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LE CATACOMBE CRISTIANE
La legislazione romana proibiva di bruciare e di
seppellire i morti entro i centri urbani.
Per questo troviamo le vie d’accesso alle città nei
pressi di queste, ma fuori le mura, disseminate da ambedue i lati
di tombe.
Ma i cristiani (ed analogamente gli ebrei) preferirono riunirle
insieme in luoghi occulti, sia per evitarne la profanazione, sia
per poter effettuare presso di esse, indisturbati e non visti, i
propri riti liturgici.
Furono perciò all'uopo adattate le galleria di cave dismesse
ed abbandonate di tufo, di peperino e di pozzolana, che avevano
fornito il materiale per le costruzioni del vicino centro abitato.
La più antica catacomba cristiana fu realizzata sulla via
Nomentana, subito dopo l'attuale Porta Pia; fu detta di Nicomede,
ed è nella zona ove ora è via dei villini.
La scelta era infatti caduta su questa via che dava meno all’occhio
delle più importanti strade consolari, più frequentate,
dato che essa era di secondaria importanza, essendo limitata ad
un percorso di poche decine di miglia, andando dal Castro Pretorio
(con uscita da una porta che era diversa dalla attuale Porta Pia)
fino a Mentana, dalla quale ultima località prendeva il nome.
Sulla Nomentana sorsero poi altre catacombe (anche una ebraica,
per gli stessi motivi, ritrovata nel 1918 sotto le scuderie dell’attuale
villa Torlonia).
Dopo quella di sant’Agnese, al quarto miglio circa, c’è
una catacomba, detta "cimitero maggiore" per distinguerla
da quella vicina di vigna Rosselli, dove è la tomba di Santa
Emerenziana, sorella di latte di Sant’Agnese.
Anticamente si pensava che si trattasse di un’unica catacomba,
mentre poi risultò che la "Maius", pur contigua,
dista mezzo chilometro da quella di Sant'Agnese, essendo a questa
successiva, sullo stesso lato della via Nomentana.
Erroneamente, perciò, per molto tempo, si è parlato
di rinvenimento dell'epigrafe
relativa a San Rufo nella catacomba di sant'Agnese.
Si tratta di una lastra rettangolare di chiusura di loculo, liscia
su entrambe le facce, corrosa sulla fronte, di cui restano 12 frammenti,
essendo stata rotta, molto probabilmente da trafugatori di tombe
in cerca di oggetti preziosi. Questi sono stati ricostruiti su di
una sfoglia di peperino.
La lastra originaria, di marmo bianco, aveva la dimensioni di 264x735
cm, ed uno spessore di 15-1O cm. Le lettere hanno un'altezza di
62-33 ed un'interlinea 9-5.
Questa lapide fu ricordata per la prima volta da D. Segarelli nell’"Adversaria"(1775-I882,
f.5v.f12), e fu poi conservata nel Lapidario Cristiano Lateranense
col numero di inventario 32389 al XII, 18, ed è ora passata
nei Musei Vaticani.
Fu studiata da Orazio Marucchi, da Giovanni Battista De Rossi, dall'Henzen
e da padre Ferrua.
La scritta reca:
RUFUS TABELLA
RUS DEPOSTUS IIII IDU
DEC (palma)
su tre righe (Rufus tabellarius, depostus IIII Idu
decembres: Il corriere Rufo, sepolto il quarto giorno prima delle
Idi di dicembre, cioè il 10 dicembre).
La lapide, per la sua importanza, è stata prescelta dai Musei
Vaticani ad essere esposta al Congresso Internazionale di Paleografia,
tenutosi a Roma nel settembre del 1997, come esempio epigrafico.
Ed in quest'anno, il 13 aprile '97, essendo state invitate come
ospiti d'onore alla festa del santo, le Poste Vaticane, nella persona
del loro ispettore don Angelo Cordischi, hanno donato al Museo Postale
di Belvedere Ostrense un calco di questa lapide.
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