Prostituzione.
Che cosa vuol dire?

Giancarlo Livraghi – novembre 2011

Anche pdf
(migliore come testo stampabile)

puttane
 

Di prostitute e prostituzione si discute parecchio, in questi anni – per sciocchi, banali e sgradevoli motivi. Con una congerie di eufemismi e di altre variazioni lessicali più ridicole che confusive, ma comunque sintomi di una scarsa chiarezza di idee e di un noioso predominio del pettegolezzo.

Il concetto centrale, in queste mie osservazioni, è che la prostituzione morale è peggiore di quella fisica – e il fatto non è così chiaro come può sembrare. Ma prima di arrivare a quel punto sono utili, forse necessarie, alcune premesse.

So che in parte sono, o sembrano, ovvie e ripetitive – ma nel gran fracasso della confusione si sono perse le prospettive di buon senso. Ed è un sonnifero deprimente la noiosa, monotona, acquiescente, quasi ossequiosa monotonia delle disquisizioni sui dettagli di manipolazione del potere.

(Vedi La crisi dell’informazione).

Una sciocchezza ripetuta con ossessiva banalità è che sia “il mestiere più antico del mondo”. Non è vero. C’erano arti e mestieri fin dalle origini della nostra specie – molto prima che le aggregazioni umane arrivassero alle dimensioni e complessità in cui può nascere il commercio di favori sessuali.

L’intelligente evoluzione di compiti e ruoli nell’umanità delle origini
è rilevante anche per altri, importanti, motivi. Vedi per esempio
L’evoluzione dell’evoluzioneC’era una volta il mercatoIl ruolo delle donne

È ragionevole immaginare che una donna (o anche un uomo) del più remoto paleolitico (molto prima dell’invenzione del denaro) potesse “concedersi” più volentieri quando riceveva un gradevole regalo. Ma se fosse quello il criterio ne dovremmo dedurre che “si prostituisce”, oggi come allora, il 99,9 per cento dell’umanità.

Anche se non è “il più antico”, è vero che il mestiere esiste da millenni. E ha assunto, in diverse epoche e culture, un’interessante varietà di aspetti.

Poche cose a questo mondo sono chiamate in così tanti modi diversi. Spesso sprezzanti, ma non sempre. Puttana, zoccola, mignotta, sgualdrina, troia, vacca, bagascia, battona, malafemmina, meretrice ... eccetera. O più bonariamente “lucciola” o “mondana” o “cocotte”. O “peripatetica” con un’imbarazzante somiglianza a un’antica e molto rispettabile scuola filosofica.

Quando si dice “cortigiana”, il quadro cambia. Sono molte nella storia (solo di alcune conosciamo il nome e il ruolo) le donne che hanno saputo servirsi del loro fascino (non solo fisico) per “stare a corte” o per creare un proprio circolo di cultura e di potere. Molte di loro (per quanto discutibile fosse il metodo) meritano più rispetto che disprezzo.

Le “etére”, non solo nell’antica Grecia, avevano un apprezzato e stimato ruolo culturale. C’è, oggi, qualcosa di simile? Pare di no. O forse le raffinate cortigiane esistono, ma tengono riservato il loro metodo di gestire i salotti?

Comunque, può bastare dirlo una volta, non è (e non è mai stato) solo un ruolo femminile. O solo eterosessuale. Non c’è cultura umana in cui non ci siano, palesi o nascoste, tutte le possibili variazioni di rapporti sessuali.

In alcune civiltà e società, antiche e moderne, sono accettate senza problemi (anche in forma mercenaria). O almeno “tollerate”, magari con fastidio, ma senza repressione. In altre situazioni, oggi come in tempi remoti, duramente e ipocritamente vietate, fino all’estremo di crudeli persecuzioni, torture, feroci condanne a morte od orribili “spontanei” e impuniti massacri.

Se il rispetto per la diversità è da considerare una misura di civiltà, come è giusto che sia, dobbiamo dolorosamente constatare che nel corso dei secoli e dei millenni l’umanità ha fatto gravi passi indietro. E oggi non è facile risalire la china. Quel necessario compito somiglia troppo spesso alla fatica di Sisifo.

