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Diritti

L'intervista
5 - L'immigrazione, l'Occidente e i diritti. Intervista a Umberto Melotti

I diritti liberali di fronte alla società multietnica.

Se è vero che c'è bisogno di una legislazione sull'immigrazione che superi il concetto di nazione, questa non dovrebbe essere internazionale? Non dovrebbe obbligare tutti gli Stati ed essere scritta da tutti gli Stati?

Il rapporto tra norme internazionali e competenze locali. Una parte della normativa sull'immigrazione è già internazionale (Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, Convenzione di Ginevra sui rifugiati, Convenzione sul lavoro dell'Oil, etc.) o sovranazionale (per l'Unione europea i vari accordi in materia). Questa normativa può essere estesa, ma non dovrebbe eliminare totalmente la sfera di competenza degli Stati nazionali e, in molti casi, delle istituzioni locali (come i Länder tedeschi o le comunidades spagnole o, fuori dell'Unione europea, i cantoni svizzeri). Le competenze locali andrebbero al contrario aumentate.

Negli Stati Uniti non esiste - di fatto - una sorta di cittadinanza multiculturale?

La cittadinanza multiculturale consiste nel riconoscimento, al di là dei tradizionali diritti civili, politici e sociali, di diritti culturali, fra cui il diritto all'identità culturale e il diritto di trasmetterla ai discendenti. Si tratta di diritti importanti, ma anche ambigui (i concetti di "identità" e di "cultura" sono fra i più controversi, almeno in tale contesto). Gli Stati Uniti, ma anche molti altri Paesi (fra cui il Canada e l'Australia), riconoscono tali diritti (del resto presenti, con minor retorica, anche in molti Paesi europei, non esclusa l'Italia).

Caso mai, gli Stati Uniti presentano anche una caricatura della cittadinanza multiculturale, con la diffusa tendenza a un formale rispetto di tutte le diversità, l'istituzione di curricula di studi addirittura grotteschi nelle Università e il ricorso ipocrita a un linguaggio "politicamente corretto" inteso a non urtare le suscettibilità dei più disparati gruppi. Si tratta, in gran parte, di una reazione eccessiva (auspicabilmente solo temporanea) ai misfatti di un passato non troppo remoto, segnato dalla discriminazione razziale, dal predominio sociale e culturale dei wasp, dall'anglo-conformity e dall'assimilazionismo, dissimulato da melting pot (che in realtà ha funzionato sempre poco e male).

L'idea dei diritti universali dell'uomo, la concezione universalistica dei diritti, si trova smentita dall'affermazione di diritti culturali, relativi alla cultura, o piuttosto rafforzata? Che valore ha l'argomento che è pur sempre in nome di un diritto universalmente umano alla diversità di cultura che si propone un diritto culturale e relativo?

Universalità dei diritti e relativismo culturale. L'affermazione dei diritti culturali è importante e può essere giustificata proprio con il richiamo al diritto fondamentale, universalmente valido, alla diversità culturale. Questa diversità non va però mitizzata retoricamente (c'è chi ingenuamente afferma che "Diverso è bello", senza distinzioni, e inneggia alle meraviglie dell'"incontro con l'Altro"), né deve trascorrere, come in alcune delle sue prime affermazioni, in un relativismo culturale assoluto che, come tale, si morde la coda.

L'elaborazione dei diritti nelle altre culture. L'esempio di Gandhi. Del resto se, nella storia recente, l'elaborazione dei diritti è stata fatta all'interno delle culture occidentali, uno studio più ampio e più critico ne riconosce molte premesse in altre culture. In proposito potrebbe molto insegnare una rilettura della ricerca internazionale promossa dall'Unesco cinquant'anni fa, prima dell'approvazione della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Gandhi rispose che in quei diritti, che approvava e condivideva, trovava poco di nuovo rispetto a ciò che gli aveva insegnano sua nonna, una contadina indù analfabeta.

(5 marzo 2001)


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