La travolgente
cavalcata delle bufale

Giancarlo Livraghi – febbraio 2013

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(migliore come testo stampabile)


Questo potrebbe sembrare solo un post scriptum o un supplemento a due articoli dell’anno scorso. Ingormazione e Proliferazione delle fandonie. Ma quelle sono malattie ostinatamente endemiche su scala mondiale. Mentre in Italia, in questo periodo, si aggiunge un’epidemia acuta, dovuta solo in parte a una confusa campagna elettorale.

Non mi azzardo a tentare di indovinare quale sia il motivo di questa particolare ondata patologica. Ma è chiaro che è in gioco una perversa combinazione di tre fattori. Uno è la contagiosa imitazione. Un altro è la depressione provocata dalla mal capita “crisi economica” (vedi i link elencati alla fine). E naturalmente imperversa sempre il potere della stupidità.

Non c’è solo l’irresponsabile disinformazione dei mass media. Sono travolte anche le persone. Da quelle (le mie preferite) che si accorgono con imbarazzo di essere confuse fino alle più irritanti che si trincerano in false certezze e hanno l’arroganza di cercare di imporle come verità indiscutibili.

Sono poco stimabili, ma visto l’andazzo sono comprensibili, quelle che se ne infischiano di capire, si chiudono in una fragile bolla di ignoranza e sonnolenza mentale, in cui si cullano fino al giorno in cui vanno a sbattere contro una realtà che non hanno mai tentato di conoscere.

Non possiamo accusare i fuggiaschi di vigliaccheria. È inevitabile che la confusione, l’incertezza, il diffuso malumore, facciano paura. E la paura (specialmente quando si tratta di cose incomprensibili) induce alla fuga, alla miopia, a un’istintiva voglia di non sapere e di rintanarsi il più lontano possibile da ogni rischio di consapevolezza e responsabilità.

Come accade sempre con le bufale (ma ancora di più quando, come in questo periodo, si moltiplicano con ossessiva abbondanza) citare tutte quelle che mi è capitato di conoscere – o anche solo le più vistose – riempirebbe decine di pagine. Perciò mi limito a pochi esempi. Con una premessa: ci sono diversi generi di bufale e spesso si mescolano. Creando pasticci inestricabili in cui anche notizie vere e ipotesi credibili diventano ingredienti di confusione.

Non raccolgo gli esempi con alcun metodo logico, né suddivisione in categorie. Per non fingere ordine in ciò che è intrinsecamente disordinato. Più la percezione qui è confusa, meglio somiglia alla confusionaria realtà.

*     *     *

L’abdicazione di papa Ratzinger è una notizia vera. L’impressionante moltiplicazione di congetture sul motivo è campata per aria.

Forse fra qualche mese o anno, quando la situazione si sarà evoluta, diventerà sensato chiedersi se si tratti solo di umana stanchezza o se ci sia qualche recondito gioco di potere. La sgangherata ridda di ipotesi, in questo momento, è priva di senso. Come le sguaiate, monotone e poco divertenti esercitazioni umoristiche. E le assurde dissertazioni su quali effetti possa avere sulle elezioni in Italia.

Un minuscolo, ma nel suo piccolo esemplare, dettaglio è l’affermazione «l’avevo previsto» attribuita a Nanni Moretti (che nel suo film Habemus Papam del 2011 descriveva le angosce di un pontefice immaginario). Se fosse così, Moretti sarebbe un imbecille. Ma non l’ha detto.

La sciocchezza della fine del mondo in base a un “calendario Maya” ha avuto una ridicola diffusione “globale”, ma la successiva panzana della collisione con un asteroide il 13 febbraio 2013 (e poi di nuovo il 15) è stata assurdamente diffusa (per quanto ho potuto verificare) solo in Italia.

Un banale comunicato di routine del consolato americano a Milano, che consiglia di “stare attenti” ai malintenzionati in alcune zone, è ovviamente applicabile a quasi tutte le città del mondo (comprese molte negli Stati Uniti). Ma la frettolosa paranoia della polemica politica si è precipitata a farne un’assurda accusa contro il sindaco. Fra l’altro commettendo un grossolano errore di traduzione: stranger in inglese vuol dire “estraneo”, non “straniero”.

