Il ruolo delle donne
in tutta l’evoluzione umana

Giancarlo Livraghi – ottobre 2011

Pubblicato nel numero 20 (ottobre 2011)
della rivista l’attimo fuggente


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Per superare ostacoli e risolvere problemi occorre
un cambiamento di prospettiva che sgombri il terreno
da manie e ipocrisie, elimini inutili complicazioni
e dissensi, ci aiuti a capire meglio la realtà


È un argomento importante. Dovrebbe essere piacevole, interessante, stimolante, affascinante. Ma c’è molta confusione. Gli imperversanti dibattiti sul ruolo delle donne sono complicati, spesso inconcludenti, frequentemente contorti, banali, ripetitivi – e noiosi. Sembrano tutti basarsi su una premessa apparentemente semplice. E sostanzialmente sbagliata.

Le donne, si pensa e si dice, sono sempre state oppresse da una cultura inesorabilmente maschilista. Si presume che, fin dalle origini dell’umanità, fosse quella la loro invariabile condizione. E che solo dalla seconda metà del diciannovesimo secolo, quando le “suffragette” cominciarono a mobilitarsi per il diritto di voto, ci sia stata per la prima volta un’evoluzione verso la parità – ovviamente non solo giuridica, ma anche sociale, civile e culturale.

Se così fosse, ci sarebbe molto da fare, ma poco da ragionare. Una volta che la strada, finalmente, è tracciata, ora si tratterebbe semplicemente di percorrerla con energia e coerenza – ma con inevitabile fatica e difficoltà.

Dove la parità è vicina, può sembrare che basti insistere a oltranza perché sia completa. Dovrebbe essere facile, perché c’è un dichiarato consenso. Ma i dibattiti sono confusi, le ipotesi contrastanti, le ipocrisie insidiose, gli esiti incerti e inutilmente complicati.

Dove (purtroppo in molte parti del mondo) l’oppressione è feroce occorre nutrire in tutti i modi possibili l’impegno, l’indignazione, l’apertura, la cultura, il cammino verso la civiltà. L’intenzione è chiara, ma l’esito è deludente. I problemi sono noti, ma le soluzioni sono lontane. Qualcosa si sta facendo, ma con molta fatica, incontrando caparbie resistenze e pesanti ostacoli. Ci sono situazioni in cui si va di male in peggio.

Se la condizione delle donne fosse “da sempre” sacrificata e repressa, sarebbe tutto molto difficile. Sradicare una malapianta dominante da duecentomila anni (o più di due milioni, se la considerassimo intrinseca agli “ominidi” da cui discendiamo) sarebbe un’ardua impresa. Ma, con meno pregiudizi e con un’interpretazione meno superficiale del processo evolutivo, il problema si può capire (e risolvere) in una prospettiva diversa.

Sarebbe sciocco azzardare qualsiasi profezia. Ma proprio nella molteplicità dell’imprevedibile possono emergere risorse interessanti. Dietro la coltre delle apparenze maturano evoluzioni capaci di aprire possibilità inattese. Possono sembrare piccole ed esitanti, effimere e fragili, ma non meritano mai di essere trascurate. Coltivare i semi di una vitalità spontanea, che restava nascosta in attesa di trovare un’atmosfera favorevole, è spesso molto più efficace che tentare di imporre dall’esterno regole schematiche o generiche dichiarazioni di concetti astratti.

Ormai anche nei luoghi più remoti arriva, presto o tardi, la constatazione che una donna può essere tecnico, ingegnere, chirurgo, pilota d’aeroplano, filosofo, imprenditore, magistrato, poliziotto, astronauta, protagonista degli studi più avanzati di biologia, fisica o cosmologia... eccetera. In pratica può svolgere tutti i ruoli, compresi quelli che tradizionalmente si consideravano maschili. Può guidare un governo o una grande impresa – perfino combattere in guerra e arrivare ai più alti gradi di una gerarchia militare.

Molte discriminazioni, dichiarate o nascoste, continuano a imperversare – ma è sempre più difficile far credere che possano avere qualsiasi legittimità o giustificazione.

Insomma è tutto chiaro? Dobbiamo davvero credere che dopo duecento (o duemila) millenni di ininterrotto maschilismo dominante, solo da un secolo e mezzo si sia cominciato a capire che il ruolo delle donne può essere diverso?