Per fortuna è vero che la cosa è meno grave in quelle culture, come la nostra, in cui un po’ per volta si è imparato a capire. Ma anche da noi sopravvivono meschinità e pregiudizi. E succede che, come in questo periodo, si faccia quello che Umberto Eco ha ben definito “il passo del gambero”.

È un fatto abituale, in tutta la storia e in molte situazioni di oggi, che divieti e repressioni in materia di sesso (o più in generale di comportamenti considerati “indecenti” o “trasgressivi”) siano più furiosamente praticati da sistemi di potere profondamente corrotti. Non è solo ipocrisia. È anche arroganza, delirio di onnipotenza, barbarie ammantata di cerimoniale. Sembrava sepolta nelle tenebre del passato, ma è ancora orribilmente diffusa.

Cioè la prostituzione morale, di cui si parlerà nella parte conclusiva di queste osservazioni, si nasconde dietro la proverbiale foglia di fico di un falso pudore, con la repressione non solo del sesso mercenario, ma della sessualità in generale e della libertà in tutte le sue espressioni. L’uso di parole come “libertinaggio” è sintomatico di queste violente perversità.

Ma ci sono anche situazioni diverse, come quella gretta e volgare distorsione di valori che imperversa oggi in Italia.

Un esempio, che può sembrare solo un dettaglio, è la bislacca ipocrisia dell’ambiguo neologismo escort. Che in inglese ha tutt’altro significato. Forse non tutti lo sanno, ma le “accompagnatrici” ci sono davvero. Si offrono, a meritato pagamento, per fare amichevolmente da guida (o, come un tempo si usava dire, “dama di compagnia”). Senza alcuna implicazione sessuale.

È ragionevole pensare che persone dedicate a quell’utile compito (maschi o femmine) esistano ancora – e che qualcuno sappia come trovarle. Ma chissà come adesso si possono far chiamare, visto che escort è diventato un modo per definire le prostitute di cosiddetto “alto bordo”. Cioè quelle che non stanno per strada, sono vestite e truccate meglio – e costano di più.

Come se fosse chissà quale novità. C’erano anche prima e si chiamavano call girl o “squillo”. E visto che, secondo ciò che ci raccontano, lo strumento per arruolarle è spesso il telefono, la definizione rimane appropriata, benché sia caduta (chissà perché) in disuso.

Se fosse solo un problema di terminologia, potremmo tranquillamente ignorarlo, come una delle tante inutili mode lessicali. Ma ovviamente la cosa non è così semplice.

Nell’Espresso del 13 ottobre 2011 Denise Pardo, con un sarcastico eufemismo, le definiva «ragazze carine e compiacenti». Spesso, infatti, si tira a confondere. Si smussano le differenze, si gioca sull’equivoco – come se un sorriso malizioso o una scollatura un po’ abbondante si potessero paragonare a una “prestazione” a pagamento. Il risultato (mi scuso per il gioco di parole) è che diventa troppo facile prendere lucciole per lanterne.

Perciò non è pedanteria, ma un chiarimento necessario, definire in modo meno confuso che cosa si intende per “prostituzione”. Dovrebbe essere ovvio, ma spesso non è chiaro, che si tratta di almeno tre cose sostanzialmente diverse.

Il caso più semplice è quello di una donna che, per sua libera scelta, decide di farsi pagare per “prestazioni sessuali”. È giusto che non sia “vietato”, né gestito da apparati parastatali – e che comunque non sia “un reato”.

Anche a me, come a molti, sembra una scelta umiliante e una degradazione del sesso (se non dell’amore). Ma questa è e deve rimanere un’opinione privata e personale – una questione di gusto. Nessuno ha il diritto di giudicare o condannare. E se poi qualcuna, dopo aver “fatto la vita” per il tempo necessario, apre una profumeria, quando entriamo nel negozio sarebbe stupido e scortese chiedere alla proprietaria di raccontarci la sua biografia.