In tutte le democrazie del mondo la satira ha, da sempre, un ruolo nella politica. Ma il problema italiano (in particolare questa volta) è che molti comportamenti di candidati (e loro sostenitori o avversari) sono talmente ridicoli che non si capisce più la differenza fra la propaganda elettorale e la presa in giro. E il quadro è reso ancora più grottesco dalle sciocchezze, elucubrazioni e banalità dei “politologi” e altri commentatori. Perfino l’umorismo, dispiace dirlo, cade troppo spesso in trite e noiose banalità.

Un altro problema italiano è il disfattismo. Non mi stanco di ripetere che l’autocritica è una qualità, l’autolesionismo è una cancrena. Abbiamo, davvero, problemi seri. Ma diventa molto difficile, se non impossibile, risolverli se li mescoliamo con difetti che non abbiamo, con situazioni (come la patologia della speculazione finanziaria) che occorre capire e affrontare su scala mondiale e con esagerati piagnistei su casi più o meno isolati – che vanno risolti come tali, ma non sono piaghe profonde di tutta la nazione.

Sono insopportabili le litanie su “noi italiani”. Perché non è vero che siamo più scemi del resto dell’umanità. E soprattutto perché lo sciocco pregiudizio dell’incurabilità e del “tanto non c’è niente da fare” induce a una pestilenziale rassegnazione, fa passare la voglia di impegnarsi, agire, evolversi, migliorare, costruire. (Sui deprimenti malanni del malumore vedi Umore e psiche).

Insomma andiamo avanti a prenderci in giro, con tutto l’umorismo di cui siamo capaci. Ma smettiamola, una volta per tutte, di piangerci addosso.

Ogni tanto qualcuno mi rimprovera di parlare dell’umanesimo e di quella straordinaria evoluzione culturale che merita il nome di Rinascimento con la R maiuscola. «Sono passati sette o otto secoli, non siamo più quelli di allora». Ancora una volta, rieccomi a spiegare che non è nostalgia – e che ovviamente non si tratta di rifare le stesse cose in un mondo che è molto cambiato. Ma siamo, oggi come allora, una fertile mescolanza di culture e tradizioni diverse.

Senza arroganza né xenofobia, abbiamo un patrimonio culturale che tutto il mondo ammira (e che la nostra scriteriata politica e sgangherata burocrazia tentano di dilapidare, per fortuna senza riuscirci del tutto).

Non occorre essere Leonardo da Vinci per ritrovare le basi di quella straordinaria mescolanza di scienza e tecnica, arti e mestieri, filosofia e poesia, umanità e curiosità, di cui oggi c’è sempre più bisogno su scala planetaria (e anche nei primi, finora scarsi e timidi, tentativi di esplorazione spaziale). Ci sono paesi (per esempio gli Stati Uniti) in cui da alcuni decenni si è cominciato a capirlo. Perché proprio noi dovremmo restarne esclusi?

Ma ritorniamo alle meschine vicende delle bufale quotidiane. Non sono nuove (si stanno aggravando da parecchi anni) le strampalate acrobazie dei “titolisti” che stravolgono il significato degli articoli – e le superficiali balordaggini che si insinuano anche in testi (o programmi televisivi) con pretese di divulgazione scientifica. Ma ho l’impressione che siano più frequenti nella frettolosa confusione sempre più imperversante in questo periodo.

E ci sono i refusi. Sembra estinta la preziosa specie dei bravi redattori e “correttori di bozze”. Non solo nei giornali, ma perfino anche nei libri. Mi limito a un esempio fra tanti. Non cito il nome dell’autore perché sarebbe scorretto “puntare il dito” su uno in mezzo a migliaia di altri.

Prima che qualcuno mi faccia osservare che nessuno è infallibile, confesso che capita anche a me – e sono grato ai lettori che hanno la cortesia di segnalarmeli. Se sono online, mi precipito a correggerli. Nel caso di libri stampati devo prenderne nota, per poterli sistemare nella prossima ristampa (se l’editore ha la cortesia di avvertirmi prima di mandarla in tipografia).

