Il Padiglione delle isole Fiji

Succede sempre all'uscita della biennale di Architettura di Venezia di incontrare qualcuno che dice: "Non hai visto il padiglione delle isole Fiji? ah, beh, allora ti sei perso il meglio."

Io quest'anno ho visto il padiglione delle isole Fiji.

Devo dire che non è stato facile, perché anche percorrendo in lungo e in largo in tutta la loro ampiezza i giardini dell'esposizione, il padiglione è praticamente invisibile. Quindi se a voi non è capitato di vederlo, non vi preoccupate, è del tutto normale. Anche per me è stato difficile. Anzi, chissà quante volte ci sarò passato davanti senza accorgermene. Con ostinazione l'ho cercato e, alla fine, l'ho trovato. Così adesso ve lo racconto.

Il padiglione delle isole Fiji è fatto così. Non si fa vedere. Te ne puoi accorgere per un rumore diverso dagli altri, o perché vedi brillare qualcosa tra le foglie di un albero. Niente di più. Immaginate quindi il mio stato d'animo. Nel cercare qualcosa che non sapevo neanche come fosse fatto, e che quindi non sapevo come cercare. Si può cercare una casa, un automobile o un gatto perché sappiamo come sono fatti, li conosciamo, li abbiamo visti tante volte. Ma un padiglione delle isole Fiji chi lo ha mai visto, chi sa come è fatto. Avevo anch'io quasi perso le speranze di trovarlo e mi aggiravo come uno zombie in mezzo alle rovine di una civiltà. Sedevo sconsolato su un pezzo di lamiera bruciata e contorta. Sedevo su quell'acciaio che un tempo aveva svolto un compito importante, aveva fatto parte di una grande struttura, la più alta e più importante del mondo. Il World Trade Center. E così seduto meditavo sul da farsi. Avevo visto tutte quelle foto di distruzione, roghi, polvere, un'euforia di pompieri, volontari e bandiere. Nel padiglione americano. Ero stanco. Ma io cercavo il padiglione delle isole Fiji e mi venne in mente una cosa. Forse nessuno l'ha mai visto perché chi lo aveva cercato prima di me commetteva qualche errore. Era un ipotesi da considerare. Padiglione olandese, per rilassarmi e riposarmi. Mentre cammino ricordavo dell'allestimento di due anni prima, fantastico. Purtroppo quest anno non c'erano divani né posti comodi dove stare, ma solo quattro teche che contenevano dei modellini. Erano dei bei progetti, almeno da quello che si capiva. La dimostrazione, se ancora ce ne fosse bisogno, di una certa qualità diffusa nell'architettura olandese. Qualcosa più vicino al concetto di gusto all'olandese, qualcosa come una moda o una tendenza. Non moda in senso riduttivo, ma gusto, un'estetica olandese. Insomma un padiglione che impone come un dogma il buon gusto per l'architettura che c'è in olanda. Senza dire nulla di nuovo, senza lanciare una provocazione o un idea. Ma io cercavo il padiglione delle isole Fiji. Senza sosta. Sono passato per la Corea, il Giappone, la Germania in uno stato di ebbrezza per le successive immersioni in diverse culture. Fino a che non mi sono trovato fra la Francia e l'Inghilterra vicino a una zona boscosa. Stavo in piedi vicino agli alberi, a fumarmi una sigaretta, senza fretta. Stavo decidendo cosa fare, quando mi sono sentito chiamare. Non una voce, un sibilo, o un fruscio. Un qualcosa che richiedeva la mia attenzione alle mie spalle. Mi sono voltato e mi sono reso conto che la vegetazione era percorsa da un fremito. In perfetta assenza di vento. Qualcosa di innaturale. Le foglie delle piante ondeggiavano con uno strano ritmo da una parte e dall'altra senza ragione apparente. Come in una coreografia. Ero davanti al padiglione delle isole Fiji. Ecco come era fatto, dall'esterno era una fedele rappresentazione della realtà. Talmente fedele da ingannare una persona a due metri di distanza. Mi misi gli occhiali e mi avvicinai di più. Ora vedevo meglio, e potevo anche notare una leggera pixelatura dell'immagine. Le foglie erano priettate in prospettiva, e la materia che ne restituiva l'immagine era ora lucida ora opaca. Non era uno schermo a led. Era vera e propria materia digitale. Non c'erano le ottomila candele a metro quadrato, non era una materia che emetteva luce, ma una materia che rifletteva luce. Per questo nessuno l'aveva notato. Era chiaro. Allungai la mano verso la vegetazione più fitta, e diventava sempre più freddo, a un certo punto successe la cosa più incredibile che mi sia accaduta in vita mia. Semplicemente la mia mano scomparve e la persi di vista. So che alcuni di voi faranno fatica a credermi. Mi sembrava che la mano per intero fosse immersa nel ghiaccio, una specie di vapore secco, non umido, ma estremamente freddo, un gelo quasi denso. La sensazione non era localizzata, ma diffusa su tutto il braccio fino al gomito che comunque continuavo a infilare dentro. Un freddo tonico. Entro e mi trovo nell'acqua, fa freddo come in mare aperto, il mare è in burrasca, io sono immerso fino al collo. Tocco per terra ma le onde mi sommergono in continuazione. Tengo la bocca aperta, ma non entra acqua, posso respirare tranquillamente, e i miei vestiti non sono bagnati, ma sulla mia pelle sento la sensazione dell'acqua, e la sensazione più incredibile è che arriva ad ondate. Intorno sopra di me c'è vento e delle nuvole si muovono basse, arrivano fino a me. Non ho un idea precisa delle dimensioni del posto in cui sono. Ho capito di essere all'interno del padiglione delle isole Fiji ma non so altro. Decido di camminare davanti a me, il suolo sembra sabbioso, io ho le scarpe. Faccio quattro passi di numero e cado dentro la vegetazione del giardino. Non mi sono accorto di essere su una pedana e che stava per finire e ho messo il piede in fallo. Insomma casco nel giardino proprio mentre passa Jean Nouvel. Io ancora estasiato dall'esperienza del mare digitale lo chiamo da lontano "Messier! messier!" Lo raggiungo a una ventina di meti di distanza dove lui si è fermato e gli racconto in un francese stentato l'accaduto. Mi guarda sospettoso, come si guarda chi ti ferma per strada e ti propone di comprare una telecamera usata che è una vera occasione. Poi mi dice "Io queste cose le faccio già da almeno dieci anni". E riprende a camminare.

[Gianluca Adami - dalla Mailing List]

Cristiano M. Gaston, Evoluzione Saturnista © 2009