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Diritti

L'intervista
2 - L'immigrazione, l'Occidente e i diritti. Intervista a Umberto Melotti

I diritti liberali di fronte alla società multietnica.

Il fenomeno delle leggi manifesto (leggi che non hanno reale applicazione o sono impossibili da applicare) ha un'incidenza sulla realtà dell'immigrazione italiana? Esiste un fenomeno paragonabile in Europa?

Sanatorie, un record italiano. Le leggi manifesto sono un fenomeno purtroppo più diffuso in Italia che in altri Paesi europei. Ho già sopra ricordato il caso delle leggi relative al diritto alla casa e al lavoro. Un'incidenza ancor più marcata sull'immigrazione in Italia l'hanno però esercitata le reiterate sanatorie (quattro in undici anni: un record mondiale che nessun altro Paese c'invidia, per una durata complessiva, dal 1987 al 2000, di dieci anni su tredici).

Tali sanatorie, assieme agli scarsi controlli alle frontiere e sul territorio e ai ricongiungimenti familiari relativamente facili (e, da ultimo, estesi a catena da una sentenza della Corte di Cassazione), hanno avuto notevolissimi effetti di richiamo, per il messaggio implicito che hanno inviato in giro per il mondo ("Venite, anche irregolarmente, tanto poi, presto o tardi, verrete regolarizzati"). Nessun altro Paese europeo ha diffuso con tanta leggerezza un simile "manifesto".

Parliamo di doveri. Le regole liberaldemocratiche occidentali, che esprimono diritti come i diritti civili, la libertà di opinione, di espressione, di religione etc., possono farsi rispettare all'interno delle comunità di immigrati? Che cosa fanno gli Stati perché ciò avvenga?

Il problema del rispetto dei principi liberali nelle comunità di immigrati. Molti dei diritti sopra accennati già vigono anche nei Paesi di origine degli immigrati e sono quindi scontati anche all'interno delle cosiddette "comunità" degli immigrati. Quando ciò non avviene (come nel caso della libertà religiosa, che comprende anche quella di non praticare alcuna religione o di dichiararsi non credente, non riconosciuta in alcuni Paesi che si definiscono ufficialmente "islamici"), anche le "comunità" per lo più non la riconoscono, anche se con esiti fortunatamente non così gravi come nei Paesi di origine.

Lo scarso controllo degli Stati europei. Gli Stati europei non fanno molto per promuovere tale libertà. Peraltro la normativa esistente crea già di per sé una situazione di maggior libertà. Il problema è quindi più sociale che giuridico, poiché dipende dal "controllo sociale" che le "comunità" esercitano sui singoli immigrati.

Quando il controllo delle comunità è forte. Pesante è anche la pretesa di alcune "comunità" d'imporre dei pesanti balzelli agli immigrati, per motivi ideologici o "patriottici". Ciò, ad esempio, è avvenuto al tempo della guerra fra Eritrea ed Etiopia, quando la "comunità" eritrea (controllata da elementi vicini al partito di governo del Paese) ha richiesto onerosissimi "contributi di guerra" agli immigrati eritrei in Italia, non pochi dei quali erano fuggiti qui proprio perché non ne volevano sapere di una guerra così insensata. Anche in questo caso, quel che conta è il "controllo sociale" che la "comunità" può esercitare sui singoli, che in alcuni casi è forte. Da parte degli Stati europei si dovrebbe richiedere almeno un'effettiva gestione democratica delle "comunità" quale condizione per finanziarne strutture e attività. Ma questo controllo, pur previsto dalla normativa vigente, è difficile da esercitare anche nel caso dei partiti e dei sindacati italiani.

(5 marzo 2001)


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