Sono soltanto piccole pignolerie? Talvolta, forse. Ma è meglio stare attenti. Alcuni refusi sono innocui, quasi solo antiestetici. Altri sono insidiosi, possono confondere il significato.

Ecco l’esempio. Il 12 febbraio 2013 un serio scrittore di professione manda un errata corrige ai lettori di un suo articolo diffuso online. «Il correttore automatico aveva cambiato Obama in Osama». È bizzarro che a una persona esperta sfugga un fatto elementare: si può usare un dispositivo tecnico per segnalare un dubbio e suggerire un cambiamento, ma non permettere che lo faccia automaticamente. E comunque è sempre necessario rileggere e controllare.

Casi di questo genere sono tutt’altro che rari. Anche all’epoca in cui non esistevano i personal computer e si usava la linotype, erano proverbiali esempi come “signora elefante” al posto di “elegante”. È cosa nota, ma troppo spesso dimenticata, che spostare una virgola può cambiare il significato di un testo. Durano da secoli i dibattiti sull’esegesi di classici interpretabili in modo diverso secondo la punteggiatura.

Ci sono bufale intenzionali. Si diffonde una notizia o un’affermazione falsa o distorta, sapendo che rischia di essere smentita – ma intanto fa il suo effetto, moltiplicata dalla frettolosa diffusione. E ci sono quelle involontarie, compresi casi (non rari) in cui qualcuno, ripetendo una panzana senza verificarla o esprimendosi in modo poco chiaro, rischia di tirarsi la zappa sui piedi o di fare la figura del cretino.

Mi occupo di comunicazione da tutta la vita, fin da quando era un tema che studiavo a scuola. O, da bambino, mi chiedevo perché per accontentare i “grandi” dovessi far finta di credere a babbo natale o alla befana.

Sono addestrato a dubitare, diffidare, controllare, trovare negli angoli meno evidenti i piccoli segnali da cui si impara a capire. Ma nel marasma, più del solito imperversante in questo periodo, rischio anch’io di perdere la bussola – o di diventare così diffidente da non credere neppure alle cose che hanno un reale significato.

Ci vuole ostinata pazienza. Ciò che oggi è incomprensibile può diventare inaspettatamente chiaro domani o fra un anno. Non mi arrenderò mai. Non ho alcuna intenzione di rinunciare alla curiosità e alla voglia di capire. Ma intanto che noia, che fastidio, che nausea, essere perseguitati dalla travolgente cavalcata delle bufale. Più pericolose delle valchirie.


Su temi “attinenti”
(oltre a tre link indicati nel testo)
C’era una volta il mercato
Inferni e paradisi
Bizzarrie delle citazioni
Uomini e topi
Viva l’Italia?

E, ovviamente,
Il potere della stupidità




Supplemento

dicembre 2013


È necessario ribadire una premessa. Se volessi citare tutte le bufale di cui mi accorgo, sarei costretto a fare, ogni giorno, qualche dozzina di aggiunte. Per non parlare di chissà quante altre, in giro per il mondo, che non conosco.

Ma c’è un caso “esemplare” che merita di essere segnalato, per la precisa spiegazione di come e perché è nata una nuova e clamorosa bufala.

muos

Si tratta di una presunta correlazione tra il MUOS (un protocollo di trasmissione dati ad alta frequenza di proprietà dell’esercito americano) e immaginari danni alla salute in Sicilia. È una bufala abilmente inventata. E poi spiegata dagli autori: Luca Romano “con la diabolica collaborazione di Alessandro Sabatino”.

La loro ampia spiegazione di come e perché è nato questo esperimento – e degli effetti che ha avuto – merita di essere letta.

