La triste estinzione
del giornalismo dinchiesta
Giancarlo Livraghi aprile 2013
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(migliore come testo stampabile)
Lestinzione, almeno per ora, non è totale. Alcuni esemplari, per fortuna, sopravvivono. Ma quella preziosa specie di giornalismo è diventata così rara che non è fuori luogo un elogio funebre.
Non si tratta delloccasionale scoperta di un problema (o di una risorsa) sfuggita allattenzione generale. Utile, nel suo genere. Ma inadeguata se non è seguita da un serio e preciso approfondimento che, troppo spesso, manca.
Si potrebbero fare parecchi rilevanti esempi, nel vicino o lontano passato. Per cominciare, mi limito a tre, di cui due famosi (ma non so quanti, oggi, li ricordano) e uno che è sfuggito allattenzione generale, lasciando il mondo in una distrazione di cui stiamo ancora subendo le drammatiche conseguenze.
Quello che è passato alla storia come laffaire Dreyfus era cominciato nel 1894 con la condanna allergastolo di un giovane ufficiale francese, il capitano Afred Dreyfus, per tradimento. Era accusato di aver comunicato segreti militari allambasciata tedesca. Rimase imprigionato per quasi cinque anni in una colonia penale nella Guiana francese, chiamata lisola del diavolo, prima di essere riportato in Francia per una revisione del processo.
Il 13 gennaio 1898 Émile Zola, con un furibondo articolo intitolato Jaccuse, mise allo scoperto le falsità con cui lapparato di potere militare aveva provocato la condanna dellinnocente Dreyfus mentre nascondeva le prove a carico del vero colpevole, il maggiore Ferdinand Walsin Esterhazy.
Nellimperversante polemica, si schierarono a favore di Dreyfus altri autorevoli personaggi, fra cui Anatole France, Henri Poincaré e George Clemenceau. Ma solo nel 1906, dopo varie ulteriori tortuosità giudiziarie, Afred Dreyfus fu definitivamente assolto e reintegrato nel suo grado. Nella guerra mondiale (1914-18) divenne tenente colonnello e Officiel de la Legion dhonneur.
In tutta questa vicenda cera un problema di razzismo. Dreyfus era ebreo. Oltre alla sua persecuzione, era una questione di civiltà. Lantisemitismo ne uscì sconfitto, ma non del tutto estirpato. Continuava ad avere inquietanti radici in Francia quarantanni dopo, quando andò al potere in Germania.
È esemplare il caso abitualmente chiamato watergate (dal nome di questo palazzo a Washington dove, nel giugno 1972, avvenne un furto negli uffici del Partito Democratico). La complessa vicenda è dettagliatamente raccontata da Bob Woodward e Carl Bernstein nel libro All the Presidents Men (1974).
Il titolo è palesemente ispirato da una nursery rhyme, ironica filastrocca per bambini, divenuta poi famosa nel mondo perché collocata come episodio simbolico in Alice through the Looking-Glass di Lewis Carrol (1874).
Humpty Dumpty sat on a wall,
Humpty Dumpty had a great fall.
All the kings horses and all the kings men
couldnt put Humpty together again.Humpty è un personaggio-uovo seduto
in cima a un muro. Cade e si rompe.
Tutti i cavalli e tutti gli uomini del re
non riescono a rimetterlo insieme.Il simbolismo è evidente. Nel caso di All the Presidents Men, la caduta è quella di Richard Nixon, presidente degli Stati Uniti. Bob Woodward e Carl Bernstein raccontano nel loro interessante libro (poi diventato un film, con lo stesso titolo, nel 1976) come allinizio pensassero di avere a che fare solo con un particolare episodio di spionaggio e scorrettezza politica. Ma, un passo per volta, la loro indagine si allargava. Con crescente sgomento e preoccupazione, scoprivano sempre più ampie responsabilità, fino a trovare coinvolto il presidente Nixon che fu costretto a dimettersi il 9 agosto 1974.
Un esempio di metodico, preciso giornalismo dinchiesta, attentamente e pazientemente verificato in ogni dettaglio prima di arrivare a un risultato oltre ogni iniziale previsione. Profondamente diverso dalla proliferazione di congetture, pettegolezzi, ipotesi azzardate, commenti incoerenti e chiacchiere vaneggianti che ci sommergono e ci confondono in molte situazioni di oggi.