Se così fosse, dovremmo essere entusiasti dei risultati già raggiunti in tempi brevissimi rispetto al percorso dell’evoluzione umana. E dirci che ci vorrà ancora molta ostinazione per andare contro quella che (si suppone) è sempre stata una tendenza dominante. Due, tre, forse dieci generazioni per poterci avvicinare a un nuovo equilibrio.

Ma non è così. Perché la storia è un’altra. Per cominciare, è necessario allargare un po’ la prospettiva. Le differenze di sesso, o di genere, non sono una particolarità della specie umana. Nell’infinita varietà dell’evoluzione biologica, ci sono innumerevoli differenze di ruolo. Con maschi dediti a compiti che a noi sembrano femminili – e viceversa. Nulla nelle radici della vita impone rigidi o costanti modi di realizzare ed equilibrare le “necessarie diversità” fra maschi e femmine. Ciò che è diverso, nel genere umano, è il modo in cui i ruoli si definiscono.

In altre specie, vegetali o animali, è prevalente la struttura genetica. Per noi, no. Il problema (e perciò la soluzione) è soprattutto culturale. Anche quando per motivi di forza fisica c’erano ruoli più adatti agli uomini (e, per diverse “doti naturali”, altri in cui erano superiori le capacità femminili) la distinzione non era così netta come immaginavano concezioni tradizionali oggi smentite dai più avanzati studi di paleoantropologia.

È ovvio, ma occorre ricordarlo, che c’è una differenza molto importante. Le donne hanno gravidanze e partoriscono. Gli uomini no. Perciò, da sempre, sono le donne il “sesso forte”.

Non è remota l’ipotesi che con un po’ di ingegneria genetica, o semplicemente conservando (come si fa in alcuni allevamenti di animali) una piccola minoranza di maschi per rifornire e rinnovare le “banche del seme”, diventi possibile un’umanità di sole donne – o quasi. Magari anche liberate dal peso fisico della “dolce attesa”, con incubatrici come quelle immaginate da Aldous Huxley nel suo straordinario capolavoro Brave New World (1932).

Ma non sarebbe una buona idea. Come anche in altre specie, ma con particolare importanza nella nostra, un essere umano non cresce solo nell’utero materno. Ha bisogno, dopo la nascita, di un’enorme quantità di apprendimento. Che poi (anche se in forma, gradualmente, meno intensa) dura per tutta la vita. In questo necessario sviluppo è importante che siano coinvolti non solo il padre e il resto della famiglia, ma anche molti altri, maschi e femmine, ognuno nel suo ruolo e secondo le sue capacità.

Quando Margaret Mead, ottant’anni fa, studiava le culture matriarcali in Polinesia, dove i bambini (maschi e femmine) crescevano in “collegi” governati solo dalle donne, constatava la necessità di un “ruolo maschile” – che, escluso per motivi gerarchici il padre, era affidato a uno zio materno.

Non è un fenomeno “eccezionale”, solo di alcune particolari strutture sociali. È un’esigenza diffusa in tutte le culture. Anche indipendentemente dalla psicanalisi, è un fatto che nella vita di ogni essere umano il “ruolo paterno” è incarnato, in vari periodi e situazioni, da persone diverse. È altrettanto vero per il “ruolo materno”. Così è sempre stato. Perciò non è “nuovo” che le donne possano avere ruoli che solo l’abitudine definisce maschili. E viceversa.

Da un punto di vista diverso, ma coincidente, è profondamente radicata nelle più antiche culture umane la comprensione dell’armonia che nasce dall’incrocio dinamico di due grandi forze del pensiero e della natura, definibili come “maschile” e “femminile”. Yin e Yang, Iside e Osiride, Shiva e Parvati, Urano e Gea, Giove e Giunone... un filo chiaro correva nel pensiero di tutti i tempi, prima ancora che si cristallizzasse come culto religioso. Anche in filosofia (benché senza caratterizzazioni maschili o femminili) ci sono definizioni dello stesso genere, come la dialettica (non solo hegeliana) tesi-antitesi-sintesi.

Nei suoi approfonditi studi di mitologia, Robert Graves nel 1948 tracciava l’affascinante percorso della Dea Bianca, fortemente presente fin dall’inizio dei culti più antichi. Poi stranamente rimossa, in tempi più recenti, dalla intollerante prepotenza di divinità maschili, come quella che continua a imperare nei più diffusi monoteismi. (Anche se nessuno dei profeti ha mai assegnato alle donne un ruolo così avvilente come quello imposto da alcuni dei loro degenerati seguaci).

