labirinto
Il filo di Arianna


agosto 2011
aggiunte ottobre
e novembre 2011

Giancarlo Livraghi


C’era una volta il mercato

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Com’era bello, il mercato. È stata una straordinaria invenzione. Diecimila anni fa – o forse anche prima. Ancora oggi ci divertiamo, da turisti, quando in qualche paese straniero dove la tradizione sopravvive esploriamo un mercato in tutta la sua turbolenta vitalità. O quando, anche da noi, ne troviamo qualcuno che conserva la stimolante atmosfera d’altri tempi.

All’epoca in cui nascevano i mercati, viaggiare era difficile, lento e rischioso. Si andava a piedi, tutt’al più a cavallo o a dorso di cammello (o con una zattera o una canoa lungo un fiume – i più coraggiosi si azzardavano ad attraversare un po’ di mare).

Da parecchi millenni l’umanità aveva imparato che non tutti sanno fare bene tutto, non a tutti si possono insegnare tutti i mestieri, è meglio dividersi i compiti e collaborare. Poi si scoprì che è ancora più vantaggioso se, invece di restare nei limiti della tribù o del vicinato, si allarga lo scambio ad altri, che sanno dove trovare, o come fabbricare, qualcosa di diverso.

Era nata la fertile economia del baratto. Ma c’era di più e di meglio. Allo scambio di oggetti (e delle conoscenze tecniche per farli e usarli) si univa la curiosità degli incontri. Presto si aggiunsero teatranti e saltimbanchi, giocolieri e buffoni, artisti e musicisti, cantastorie e portatori di notizie o leggende su luoghi e personaggi reali o immaginari. Con feste e danze, giochi e scherzi, corteggiamenti e seduzioni, in cui si intrecciavano amori, tresche o avventure che contribuivano all’esigenza biologica di arricchire la diversità genetica (anche se nessuno conosceva le leggi dell’evoluzione).

C’erano scribi e sapienti. Maghi e sibille. Ma anche, naturalmente, imbroglioni e lestofanti. Meretrici e prosseneti. Ladri e ricettatori. Liti e violenze, truffe e inganni. Assassini, sicari e soldati di ventura. Guerrieri erranti, non sempre impegnati a uccidere draghi o salvare fanciulle in pericolo. Briganti in agguato lungo le vie del commercio. C’erano anche intrugli e veleni, miasmi e sporcizie, parassiti e microbi, portatori di malattie – qualcuno ne moriva, ma gli altri sviluppavano nuove immunità.

Era comunque, per tutti, una festa. Un’occasione per rompere il ciclo delle abitudini, uscire dalla monotonia e dall’isolamento. Senza i mercati e i mercanti non si sarebbe sviluppata quella ricchezza di cultura e diversità che è un fertile ingrediente dell’evoluzione umana.

*   *   *

Poi qualcuno (non è chiaro chi, dove e quando) inventò il denaro. Un utile mezzo per facilitare gli scambi. Ma anche l’origine di nuovi problemi, come ci insegnano gli storici dell’economia e l’infinita serie di atrocità e violenze per un’esagerata, spesso insensata, maniacalità di accumulo della ricchezza.

(Una variante, meschina quanto insidiosa, di questo malanno
è descritta in Le miserie di Arpagone).

Nelle culture più influenti sui commerci, agli albori della storia, si stabilì uno standard condiviso – basato su due metalli belli e rari, l’oro e l’argento. Benché spesso truccato, durò per millenni, fino agli “anni settanta” del ventesimo secolo, quando dopo una serie di dibattiti internazionali si arrivò all’abolizione della “parità aurea” e l’identità del denaro come criterio di scambio divenne sempre più immaginaria – un “bene convenzionale” il cui valore è misurabile e paragonabile solo se tutti stanno ai patti. Con insidiosi vantaggi per chi riesce, in qualche modo, a imbrogliare le carte.

Intanto, nel diciottesimo secolo, era nato un altro meccanismo finanziario. La “borsa”, cioè il mercato azionario. Il concetto è utile e semplice: chi ha bisogno di soldi da investire vende partecipazioni alla sua impresa, chi vuole far fruttare i suoi risparmi le compra e si aspetta di avere, in proporzione, una partecipazione agli utili.

In pratica, la cosa non è mai stata del tutto chiara. Fin dagli inizi ci sono stati maneggi, imbrogli e speculazioni azzardate. Ma la parte più solida del sistema, basata su imprese di durevole affidabilità, funzionava abbastanza bene. Fino a quando, trent’anni fa, il meccanismo si è guastato.