Profondamente, tragicamente diverso è il caso delle tante ragazze ridotte in schiavitù da reti di crimine internazionale che distribuiscono la “merce” anche in Italia. Qualcosa si sta facendo, ma troppo poco, per liberarle e per togliere di mezzo i trafficanti.

Ci sono famiglie, nei paesi d’origine, minacciate di morte se una figlia o sorella tentasse di ribellarsi. E ce ne sono che, per disperata povertà o per cultura misogina, vendono le loro bambine. È banale ripetere anche qui cose ovvie, note, evidenti. Ma la “tolleranza” è ignobile.

È una vergogna del mondo cosiddetto civile fare così poco per contrastare quello che una volta si chiamava “tratta delle bianche”, ma è sempre stato un sordido commercio di donne di ogni colore, origine ed etnia.

La terza categoria è quel territorio intenzionalmente indefinito in cui tutto si confonde. Oggi a un abbondante e noioso “onore delle cronache”. A tal punto che se una donna bella e attraente ha successo non solo nello spettacolo, ma anche in qualsiasi altro genere di attività, è circondata dal sospetto che non ci sia riuscita solo perché è brava.

Certo, quando è “arrivata” se ne può infischiare – e lasciare che siano i fatti a dimostrare la verità. Ma quante, che non hanno ancora raggiunto il successo, sono confuse, umiliate, scoraggiate – o addirittura indotte a “concedersi” a qualche furfante che, nella maggior parte dei casi, è solo uno squallido millantatore?

E quante, per paura di perdere il lavoro o di non avere una promozione, cedono a sottintese o dichiarate minacce? Certo, queste porcherie ci sono sempre state. Ma l’ossessiva stupidità della cultura dominante induce a credere che si possano considerare “normali”.

Un tempo, quando alcuni aspetti del sesso commerciale erano visti con allegria, certe “vie di mezzo” si chiamavano demimondaine – o “donnine allegre”. Chissà se è mai stato vero che fossero spiritose e divertenti. Ma oggi sembrano scarse, se non del tutto inesistenti, le occasioni di buonumore.

Non si tratta di farci prendere da insulsi “moralismi”. Ma di capire quanto sia degradante la cultura del pettegolezzo. Per tutti, non solo per chi ne è vittima (o fa apposta ad alimentare il gossip per ottenere “visibilità”).

Non voglio ripetere qui ciò che ho già scritto parecchie volte (per esempio in Tettontimento ) ma la “cultura spettacolo”, con le sue ambiguità ed esibizioni pseudo-sessuali, è uno squallido imbroglio che umilia chi lo produce ancora prima di ha il cattivo gusto di divertirsi con quelle banali e stucchevolmente ripetitive scempiaggini.

Un fenomeno imperversante è l’ascesa di persone “con influenti amicizie” a ruoli che non sembrano meritare. È ovvio che anche questa non è una novità. (Vedi Le contraddizioni della meritocrazia). Ma diventa un disastro quando è diffuso il sospetto che troppi vantaggi dipendano da favori sessuali. O (ancora peggio) da complotti, compromessi e rischi di ricatto derivanti da ogni sorta di imbarazzanti intrighi, compreso un incauto commercio di “ragazze compiacenti”.

*   *   *

Così siamo arrivati al tema centrale e conclusivo di questi ragionamenti. La prostituzione morale e culturale. Imperdonabile in tutte le sue forme. È sempre esistita. Ma in questo periodo, in particolare in Italia, sembra salita al culmine del potere. Con sfrontata arroganza, sfrenata impudicizia.

Gli esempi più vistosi sono nel mondo della politica (e negli apparati dominanti di informazione e comunicazione – come ho spiegato recentemente in La crisi dell’informazione). Ma il contagio si diffonde anche dove è meno visibile. E avvelena tutto e tutti, compresi i potenti impauriti e traballanti che “comprano” complicità senza accorgersi di essere impigliati in una rete di cui hanno perso il controllo.

La stupidità del potere è un articolo che avevo pubblicato nel 1996 – e otto anni dopo è diventato il capitolo 10 di Il potere della stupidità. Contiene, fra l’altro, queste osservazioni.