Unindagine altrettanto precisa e accuratamente documentata è quella descritta da Ryan Burrough e John Helyar in Barbarians al the Gate (1990). Ma la lezione non è stata imparata. Ignorata dallopinione dominante e dalle autorità di controllo.
Non cè stata unesplicita repressione. Burrough e Helyar non sono stati perseguitati. Il loro lavoro non è stato messo allindice né pubblicamente bruciato. Non ci sono state accuse di diffamazione, neppure smentite o rettifiche. Più semplicemente, sulla mostruosa vicenda e sul suo significato si è stesa una torpida coltre di silenzio.
Il libro racconta, con esauriente esattezza in ogni dettaglio, la scalata alla RJR Nabisco nel 1988 il primo enorme LBO (leveraged buy out) nella turbinosa storia della fantafinanza americana e mondiale. Una sarabanda di soldi immaginari, giochi in borsa, manipolazioni finanziarie, junk bonds (titoli spazzatura) e ogni sorta di trucchi contabili, legali e fiscali.
Barbarians al the Gate è il testo più metodico e preciso che sia mai stato scritto sui giochi demenziali della finanza. Benché meno profondamente analizzati, non sono mancati altri segnali della catastrofe mondiale che stava maturando. A differenza delle proverbiali oche del Campidoglio, sono rimasti tutti ignorati. Mentre suonavano altezzose le trombe della folle credenza che speculazioni sregolate e selvagge avrebbero miracolosamente generato facile ricchezza per tutti.
Sono passati venticinque anni. Il barbaro, feroce e psicopatico contagio della speculazione sfrenata ha invaso il mondo, con effetti disastrosi sulleconomia reale e sulle condizioni umane e sociali.
Solo ora si cominciano a sentire voci, ancora flebili e inconcludenti, sulla necessità di arginare la pandemia. Mentre mancano quasi totalmente analisi significative da parte di un giornalismo non si sa quanto asservito, confuso o superficiale più in generale, in tutto il sistema di cosiddetta informazione.
In Italia, nel 1974 era uscito un libro di Eugenio Scalfari e Giuseppe Turani con leloquente titolo Razza padrona. Una documentata analisi dei perversi incroci fra il potere politico e gli egoistici interessi di grandi imprese pubbliche e private insieme alla corruzione e inefficienza della burocrazia.
Da allora il problema si è aggravato, e ulteriormente complicato, con storture che superano il peggio di ciò che si poteva prevedere quarantanni fa.
(Non ho lintenzione di essere critico verso un libro pubblicato nel 2007, che di nuovo denunciava il problema. Ma non sono daccordo con il titolo, che è rapidamente entrato nel discutibile gergo politichese. Si tratta di una cricca, forse si può chiamare ironicamente razza, ma non è una casta. Non siamo in India e non è unantica tradizione con profonde radici storiche e culturali).
Problemi di questo genere non sono una specialità italiana. In forme diverse, ci sono disfunzioni e prepotenze più o meno perverse in ogni parte del mondo. Ma è sconcertante che sia così scarsa la percezione dellorrenda pandemia che affligge tutti e si incrocia con tutto: la speculazione finanziaria.
Non si tratta solo del fatto che il sonno della ragione genera mostri, come era scritto in unacquaforte di Francisco Goya nel 1797.
Le tresche, palesi o nascoste, fra il giornalismo del pettegolezzo e gli intrighi del potere partoriscono una prole di mostriciattoli stupidi e insidiosi, che si accoppiano fra loro generando un marasma incomprensibile anche per i loro genitori. Questi grotteschi parassiti patogeni sarebbero ridicoli se non fossero gravemente dannosi.
Cè qualche rara sopravvivenza del giornalismo dinchiesta. Per esempio è diffusa e meritata lopinione che si possa attribuire questo ruolo alla trasmissione di Milena Gabanelli (Rai3). Ma immagino che anche lei e la sua squadra si sentano un po vox clamans in deserto. E non possono rimediare da soli a tutti i malanni dellinformazione. Gli approfondimenti documentati sono lunghi, faticosi e impegnativi anche per una redazione bene organizzata. (E anche questa, talvolta, si è lasciata irretire da qualche panzana).