*   *   *

Non è stato un errore, né uno sbandamento involontario. Un “liberismo” a oltranza ha portato, all’inizio degli anni ’80, a un’intenzionale e drastica demolizione di regole e controlli. L’impeto della scatenata finanza selvaggia, si prometteva, avrebbe creato ricchezza e benessere per tutti. Fu presto evidente che aveva l’effetto contrario. Ma ormai la demenza era diventata cronica. Talmente diffusa da cancellare ogni ombra di buon senso.

Era inevitabile che un mostruoso edificio, sempre più fragile e più alto, con visibili cedimenti strutturali, dovesse crollare. Così è stato nel 2007 – e le macerie, come era prevedibile, sono precipitate sull’economia reale.

Gli anni passano, ma nessuno sembra capire (o voler ammettere) che non ci può essere guarigione se non si estirpa la radice del male.

Ancora al giorno d’oggi, quando sentiamo dire “mercato”, sembra che esista solo quello dei titoli in borsa – come se fosse il mondo in cui viviamo. La cultura dominante è perversamente innamorata di un orrido parassita.

mantide
La più plausibile divinità del culto speculomaniaco
è la mantide religiosa, divoratrice dei suoi amanti
come degli altri insetti che trova sulla sua strada.

L’economia è sempre stata molto discutibile come “scienza”. Ma dalla confusione siamo passati alla follia. Chi può ragionevolmente pensare che il valore di qualsiasi cosa possa cambiare, senza plausibile motivo, nel giro di pochi giorni? O addirittura crescere e diminuire bruscamente quattro o cinque volte nella stessa giornata? C’è una semplice ed evidente spiegazione: si tratta di manovre speculative.

Con incredibile ritardo, qualcuno sta cominciando a chiedersi dov’è il guasto. Come può essere ammissibile, per esempio, che le cosiddette autorità di controllo siano imprese private, direttamente coinvolte nel gioco?

Una simile idiozia non sarebbe accettabile neppure in una bisca. Con una sostanziale differenza: chi gioca d’azzardo rischia soldi suoi. I bari della finanza si arricchiscono minacciando di mandare in rovina nazioni, organizzazioni, imprese, famiglie e persone in tutto il mondo.

Per esempio, l’Italia. Un mostruoso disavanzo nei conti pubblici è stato provocato da dissennati maneggi politici negli anni ottanta. Per più di vent’anni si è fatto finta di nulla (anzi si sono perpetrati, o permessi, altri sprechi che hanno peggiorato la situazione). E ora, all’improvviso, si scatena una frettolosa accozzaglia di “tagli” e prelievi indiscriminati (quando per stimolare una ripresa economica bisognerebbe fare il contrario) in servile, umiliante obbedienza agli stessi furfanti che hanno provocato la crisi.

Si sono gonfiate e sgonfiate, nella gazzarra mondiale, le “bolle” speculative. Alcuni dei colpevoli (pochi rispetto alla reale dimensione del problema) sono finiti sotto processo. Ma non si è imparata la lezione.

Nel clamore confuso dei ricorrenti catastrofismi alcuni fatti, di cui si parla poco, sono confortanti. Ci sono imprese, grandi e piccole, che continuano a lavorare e a crescere “nonostante la crisi” e non si lasciano confondere dalla speculazione.

Ma c’è anche qualcos’altro. Fra le notizie una, passata quasi inosservata, è curiosamente interessante. La procura di Trani ha deciso di incriminare, per malversazione, alcuni funzionari di due delle più potenti “agenzie di rating”.

Una rivoluzione mondiale può nascere da Trani? Sarebbe divertente, ma è improbabile. Però se ad altri, in giro per il mondo, venisse la stessa idea, si potrebbe fare un po’ di luce sugli intrighi e i maneggi dei vampiri.

Dov’è il demiurgo, o più semplicemente la voce di buon senso, che sappia mostrarci la strada per uscire dal marasma? Non si sa. Ma forse, più che un economista, un politico o un banchiere, ci vorrebbe uno psichiatra.




Post scriptum

Necroeconomia


Pochi giorni dopo aver pubblicato queste osservazioni, ho letto con vivo interesse un brillante articolo di Guido Ceronetti nella sua rubrica L’Altroparlante (Corriere della Sera, 20 agosto 2011).