«Il potere è una droga, uno stupefacente. Le persone al potere sono spesso indotte a pensare che perché sono al potere sono migliori, più capaci, più intelligenti, più sagge del resto dell’umanità. Sono anche circondate di cortigiani, seguaci e profittatori che rinforzano continuamente quell’illusione».

«La sindrome non affligge solo i potenti, ma anche le persone che entrano in rapporto con loro – o che lo desiderano. È cosa nota in tutte le culture umane, e in tutte le epoche della storia, che i “cortigiani” (o aspiranti tali) vivono e prosperano in una simbiosi stupida con i potenti, che tende ad accentuare e complicare la stupidità del potere».

«Vittime di quel complesso meccanismo non sono solo i governati – che subiscono il giogo degli intermediari oltre a quello dei vertici. Sono anche, spesso, i “sommi potenti”, che diventano prigionieri del loro entourage».

Era evidente, già quindici anni fa, che eravamo entrati in una fase particolarmente acuta di questa perversa sindrome – che poi ha continuato ad aggravarsi. Fino allo sfrenato sputtanamento oggi imperversante.

Non si tratta di gingillarsi in ipocriti “moralismi”. E non basta indignarsi – né consolarsi con l’ironia e lo scherno. Se sapessi dove si trova una bacchetta magica o una terapia d’urto, lo direi – ma non ne vedo alcuna traccia.

Sarebbe ingenuo illuderci che per uscire dal pantano possa bastare uno scatto di buon senso e di dignità. Ma è necessario, per cominciare, toglierci in qualche modo da uno stato desolante di passività, rassegnazione, depressione – o di inerte “assuefazione” alla prostituzione mentale, morale e culturale.

Sembra ridicolo, in questa situazione, parlare di etica, di sincerità o di correttezza. Ma è proprio lo svergognato disastro del malaffare a insegnarci che senza concreti valori morali, senza sviluppi basati sulla fiducia, senza una profonda comprensione del fatto che il “bene comune” non è un esercizio di retorica, possiamo solo andare, come si suol dire, “a puttane”. Per poi magari accorgerci, quando sarà troppo tardi, che la catastrofe non era inevitabile.



Supplemento

dicembre 2013


Sono passati due anni da quando ho pubblicato alcune considerazioni su questo argomento. La confusione continua – e, in parecchi modi, peggiora. Per esempio, recenti notizie “scandalose” su alcune ragazzine prostituite a Roma hanno prodotto un’enorme e sgangherata marea di chiacchiere in cui il pettegolezzo si mescola con l’ipocrisia.

Se questo fosse un “caso isolato” sarebbe comprensibile l’indignata sorpresa. Ma è tristemente probabile che sia solo una fra tante porcherie di quel genere. Comunque è molto sbagliato – e pericoloso – “fare di ogni erba un fascio” e trattare in modo simile vicende e situazioni profondamente diverse.

Una vistosa e ricorrente confusione sta nel concetto di “minorenne”. Non è ragionevole che si possa definire secondo un singolo e standardizzato limite di età.

Che una ragazza di quindici o sedici anni sia venduta e comprata è ovviamente spregevole. Ma non è sensato chiamare “pedofilia” questo genere di comportamento. Violentare bambine o bambini, spesso all’interno di famiglie stranamente ignare o timorosamente compiacenti – o andarli a cercare dove se ne fa commercio – è tutt’altro genere di perversione.

Visto che nel cosiddetto “caso dei Parioli” le ragazze erano consenzienti, anzi attivamente impegnate a mettersi in vendita, se avessero diciott’anni andrebbe tutto bene? Compresa una mamma che denuncia la figlia e un’altra che la spinge a “lavorare” più spesso per aumentare il guadagno?

Si fa un gran parlare del ruolo delle donne – malamente rappresentato in alcuni modi molto stupidi di fare pubblicità e in troppi squallidi generi di spettacolo. Ma non è con regole o regolamenti, divieti o censure, schemi o manierismi, che si risolve questo problema. È una questione di mentalità.