Comunque, il problema è che le inchieste precise e approfondite, nei rari casi in cui qualcuno le fa, sono quasi sempre sommerse dallimperversante fracasso di banalità e pettegolezzi. Anche quando suscitano, per qualche giorno, un po di attenzione, poi cadono facilmente nel dimenticatoio.
I giornalisti seri o che vorrebbero esserlo non sono una specie estinta. Ho incontrato in parecchie circostanze persone che non sono sciocche, né superficiali. Ma sono frenate, ostacolate, disorientate da direttori, redattori, editori che le costringono a lavorare troppo in fretta, senza avere il tempo di pensare. O ad occuparsi di bazzecole, quisquilie e pinzillacchere, come diceva Totò, a scapito di cose interessanti che non sono la moda del giorno.
Fra i mali di cui soffre leditoria (compresa la televisione, la radio, i libri e tutte le altre forme di impresa editoriale) cè la sindrome di Arpagone. Lossessione scriteriata del profitto diventa autolesionismo, anche in termini economici.
Oltre ai condizionamenti che possono derivare dalla proprietà, cioè dagli interessi di chi possiede o controlla una testata, unemittente o una casa editrice, cè una deformante concezione del modo di guadagnare soldi.
Non tutto è scadente. Per esempio la ripubblicazione a prezzo basso dei classici (che non hanno costi di diritto dautore, né di redazione se derivano da buone edizioni già esistenti) offre facili guadagni alleditore insieme a qualità per i lettori. Ma molte pratiche diffuse sono assai meno virtuose.
Si moltiplicano con gran fracasso bestseller immeritatamente famosi. Si rabberciano manuali di discutibile qualità con grossolani aggiornamenti. Su temi al momento importanti si scrivono articoli frettolosi e superficiali, si mandano in onda trasmissioni improvvisate, si pubblicano instant book che nessuno può aver avuto il tempo di scrivere bene.
Si pagano poco e male i giornalisti. Tenendoli il più possibile in situazioni precarie, mandandoli alla ricerca di scoop spesso irrilevanti, costringendoli a una fretta snervante che impedisce di lavorare con metodo e serietà.
Si moltiplicano testate affidandone la redazione a fornitori esterni che badano solo a riempire pagine di banalità e scopiazzature al minor costo possibile. Qualcuna sopravvive e magari si organizza un po meglio. Molte muoiono, ma intanto forse si è guadagnato qualcosa con un po di pubblicità (pubblicando in abbondanza redazionali compiacenti per essere graditi agli inserzionisti quelle che nel mestiere si usano chiamare marchette).
Si imbottiscono le emittenti televisive di trasmissioni mediocri e banali, pagando compensi assurdi per la partecipazione di personaggi noti (o di amici degli amici) mentre è abbondantemente dimostrato, in giro per il mondo, come si possano avere ottimi ascolti con programmi meglio concepiti, che invece di rincretinire spettatori semiaddormentati sappiano stimolare qualche curiosità su temi meno monotoni e più interessanti.
Non cè scarsità di persone intelligenti capaci di dare un utile contributo, a un costo molto più basso del barboso salottino dei soliti famosi.
Invece di fare giornalismo di inchiesta, si rincorrono indagini e processi già iniziati dalla magistratura, o scandali proclamati da fonti non sempre attendibili, accumulando indiscrezioni confuse e devianti, ipotesi e commenti più o meno stravaganti, senza badare a come si possano offrire contributi realistici alle possibilità di soluzione o ai metodi per trovarle.
Ogni vicenda, che sia una tragedia umana, uno scandalo o un delitto, diventa il pretesto per grottesche sceneggiate in cui imperversano chiacchiere salottiere, commenti a vanvera e sproloqui divaganti. Si consultano come oracoli personaggi dello spettacolo, presunti esperti e vaghi opinionisti in cerca di notorietà, confondendo gli spettatori o i lettori e intralciando il percorso di indagini serie e verifiche concrete.
Lorgia dellapprossimazione e del sensazionalismo è talmente diffusa che non è raro leggere o ascoltare come certa unipotesi smentita il giorno dopo.
Per concludere, vorrei dire che non sempre le notizie negative sono le più interessanti. Che lo spavento possa riempire di pubblico un teatro si sapeva anche ai tempi del Grand Guignol. E si continua oggi con il cinema dellorrore. Ma quello è spettacolo, non presunta interpretazione della realtà.