Non è un caso che a fare chiarezza non sia un economista, né un cronista politico, ma uno scrittore, filosofo, poeta, drammaturgo. Che vive e pensa nel mondo delle vicende umane, non nelle oscure trame della perfidia finanziaria.

«Limitata e sporadica, – osserva Ceronetti – la depressione è esistita sempre, e con più nomi nominata: spleen, cafard, acedia, taedium vitae, etc. Oggi è epidemica, pandemica, colpisce chiunque. Contro questo pervasivo malessere (mal-di-essere) non tengono benesseri sociali o personali, e i farmaci (psicofarmaci, antidepressivi, sonniferi, Prozac) alimentano una sterminata industria, interessata ad attenuarla senza guarirla: a creare e diffondere il morbissimo della Dipendenza».

«Ora, questo vomitare ininterrotto stampato e mediatico, economia-economia-economia, questo non occuparsi d’altro delle classi dirigenti, questo sparare addosso alla gente con fucili automatici che c’è una crisi inaudita, mai vista finora, colossale, irrimediabile, ovviamente planetaria, in quale ideale pattumiera finisce – se non l’anima umana, la sostanza mentale, col fine di farli a brandelli? Siamo, ascoltando la radio, leggendo i giornali, un bugliolo tremante, un triste cesso dove si deposita il malaugurio – vedi i titoli, assorbi i commenti, crogiòlati negli approfondimenti... E l’anima umana (se vuoi puoi chiamarla anche psiche, ma non ti permetto di chiamarla dna) piglia il nutrimento, come un eterno lattante, da quando esiste il linguaggio radicato nel pensare, dalle parole».

«Perché l’anima accolga come vitale nutrimento le parole, occorre che nessuna abbia riferimento a questo drago fumante che viene chiamato economia non osando guardarlo in faccia e ucciderlo. L’economia, nel linguaggio, è fecalità invasiva, bisognosa di purga drastica. Fa’ che l’assorbiamo in quantità crescente da tutto quel che è parlante e vedrai in quale stato avrai ridotto questo tapino di inconscio, individuale e collettivo».

«Il nostro rapporto col mondo numerico è fatto dalle piccole cifre. Anche un ministro dell’economia, che ha la sartoria dei miliardi in dollari e in euro, quando spende da uomo qualunque conta i centesimi nel portamonete».

«Il vero mercato, per tutta la gente comune, e nel mondo, il mercato che lascia l’anima vivere, è il mercatino ortofrutticolo, o la fiera mensile dell’antiquariato. Le cifre spasmodiche delle Borse, invece, sono percentuali di morte, necroeconomia, come la definì la “Welt”. E dappertutto dove il leviatano fetentissimo della necroeconomia alza la testa spaventosa, la Depressione miete vittime a milioni. E non c’è difesa».

L’allarme di Guido Ceronetti non è esagerato. La necroeconomia non ci ha ancora portato sulla soglia di estinzione della specie, ma ha già prodotto danni enormi, compresa la miseria, l’infelicità, la disperazione e la morte di un numero incalcolabile di persone, abbandonate alle loro disgrazie mentre i poteri di tutto il mondo si affannano sul “leviatano fetentissimo” della speculazione finanziaria.

Ai danni diretti, degenerazione dell’economia reale e della società civile, si aggiungono gli smisurati effetti di quel “drago fumante” che è l’ossessiva ripetizione di fantasmagorici allarmi e profezie di sventura nella marea di disinformazione che non si accorge, o finge di non capire, di essere diventata “un bugliolo tremante, un triste cesso dove si deposita il malaugurio”.

Il modo reale non è un giardino di felicità e di benessere. Ma avremmo molte più possibilità di capire – e tentare di risolvere – i problemi se non fossimo accecati dalle danze macabre negli ingannevoli maneggi della speculazione. Sarebbe una buona idea se un patologo culturale mettesse a punto una “purga drastica”. O se un generoso cavaliere trovasse un modo per uccidere il drago. Ma intanto sarebbe un passo avanti se il mondo dell’informazione si svegliasse e ci aiutasse a uscire dall’incubo.


