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Inchieste

L'approfondimento
2 - Il caso Napster

Tormenta da anni i sonni delle case discografiche. Nato dall'idea di due studenti, Napster diventa in breve il vessillo della libertà in Rete. Ma la chiusura sembra imminente. Storia e gloria di un mito.

Nel frattempo però il fronte discografico si è incrinato. Alla Bertelsmann (che rappresenta big del calibro di Whitney Houston, Elvis Presley e Carlos Santana) cominciano a sospettare che nel mondo digitale, dove produrre copie infinite del tutto identiche all'originale è un giochetto da ragazzi, la difesa a oltranza del copyright vecchia maniera non è forse la politica più saggia. Forse bisogna rivedere il modello di business tradizionale, basato sul valore della singola copia di un disco (o di un libro, o di un film) trovando il modo di spremere quattrini dai nuovi sistemi di distribuzione online.

Napster trova un accordo. A ottobre dell'anno scorso la Bertelsmann si accorda con Napster, mettendo a disposizione il proprio ricchissimo archivio di musica a patto che la società inizi a far pagare il servizio che finora rendeva gratuitamente. L'esempio viene seguito a gennaio dalla Edel Music Ag, una delle maggiori etichette discografiche indipendenti che rappresenta artisti come i Roxette, Jennifer Page e Phunky.

Una vittoria di Pirro. Ora, la sentenza della Corte d'Appello rovescia di nuovo la situazione a favore dei paladini del copyright. Ma parecchi commentatori (uno su tutti, Jon Pareles dalle prestigiose pagine del New York Times) sono pronti a scommettere che si tratta di una vittoria di Pirro. Per cominciare, l'ipotesi che la distribuzione di musica via Internet sia davvero un danno per la vendita dei cd è tutt'altro che dimostrata. Anzi: secondo la rivista American Demographics l'introduzione di sistemi come Napster ha creato nuove e potenti opportunità per l'industria musicale e i dati più recenti sembrano indicare che lo scambio di file aumenta le vendite di cd, anziché diminuirle. La Greenfield Online, una società di indagine del Connecticut, ha stimato che il 75 per cento degli studenti di college americani scarica musica dal web, il 58 per cento di loro utilizzando Napster. Ma più della metà, finisce poi con l'acquistare il cd. Insomma, la musica si assaggia via web e si compra poi in negozio, un po' come avviene con i campioni che l'industria cosmetica regala a piene mani alle clienti per avvicinarle ai propri prodotti.

La rivoluzione del marketing on line. La sentenza del 12 febbraio stima che il 70 per cento della musica scambiata via Napster è di proprietà delle case discografiche. Ma ciò significa che il 30 per cento degli utenti (che è una bella fetta di mercato) vuole e cerca musica che l'industria non produce. Secondo alcuni esperti, tarpare le ali a sistemi come Napster, significa rinunciare a raggiungere questa massa di consumatori, che oltretutto sono quelli più fedeli, assidui e appassionati. Ma soprattutto, significa ignorare le potenzialità di un sistema di marketing online agli albori, articolato in tre fasi. Primo: connettere e avvicinare i clienti ai produttori. Secondo: generare interesse attorno ai prodotti (ricordate The Blair Which Project, il film che era già un cult prima di uscire nelle sale grazie a un formidabile e sapiente passa parola online?). Terzo: sfruttare i mezzi digitali per seguire costantemente l'evoluzione dei gusti del pubblico.

Gli eredi di Napster. E per finire, rimane il fatto che nel mondo digitale, una volta che il genio è uscito dalla lampada, rimettercelo non è così facile. Se Napster è senza dubbio il sistema di scambio di file di maggior successo, ce ne sono ne sono però altri, primo fra tutti Gnutella, ancora più decentralizzati, difficili da governare o bloccare. E non è difficile ipotizzare che se davvero Napster dovesse chiudere, il popolo della rete si butterebbe sui suoi eredi senza pensarci troppo. E chissà che domani le case discografiche non si trovino a rimpiangere il vecchio nemico.

(26 febbraio 2001)


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