Insomma il “maschilismo” non è nelle radici della natura e cultura umana. È un’ingombrante sovrastruttura che si è diffusa negli ultimi due millenni. Un tempo molto breve nella nostra evoluzione. È venuto il momento di chiudere quella degradante parentesi, più che mai intollerabile nel mondo di oggi e di domani.

E allora... in conclusione... oggi, le donne? Dal quadro che ho cercato di tracciare mi sembrano evidenti alcune deduzioni. Ci sono due fatti fondamentali di cui dobbiamo tener conto. Apparentemente contrapposti, in realtà complementari.

Uno sta nelle radici della nostra specie, fin dalle origini. Il ruolo delle donne non è mai stato solo quello di allevare figli e “badare al focolare”. E neppure gli “uomini del paleolitico” sono mai stati simili a un immaginario buzzurro armato di clava, in atto di trascinare per i capelli una donna più perplessa che spaventata. Quei personaggi esistono solo in vignette o barzellette di discutibile comicità. C’è sempre stata una più complessa – e più funzionale – distribuzione e condivisione di compiti e attività.

Su questo argomento vedi anche Le donne e la rete.

L’altro fattore determinante è da capire nella situazione di oggi. L’umanità è sempre stata unica, rispetto a ogni altra specie, perché sa “fabbricare strumenti”, conservare e sviluppare conoscenza ed esperienza di come farli e usarli. La novità è che la molteplicità di risorse tecniche ha raggiunto un livello non solo più alto di qualsiasi cosa che avessimo conosciuto prima, ma anche sostanzialmente diverso.

(Qualcuno dice, non senza ragione, che stiamo arrivando ad avere il potere che un tempo attribuivamo agli dei. Ma dobbiamo imparare a essere meno bizzarri e capricciosi di quelli dell’Olimpo, o del Walhalla, perché non abbiamo alcun cielo in cui rifugiarci se ci lasciamo scappare qualcosa dal vaso di Pandora. Può aiutarci un po’ di pragmatica saggezza femminile? Non lo so, ma mi piace sperare che sia possibile).

Prima di avvicinarci a una conclusione, è opportuno osservare anche un altro aspetto del rapporto fra uomini e donne. C’è una differenza fra l’intelligenza maschile e quella femminile? Il concetto non è privo di significato, ma perché sia fertile occorre capirlo senza rigidità.

Vista come invalicabile separazione, è una sciocchezza. Non è solo delle donne la capacità intuitiva, né solo degli uomini il pensiero logico e sistematico. Se invece capiamo che è una qualità condivisa, possiamo liberarci da barriere inesistenti. In tutti, maschi e femmine, sono presenti tutte e due le risorse. In ogni essere umano ragione ed emozione, sentimento e razionalità, convivono in una mescolanza che talvolta può essere scomoda, ma è di indispensabile fertilità.

In ognuno e ognuna di noi è viva e presente “l’altra metà del cielo”. Ogni schieramento “tutto maschile” o “tutto femminile” non è una prova di forza, ma una forma insidiosa di stupidità. Se togliamo di mezzo gli “ismi” tutto diventa più chiaro (non perché i problemi così possano scomparire, ma perché è molto meno difficile capirli e risolverli).

Così è sempre stato. Ma qualcosa sta cambiando. Abbiamo più possibilità di rompere le barriere. E impegnarsi a farlo è diventato urgente.

Il fatto è che oggi tutti, uomini e donne, abbiamo possibilità e responsabilità superiori a ogni immaginabile ipotesi del passato. Discriminazioni e repressioni, che sono sempre state perverse, oggi diventano insostenibili. La parità (e condivisione) di diritti e doveri, di ruolo e di impegno, non è solo una fondamentale esigenza morale e civile. È una necessità di sopravvivenza.

Non c’è tempo da perdere. E perciò è importante capire quale prospettiva ci può aiutare a trovare soluzioni prima che sia troppo tardi.

Se dovessimo sradicare discriminazioni e fobie insite nella natura della nostra specie, sarebbe molto difficile arrivare a risultati concreti prima che le tendenze retrograde degenerino in conflitti catastrofici.