Bosch

Ci sono controversie esegetiche su quali simbologie culturali, o abissi
dell’inconscio, ispirassero il geniale orrore nei dipinti di Hieronymus Bosch.
Il fatto è che si adattano crudelmente bene alla necroeconomia di oggi.
Sarebbe una tragica ironia se l’umanità, sopravvissuta con enormi
sacrifici e sofferenze a turbamenti del clima, pestilenze e guerre,
calamità e conflitti, ora rischiasse la catastrofe per la stupida
perversità di una cricca di manipolatori finanziari.




Un altro post scriptum

Si comincia a capire?

ottobre 2011


I mesi (e gli anni) passano. Il problema rimane. Ma sembra che, finalmente, ci sia qualche segnale di una percezione meno confusa. Si comincia, anche se un po’ vagamente, a capire che la speculazione finanziaria ha avvelenato tutto il sistema, con perverse “ricadute” sull’economia reale, sulla società, sulla cultura, sulla vita quotidiana e sul futuro delle persone. (Anche in quelle parti del mondo in cui la “crisi” non è percepita direttamente, si riflette nella continua diffusione di orribili sofferenze, comprese situazioni di estrema gravità che nessuno “trova il tempo” di affrontare e risolvere).

“Qualcosa” si muove. Ma non è abbastanza chiaro. C’è una ben motivata, ma disordinata, protesta a Wall Street – che da New York si è estesa ad altre città americane e si sta diffondendo in giro per il mondo, compresa l’Italia. Qualche commento comincia ad apparire, talvolta, nei giornali.

Per esempio in un interessante articolo di Danièle Blondel
Le Monde 3 ottobre 2011
Du «marché» meurtrier à la «bonne intelligence» économique et sociale

 

Ci sono “passi avanti”, ma la mira è ancora imprecisa. Non è abbastanza concentrata sulle perverse manipolazioni dei negromanti finanziari.

È un bene che si diffondano i dubbi e le polemiche. Ma per uscire dal velenoso pantano occorrono idee e soluzioni molto più concrete e precise.

Non si tratta di abolire il mercato (quello vero). Ovviamente è impossibile – e comunque non sarebbe desiderabile. Non si tratta neppure di sopprimere del tutto i “mercati finanziari” – ma di ridurli, drasticamente, ai limitati ruoli in cui possono essere utili. Al servizio, se e quando occorre, dell’economia reale. Mai più in condizione di dominarla e asservirla ai loro capricci.

Non è così difficile come può sembrare. Ma è necessario che l’opinione pubblica sia meglio informata sulla reale natura del problema. E, con l’aiuto di mezzi di informazione e comunicazione che sappiano diventare più lucidi e consapevoli, meno asserviti e disorientati, possa costringere i governi e gli organi di controllo a svolgere davvero il loro compito.

I sordidi congiurati della finanza sono molto peggio di Catilina. Quousque tandem abutebuntur patientia nostra?



A questo proposito vedi anche La stupidità del potere
capitolo 10 di Il potere della stupidità



Alcune citazioni

ottobre 2011


Osservazioni di epoche diverse possono aiutarci a capire un po’ di prospettiva.
 

Las Vegas si offenderebbe se confrontata a Wall Street. A Las Vegas i giocatori sanno quali sono le probabilità. A Wall Street le manipolano mentre si gioca.
John Ensign

Le persone non capiscono il sistema bancario e monetario. Se lo capissero, ci sarebbe una rivoluzione domani mattina.
Henry Ford

L’economia mondiale è la più efficiente espressione del crimine organizzato. Gli organismi internazionali che controllano la moneta, il commercio e il credito praticano il terrorismo contro i paesi poveri e i poveri in tutti i paesi.
Eduardo Galeano

Le istituzioni bancarie sono più pericolose per la nostra libertà di un esercito in armi. Se il popolo americano permetterà a banche private di controllare il denaro, prima con l’inflazione, poi con la deflazione, le banche e il sistema finanziario priveranno i cittadini di ogni proprietà fino a quando i loro figli si sveglieranno senza casa nel continente che i padri avevano conquistato.
Thomas Jefferson

Lasciatemi controllare il denaro di una nazione e non importa chi fa le leggi.
Amschel Mayer Rothschild
(L’attribuzione è incerta, ma il concetto è chiaro).

Siamo su un treno che va a trecento chilometri all’ora, non sappiamo dove ci sta portando e, soprattutto, non ci siamo accorti che non c’è il macchinista.
Carlo Rubbia

Una banda internazionale di speculatori finanziari, senza anima né cuore, ha creato un mondo di illegalità, di miseria e di orrore. È urgente mettere fine al suo regno criminale.
Jean Ziegler

Spero che questi pochi esempi bastino per inquadrare la situazione.