La “rivelazione” di Luca Romano comincia così. «Tutto iniziò nel marzo di quest’anno 2013, quasi per scherzo, assieme al mio collega Alessandro Sabatino: volevamo creare una nostra teoria del complotto e vedere quanta gente ci sarebbe cascata. In quell’occasione Alessandro buttò giù qualche riga su un complotto americano dietro ai fatti di Canneto di Caronia e me la mandò. Poi un po’ la mancanza di voglia e un po’ la mancanza di tempo ci fecero abbandonare l’idea. Fino a qualche settimana fa. In seguito all’ennesima discussione con l’ennesimo fedelissimo delle scie chimiche, regolarmente trascesa, decido di riprendere il progetto e recupero quel testo».

Il lavoro continuò, con accurato impegno. fino a quando la bufala fu pubblicata il 19 novembre. Della falsità si accorse solo un “appassionato debunker” che «ha giustamente dimostrato come le reazioni fisiche citate nell’articolo siano del tutto incongruenti». Con quell’unica e interessante eccezione, il successo dell’esperimento è stato clamoroso.

Luca Romano spiega che «questa notizia falsa è stata creata e diffusa per dimostrare quanto sia facile suggestionare e manipolare l’attenzione di un pubblico sospettoso, irascibile e tendenzialmente ignorante. Non solo: è servita per dimostrare empiricamente quanto, una volta attecchita, fosse difficile da estirpare (basti vedere le reazioni contro chi osava mettere in dubbio la faccenda). Infine, per dimostrare che tutti questi siti pubblicano i loro articoli senza fare uno straccio di verifica».

Non posso evitare di aggiungere che non si tratta solo di “siti”, cioè di diffusione online, ma anche degli spesso bugiardi o distratti “mass media”. Giornali, televisioni, radio, libri, autori presunti “autorevoli” e ogni sorta di “istituzioni ufficiali”.

In tanti anni di preoccupata osservazione dell’ossessionante cavalcata delle bufale sono stato, ogni tanto, tentato dall’idea di inventarne qualcuna “per vedere l’effetto che fa”. Però non ho mai trovato il tempo, né il modo, per fabbricare un falso efficace. Neppure come scherzoso pesce d’aprile. Perché non mi è mai venuta un’idea abbastanza buona. Ma anche perché l’assurdità di tante panzane stupidamente o maliziosamente diffuse supera la più fervida immaginazione.

Ringrazio Luca Romano e Alessandro Sabatino per averlo fatto meglio di come avrei potuto io. Il loro non è l’unico esempio di questo genere. Ma per la sua attenta e documentata precisione merita di essere ricordato come strumento di verifica delle bufale del passato vicino o remoto (alcune sono diffuse da millenni) oltre a quelle circolanti in questi giorni e a quelle che inevitabilmente ci affliggeranno domani e in tutto il prevedibile futuro.

Nella loro analisi è dettagliata e impressionante la quantità di “adesioni” alla bufala che hanno costruito. Comprese furibonde e indignate aggressioni a chi tentasse di esprimere qualche dubbio sulla sua attendibilità.

Luca Romano osserva che la sua intenzione è stata anche dimostrare quanto sia facile «creare una teoria del complotto». Infatti il “complottismo” è una malattia particolarmente contagiosa.

Si inventano, si fabbricano, si manipolano tanti complotti immaginari. Mentre si trascurano, si dimenticano, si demoliscono o si distorcono quelli veri o plausibili. I falsi e arbitrari “processi alle intenzioni” non sono solo uno strumento di polemica particolarmente vigliacco. Sono anche, spesso, semplice stupidità – non meno pericolosa dell’intenzionale inganno.

Un altro diffuso veleno nella pseudo informazione (come in ogni sorta di confusi dibattiti) è la “dietrologia”. Talvolta, forse, può essere credibile. Ma troppo spesso è solo disorientante e pettegola fantasia.

Anche il “buonismo”, naturalmente, può essere deviante. Ma non posso stancarmi di ripetere che la sciagurata e insopportabile “cultura dominante” è perversamente innamorata di masochistici catastrofismi e piagnistei.

I problemi, ovviamente, ci sono. E parecchi sono gravi. Ma la smisurata invadenza del deprimente malumore non è un metodo per risolverli.