La superficialità è talmente diffusa che può corrompere anche le buone notizie. Fra tanti esempi, uno di questi giorni. Si dice che è stata scoperta una cura universale del cancro, capace di guarire ogni genere di tumori senza usare chirurgia, chemioterapia o altre terapie aggressive.
Non è impossibile. Se vera, è una notizia straordinaria. Ma che senso ha buttarla lì senza alcun tentativo di approfondimento? Con il perverso rischio di illudere e confondere persone e famiglie in grave e dolorosa difficoltà.
E, se è vera, perché non cè una spiegazione chiara dello stato di sviluppo, né unindicazione di quando potrà essere disponibile nella pratica clinica?
Un po più di responsabilità e chiarezza, per piacere, signore e signori della stampa, della televisione e degli altri mass media (anche nellinternet cè uninvasione di vanità, bufale, commenti strampalati e confuse elucubrazioni).
Non so che cosa si possa fare per riportare il giornalismo dinchiesta al suo importante ruolo. Ci vorrebbe una mobilitazione dei lettori che scuotesse editori e direttori dal loro deprimente letargo. Ma mi sembra improbabile, perché lopinione pubblica, abbacinata e travolta dalla pseudoinformazione, si trova in uno stato altrettanto confusionale.
Intanto è sempre utile imparare a leggere e ascoltare. Non si tratta di elementare alfabetismo, ma dellarte sottile di capire, per non essere travolti dalla cavalcata delle bufale e invece saper cogliere i segnali interessanti che sono quasi sempre meno rumorosi. È vano sperare che possano esistere scuole di comprendonio. Lunica risorsa è essere curiosi e ostinatamente autodidatti.
Dodici testi su argomenti connessi
(oltre ai due citati nel testo)
Lirrefrenabile proliferazione delle fandonie
Ingormazione
Umore e psiche
Danni e stupidità della volgarità
Tettontimento
La crisi dellinformazione
Prostituzione che cosa vuol dire?
Cera una volta il mercato
Inferni e paradisi (fiscali)
Stupidocrazia
Dimensioni inesplorate della povertà
E in generale
Il potere della stupidità
Post Scriptum
a proposito di curiosità
Una mia amica e attenta lettrice mi ha chiesto: «perché quei grandi edifici a Washington si chiamano Watergate?» Così mi sono accorto di essere, anchio, curioso di saperlo. Ecco la risposta, con alcune altre osservazioni sul tema.
Gate vuol dire cancello. Ma anche, più estesamente, entrata, via di accesso porta intesa come varco nelle mura di un castello, una fortezza o una città. Al giorno doggi, un casello autostradale o un altro percorso di arrivo. (Perciò barbarians at the gate si potrebbe correttamente tradurre barbari alle porte).
Quel luogo a Washington è definito accesso dallacqua perché si trova dove la città si collegava al Cheasepake and Ohio Canal, che esisteva dal 1831 ma era caduto in disuso nel 1924 in seguito allo sviluppo di altri mezzi di trasporto. Comunque è vicino al fiume Potomac.
Vista del Potomac dalla terrazza di un appartamento del WatergateLimponente e lussuoso complesso di abitazioni, alberghi e uffici chiamato Watergate fu costruito, fra il 1965 e il 1968, da unimpresa italiana, la Società Generale Immobiliare progettato dallarchitetto Luigi Moretti.
Fra le tante stranezze dei neologismi cè il fatto bizzarro che sia diventato abituale usare il suffisso gate per definire la (reale o presunta) rivelazione di complotti, abusi e situazioni variamente scandalose.
Un altro modo di dire nato dallindagine di Bob Woodward e Carl Bernstein è deep throat (gola profonda) per citare una fonte di cui non si vuole rivelare lidentità.
Nel caso watergate, il silenzio è stato mantenuto per trentadue anni fino a quando, nel 2005, Mark Felt (allepoca era un alto dirigente dellFBI) ha voluto dichiarare pubblicamente che Deep Throat era lui. Il suo ruolo, precisano Woodward e Bernstein, non era stato rivelare segreti, ma solo confermare la credibilità di fatti che la loro indagine aveva già scoperto.