Un’altra ipotesi

È una malattia mentale?

novembre 2011


Mentre continuano incessanti elucubrazioni sulla “crisi”, polemiche e dissensi sui metodi per risolverla, “indignazioni” legittime ma incoerenti, contrasti di potere e manipolazioni di ogni specie, insomma una pericolosa confusione, emergono in giro per il mondo altre voci, finora poco ascoltate, che aiutano a capire meglio la vera natura del problema.

Un caso curioso, a modo suo interessante, è una notizia che si è diffusa il 21 novembre 2011.

Alla fine della prima parte di questo articolo (agosto 2011) concludevo così le mie osservazioni. «Dov’è il demiurgo, o più semplicemente la voce di buon senso, che sappia mostrarci la strada per uscire dal marasma? Non si sa. Ma forse, più che un economista, un politico o un banchiere, ci vorrebbe uno psichiatra».

L’intenzione era, ovviamente, ironica. Ma non del tutto. L’isteria collettiva scatenata dalle conseguenze della speculazione finanziaria non è solo un’epidemia di stupidità, ma spesso ha anche le caratteristiche di una contagiosa malattia mentale.

Ora il tema è proposto, seriamente, da Mitchell Anderson. La sua tesi è che l’uno per cento dell’umanità sia afflitto da una pericolosa psicopatia – e che tenda a coincidere con quell’uno per cento che è coinvolto nelle leve finanziarie dell’economia mondiale.

Time to Test Corporate Leaders to Weed out Psychopaths

L’articolo di Mitchell Anderson si riferisce anche a un precedente studio di Clive Boddy Teoria psicopatica della crisi finanziaria globale pubblicato nel Journal of Business Ethics il 9 agosto 2011.

The Corporate Psychopaths Theory of the Global Financial Crisis

 
Il concetto di psicopatia nelle gerarchie di potere
era stato sviluppato nel 2006 nel libro
Snakes in Suits – When Psychopaths Go To Work
di Paul Babiak e Robert Hare
ma si trattava di gestione delle grandi imprese
più che di manicalità nella speculazione finanziaria.
 

Mitchell Anderson e Clive Boddy concordano sul fatto che, benché non siano definibili materialmente come maniaci omicidi, gli individui ai vertici della speculazione finanziaria sono «psicopatici afflitti da una condizione biochimica geneticamente ereditata che li rende incapaci di avere una normale empatia umana». Nell’assurdità della “crisi” «crescono come squali e rischiano di uccidere l’economia mondiale».

Questa immagine, che accompagna
l’articolo di Mitchell Anderson, è eloquente.
Benché non siano pazzi assassini, sono un pericolo mortale.

scure
    Not murderously insane, just devoid
    of empathy and ultimately destructive

 
Secondo un interessante articolo di Isabelle de Foucaud, pubblicato da Le Figaro il 28 settembre 2011, uno studio clinico condotto dall’Università di San Gallo dimostra che i trader di borsa sono “più matti degli psicopatici”.

Non è facile capire quanto la psicopatia dei manipolatori finanziari si possa attribuire a caratteri genetici o a condizioni culturali. Comunque, è molto probabile che sia inguaribile.

Affidarne l’identificazione a perizie psichiatriche sarebbe lungo, complicato e difficile. Non c’è il tempo di elaborare diagnosi e sviluppare antidoti. Diventa sempre più urgente togliere di mezzo non solo gli psicopatici responsabili delle manipolazioni, ma anche le organizzazioni che gestiscono abusivamente il sistema – e tutti i molteplici, insidiosi ruoli in cui si antepone la speculazione all’economia reale e alle esigenze umane, sociali, civili cui è necessario restituire le leve di controllo se vogliamo trovare una via d’uscita. Non è così difficile come lo fanno sembrare, ma richiede un radicale cambiamento di prospettiva.

E non si può trascurare il fatto che, in trent’anni di continuo degrado, l’epidemia speculativa e le psicopatie finanziarie hanno infettato i vertici, le strutture gerarchiche, la mentalità e i metodi di imprese e sistemi di potere. Non è facile, ma è indispensabile, un’energica disinfezione.


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Su questo argomento vedi anche  Uomini e topi   Stupidocrazia
I danni mostruosi della burocrazia   Inferni e paradisi (fiscali)



 
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