*   *   *

Una “coincidenza di data” mi induce a citare oggi una bufala particolarmente strampalata. In mezzo alla prevedibile inondazione di banali “coccodrilli” per la morte di Nelson Mandela il 6 dicembre, non solo uno, ma addirittura tre giornali italiani sono usciti con lo stesso demenziale titolo.

Mandela definito “Il padre dell’apartheid”.

Non basta, e non ha senso, scusarsi a posteriori chiamandolo “refuso”. Non si tratta solo di “titolisti” sbadati. È inaccettabile che intere redazioni (e con loro i direttori dei giornali) si “lascino scappare” una così enorme idiozia in prima pagina. E questo è un esempio fra tanti non meno assurdi.

Ma non si tratta solo di un titolo. Estese quanto superficiali glorificazioni dimostrano una profonda ignoranza dell’attuale situazione in Sudafrica.

Anch’io, come tanti in tutto il mondo, sono stato felice quando nel 1990 è stata dichiarata la fine dell’apartheid. Ma ero ingenuo nel credere che fosse la fine dei conflitti razziali in Sudafrica.

Non si tratta più di discriminazione dei “bianchi” contro i “neri”. Ma di contrasti e disparità fra “neri” – differenze e ostilità etniche che hanno origini antiche e non sono ancora state risolte.

*   *   *

La “morale della favola”, per quanto riguarda il razzismo, sta nel fatto che le discriminazioni e “pulizie etniche” non sono scomparse con la fine del vecchio “colonialismo” nel ventesimo secolo.

Il problema continua. Particolarmente in Africa e nel Medio Oriente, ma anche in altre parti del mondo. Con nuovi protagonisti (per esempio, ma non solo, l’aggressivo imperialismo cinese) e la diffusione di violenze ancora più gravi di quelle croniche nel passato.

Per quanto riguarda l’imperversante cavalcata delle bufale, la soluzione rimane una: l’atteggiamento critico. Non è necessaria la precisione analitica di un “appassionato debunker” come nel caso dell’immaginario inquinamento in Sicilia. Basta un po’ di sana diffidenza, con una giusta dose di buon senso.

È sempre più necessario non fidarsi di “notizie” o “rivelazioni” variamente “sensazionali”. E non lasciarsi travolgere da polemiche poco chiare, né da arrabbiature confuse. La violenza è barbarie, anche quando è solo verbale.



Post scriptum
Cattive abitudini

 
Un altro insidioso problema sta nelle diffuse cattive abitudini di tanti giornalisti e svariati commentatori. Cito un esempio fra tanti. In sé irrilevante, ma tipico di questa sciocca arroganza.

Volutamente non dico il nome dell’autore, né l’argomento, né la testata. Perché non si tratta di una particolare vicenda, ma di un comportamento ostinatamente diffuso e largamente praticato da ogni sorta di presuntuosi pressapochisti.

Il 15 dicembre 2013, in prima pagina di uno dei più diffusi giornali italiani, un tizio che crede di saper scrivere molto bene e di essere un fine umorista (invece è quasi sempre noioso, spesso arzigogolato e confuso) comincia così un suo sproloquio. «In settimana non si è parlato di altro».

Chissà in che mondo vive. “In settimana” si è parlato di un’infinità di altre cose, qualcuna importante e molte no. Interessa solo a lui (e a chissà quale minuscolo entourage) il trascurabile argomento su cui inutilmente e noiosamente disserta.

Anche per questo genere di distorsioni si potrebbero citare, ogni giorno, moltissimi esempi. È una particolare specie di bufale, che possono essere false o deformate, oppure vere o verosimili, ma dando importanza a cose che ne hanno poca o nulla deformano le prospettive e ci confondono le idee.

Anche queste possono essere, talvolta, intenzionali distorsioni. Più spesso, semplicemente il frutto di uno sciagurato matrimonio dell’arroganza con la stupidità. Ma comunque sono un altro motivo per imparare a difenderci dalla confusione e guardare oltre la coltre nebbiosa del futile e dell’inutile.


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