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Inchieste

Il rapporto Italia 2001

Cinque milioni di persone: sono loro le vittime del lavoro sommerso in Italia. Un fenomeno che l'Italia condivide con altre nazioni europee come Grecia, Spagna, Germania, Francia e Gran Bretagna, soprattutto per i settori produttivi a più alta intensità di lavoro, come agricoltura, edilizia, tessile ed abbigliamento, commercio al dettaglio, ristorazione, servizi alle persone.

Quattro operai con casco giallo all'interno di un cantiere

I protagonisti del sommerso. Giovani in cerca di prima occupazione, disoccupati, cassaintegrati, lavoratori in mobilità, extracomunitari non in regola, minori ma anche studenti, pensionati, casalinghe, lavoratori dipendenti ed autonomi con occupazione regolare: sono loro i protagonisti del lavoro sommerso, fenomeno che coinvolge oggi in Italia oltre cinque milioni di persone ed è diffuso in tutto il Paese e in tutti i settori dell'economia, con peculiarità e ricadute sul tessuto sociale diverse. Essendo per definizione un'attività retribuita non notificata alle autorità pubbliche, il lavoro sommerso è difficile da quantificare, e sulla rilevazione dei dati esistono differenze di approccio e di metodologia tra gli istituti economici e le associazioni di categoria che se ne occupano.

Il rapporto Italia 2001. Tra gli ultimi dati generalmente accolti come attendibili, ricordiamo quelli dell'Istat relativi al quinquennio 1992/97, da cui hanno preso spunto numerosi studi. In particolare, il Rapporto Italia 2001 curato dall'Eurispes su dati Istat e proiezioni successive, stima che «l'economia sommersa ha prodotto nel 2000 una ricchezza pari a 550mila miliardi di lire, grazie a quasi 11 miliardi di ore di lavoro. Dei 5.500.000 lavoratori in nero, oltre 2 milioni sarebbero utilizzati nel part time, con un orario settimanale pari alla metà dei lavoratori impiegati a tempo pieno, mentre circa 3 milioni sarebbero impiegati full time. La presenza nel sommerso dei minori riguarderebbe addirittura 300.000 unità, analogamente a quanto accade per gli immigrati clandestini».

I settori colpiti. Il settore che presenta in proporzione la percentuale più alta di lavoro nero è l'agricoltura, con un 73,4 per cento sul totale degli addetti, ma dati Inps relativi al 1999 riportano un aumento del lavoro non regolare nell'area dei servizi a carattere domiciliare, in particolare dell'assistenza e collaborazione domestica in cui, a fronte di una quota reale di prestazioni che si aggira intorno al milione, le posizioni dichiarate nel nostro Paese sono meno di 200mila.

Al di sopra di ogni sospetto: moda e sport. Ma pur tendendo a concentrarsi soprattutto in alcuni settori della produzione quali la citata agricoltura, l'edilizia, i trasporti, i servizi a domicilio, le attività turistiche, il fenomeno del lavoro sommerso è presente anche in aree del mercato apparentemente protette: è il caso del mondo della moda, o dello sport.

Nel sistema moda l'Istat stima circa 170mila lavoratori irregolari, vale a dire non iscritti nei libri paga delle imprese, ai quali vanno aggiunti quelli parzialmente sommersi, regolarmente denunciati all'Inps ma con retribuzioni anche al di sotto del minimo contributivo. Nel Mezzogiorno alle circa 160mila unità di lavoro dell'occupazione ufficiale in questo settore c'è ragione di credere che debbano essere aggiunti altrettanti lavoratori non regolari.

Nel mondo dello sport, si rileva per il '99 un'enorme sproporzione tra i circa 10mila lavoratori ufficiali e gli oltre 600mila a nero, un esercito di volontari e di addetti alle attività commerciali e industriali nel settore delle attrezzature e dell'abbigliamento sportivo.

Le differenze tra Nord e Sud. Un altro dato da rilevare è la differente caratterizzazione del sommerso tra Nord e Sud del Paese. Nel Mezzogiorno, infatti, il sommerso si presenta con caratteristiche di primo lavoro e di reddito di sopravvivenza, coinvolge disoccupati, giovani in cerca di prima occupazione, donne e lavoratori adulti costretti ad uscire dal circuito produttivo, mentre al Nord prevale come doppio lavoro, soprattutto dei pensionati ancora giovani che offrono collaborazioni in nero, ma anche come parziale occultamento di ore lavorative di occupati regolari e come impiego saltuario. Al Sud sono prevalenti gli occupati irregolari, vale a dire lavoratori mai registrati, e l'economia sommersa si presenta nelle modalità del lavoro a carattere continuativo, di aziende completamente a nero, di piccole imprese con un'ampia fetta di lavoro non dichiarato, di frequentissime violazioni salariali e contributive.

Il quadro europeo. C'è infine da dire che quello del lavoro sommerso è un fenomeno che l'Italia condivide con altre nazioni europee come Grecia, Spagna, Germania, Francia e Gran Bretagna, soprattutto per i settori produttivi a più alta intensità di lavoro, come agricoltura, edilizia, tessile ed abbigliamento, commercio al dettaglio, ristorazione, servizi alle persone. In Italia e Grecia si registrano i valori più alti in termini di quota percentuale dell'economia irregolare sul Prodotto Interno Lordo: circa il 28,5 per cento; seguono la Spagna con il suo 23 per cento e la Germania con il 16 per cento, la Francia (15,5 per cento), e infine Gran Bretagna con il 13 per cento. Anche se in altri Paesi – come l'Austria e la Svizzera - non si supera la soglia del 10 per cento del Pil ufficiale – è indubbio che il lavoro sommerso è un problema diffuso in tutta la comunità europea.

(19 marzo 2001)


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