diritti fondamentali, compreso quallo riproduttivo (l'aborto, da ultimi dati istat, è soprattutto delle migranti)

Dai dati relativi all’occupazione delle migranti emerge con chiarezza che la stragrande maggioranza di loro è segregata nei servizi domestici e di cura alle persone, che non riescono a mettere a valore il livello medio alto di scolarizzazione e di formazione professionale che molte di loro possiedono, che le politiche dei flussi ne mantengono la maggior parte nell’irregolarità giuridica e nel lavoro nero. Torna qui il nodo del rapporto tra vita lavorativa retribuita e lavoro di cura, che investe native e migranti, dell’abrogazione della legge Bossi/Fini, del rilancio e della riqualificazione dello stato sociale, del potenziamento dell’offerta pubblica di servizi socio sanitari e assistenziali, del rilancio del Fondo nazionale per le politiche migratorie. Ultimo, ma non meno importante, il riconoscimento del diritto di asilo.

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