Per fortuna non è così. Se barriere o distinzioni di ruolo potevano avere un senso quando usavamo strumenti che richiedevano particolari risorse fisiche, oggi i motivi di differenza sono scomparsi. Contano le capacità mentali e culturali, la volontà e l’impegno.

In un paese come il nostro la condizione femminile è già, in molte cose, migliorata.

E tutti sono d’accordo (o almeno dicono di esserlo) che occorre andare avanti fino alla parità completa. Se per progredire dovessimo nuotare contro corrente, sarebbe un compito da affrontare con caparbia ostinazione, forse anche con asprezza e ostilità. Ma la realtà è un’altra.

I pregiudizi e gli ostacoli, anche quando sembrano massicci e trionfanti, sono strutturalmente fragili. Non occorre demolirli con un ariete, né attaccarli con violenze o esagerazioni che suscitano fastidio e perplessità, complicando inutilmente lo sviluppo. È più efficace rosicchiare le loro goffaggini, approfittare delle loro sciocchezze, spingerli verso l’estinzione senza dubbi e senza tolleranza, ma anche senza rabbia. Con la forza dei fatti più che con il chiasso delle polemiche.

Se questo è vero nelle culture libere e aperte, dove ognuno può esprimere la sua opinione, in altre (troppe) situazioni, dove la repressione è imposta con violenza, ovviamente rompere gli schemi è molto più difficile. Ma non si tratta solo di ribellarsi contro l’ingiustizia e la crudeltà. Occorre capire che si tratta di devianti e arbitrarie sovrastrutture, prive di radici nella natura e nella cultura umana. Non basta denunciare e condannare gli abusi. È necessario anche scoprire, favorire e aiutare, in tutti i modi possibili, quelle spinte nascoste che esistono dovunque e possono trovare inaspettato vigore in ogni spiraglio o sussulto di libertà.

Dove e quando le donne hanno la possibilità di studiare e imparare, spesso sono più brave dei maschi. Se, per questo motivo, prendono il sopravvento, è meglio per tutti. Ma sarebbe insensato che fosse un “conflitto di genere”. Che ci piaccia o no, siamo tutti nella stessa barca. E tira aria di tempesta. Se nell’equipaggio non c’è collaborazione e armonia, è forte il rischio di andare a scogli.

È comunque un pericoloso errore pensare che debba esserci sempre uno scontro fra maschilismo e femminismo. O che all’interno di immaginari schieramenti ci sia sempre solidarietà. L’esperienza di tutti i tempi dimostra che ci possono essere fra le donne, come fra gli uomini, aspri conflitti. E, viceversa, che non è rara una sincera solidarietà senza distinzione di genere.

Ci sono, oggi come sempre, donne di potere che badano al proprio egoismo e non si preoccupano della condizione femminile (né, in generale, del benessere dei sudditi). Ci sono anche donne, in tutti i livelli della scala sociale, perversamente attive nel reprimere, asservire, perseguitare altre donne (così come ci sono, ovviamente, uomini che hanno lo stesso comportamento). Una presunta “guerra fra i sessi” non è solo un grossolano errore concettuale. È anche, in pratica, un modo per peggiorare la situazione.

La soluzione, ovviamente, non è un generico e compiacente “vogliamoci bene”. Dissensi e discussioni, preoccupazioni e allarmi, hanno un ruolo indispensabile. Ma il fatto irritante e deprimente è che troppo spesso ci si perde in chiacchiere, con la noiosa e inconcludente ripetizione di insulsi pregiudizi e preconcetti (o di generiche, divaganti “buone intenzioni”). Questa non è solo una fastidiosa perdita di tempo. È anche un ingombrante ostacolo alla comprensione (e perciò alla soluzione) dei problemi.

Il vero, pericoloso nemico è il potere della stupidità. Che imperversa senza distinzione di genere, etnia, origine o cultura. Questo si, è un male antico, radicato fin dalle origini, non solo della nostra specie, ma probabilmente in ogni forma di vita. Non è con la stizza o con lo scaricabarile che possiamo ridurre i danni. È solo con la lucidità di capire dove e come il malefico mostro si nasconde.


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Alcuni testi su argomenti connessi

Su “le donne e la rete”
un articolo pubblicato nel 2006
un’intervista e un altro articolo nel 2011

La rete è femmina 1996
e capitolo 10 di L’umanità dell’internet 2001

L’arte di comunicare 2008

Il naso di Cleopatra 2010

Stupidità istinto o cultura 2010



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