Le stesse emittenti che ipocritamente si “scandalizzano” per le cosiddette “baby prostitute” propongono continuamente modelli femminili (e anche maschili) in abbigliamenti variabili dal malizioso al nudo o quasi – e in ogni sorta di atteggiamenti “provocanti”. La cosa, in sé, non è “scandalosa”. Ma quando diventa un prototipo universale, una specie di obbligo rituale in ogni contesto, avvilisce tutto, compreso il sesso e la seduzione.

Gli stessi giornali che polemizzano sull’avvilimento del ruolo femminile infarciscono articoli sui più svariati argomenti con immagini di donne più o meno svestite. E vanno in brodo di giuggiole quando hanno la possibilità di raccontare qualche pettegolezzo sulla vita privata di persone più o meno “famose”.

Se fossi una brava e bella attrice (o anche attore) mi darebbe fastidio la definizione sex symbol (infatti cominciano a esserci più spesso persone, nel mondo dello spettacolo, che disdegnano quel genere di identità).

Per fortuna il mondo è pieno di ragazze – e donne di tutte le età – che si infischiano degli stereotipi e sanno come essere attraenti senza seguire tutte le bizzarrie della moda o tentare di identificarsi con “simboli sessuali”.

Ma molte sono insicure e disorientate, specialmente nel delicato periodo dell’adolescenza. E così cadono nella trappola di credere che sia necessario avere un vestitino o accessorio modaiolo o l’ultimo inutile modello di telefono cellulare. O che per essere seducenti ci si debba ridurre a banali imitazioni e scopiazzature di qualche personaggio “famoso”.

Se avessi, oggi, una figlia o una nipote adolescente, mi darebbe molto fastidio immaginarla dedicata a “prestazioni sessuali” nel cesso del liceo in cambio di di una “ricarica” telefonica o di qualche altro ammennicolo di moda. E farei tutto il possibile per educarla a stare molto lontana da ogni squallida esperienza di quel genere. Cose che sono, del resto, tristi e deformanti anche per i maschietti che praticano sesso in modo così avvilente.

Ma, con l’egoistico vantaggio di non trovarmi personalmente in preda a preoccupazioni come quelle, posso permettermi di non essere esageratamente scandalizzato, né sorpreso, dall’esistenza di simili deprimenti episodi.

È sempre stato “normale” avere curiosità per un’esperienza che non si conosce o che non si è ancora riusciti a capire bene. E approfittare delle occasioni per tentare di soddisfarla, anche senza coinvolgimento sentimentale.

Ma è triste e deprimente che l’umiliante richiesta (o offerta) di “regalini” trasformi la ricerca di precoci esperienze in squallida prostituzione. E che non si trovi, per questa acerba sperimentazione sessuale, qualche luogo meno sgradevole e umiliante di una latrina. Oppure che il desiderio di “iniziazione” in ambienti lussuosi – e anche con ricchi guadagni – faccia precipitare incaute adolescenti nel giro perverso dello sfruttamento.

Polizia e magistrati devono fare il loro lavoro. Ma il problema non si risolve con condanne e punizioni in pochi casi “scoperti”. Né con occasionali “scandalismi”, più dedicati a scatenare malsane curiosità che a capire le origini di comportamenti distorti e deformanti.

Sembra che forse sia un po’ in declino l’ipocrita eufemismo “escort”. Un minuscolo segnale di minore stupidità? Speriamo. Ma quella che occorre è una molto più profonda evoluzione culturale. A cominciare da un po’ di autocritica da parte della pseudocultura dello spettacolo e dei cosiddetti “mezzi di informazione”. Un segno di buon gusto – e un dovere morale – di cui c’è un’ostinata e desolante mancanza.



Quattro articoli su argomenti “connessi”
pubblicati dopo la prima parte di queste osservazioni
Umore e psiche gennaio 2013
La travolgente cavalcata delle bufale febbraio 2013
La triste estinzione del giornalismo d’inchiesta aprile 2013
La violenza contro le donne agosto 2013



ritorno
ritorno all’inizio




 
indice
indice delle rubriche

indice
indice della sezione

Homepage Gandalf
home