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Cresce il mercato
delle armi (2006)
Giorgio Beretta (Unimondo - Campagna di pressione alle "banche
armate") www.unimondo.org
E’ la cifra record dell’ultimo ventennio*: una manna per
l’industria armiera nazionale trainata da Finmeccanica e non
pochi grattacapi
per il Governo Prodi che nel suo programma si era impegnato ad un
controllo più stringente sull’esportazione di armi.
Superano infatti
i 2,1 miliardi di euro le autorizzazioni all’esportazioni di
armamenti nel 2006 con un’impennata del 61% rispetto all’anno
precedente.
E sfiorano il miliardo di euro anche le consegne (970,4 milioni) effettuate
sempre nel 2006.
Ma brindano anche le banche che, sempre nel 2006, si sono viste autorizzate
operazioni di incassi relativi al solo export di armi per
quasi 1,5 miliardi di euro - altra cifra record dell’ultimo
ventennio - con relativi "compensi di intermediazione" per
oltre 32,6
milioni di euro. E il gruppo San Paolo IMI - nonostante la dichiarata
policy restrittiva - per il secondo anno consecutivo si attesta
a "reginetta" delle "banche armate". Sono i primi
dati del "Rapporto" reso noto ieri dalla Presidenza del
Consiglio che però non è
ancora l’intera Relazione.
Non tranquillizzano nemmeno i destinatari delle esportazioni: al primo
posto, dopo anni di stasi, ritornano infatti gli Stati Uniti
che oltre alla flotta di elicotteri presidenziali dell’Agusta
(c’è in corso un’inchiesta negli Usa nei confronti
dell’ex deputato
repubblicano Curt Weldon, il principale sponsor politico dell’operazione)
acquistano dall’Italia "bombe, siluri, razzi, missili ed
accessori", "navi da guerra", "esplosivi militari",
fino ad "armi automatiche" di tutti i calibri per un totale
di oltre 349,6
milioni di euro.
Seguiti a ruota un Paese che nei rapporti di Human Right Watch si
distingue per "vessazioni nei confronti delle organizzazioni
per
la tutela dei diritti umani": gli Emirati Arabi Uniti ai quali
il Governo ha autorizzato la vendita di "bombe, siluri, razzi,
missili
ed accessori" oltre che di "navi da guerra", "apparecchiature
per la direzione del tiro", "armi e sistemi d’arma
e munizioni" e
"aeromobili" per oltre 338,2 milioni di euro.
Potrebbe forse rasserenare il fatto che la destinazione principale
delle autorizzazioni rilasciate riguardano i Paesi dell’Ue e
della Nato che insieme ricoprono il 63,7%, ma le esportazioni effettuate
(consegne) per l’area extra Ue-Nato salgono ad oltre il 44,2%
e più del 20,2% dei sistemi d’arma finisce in una delle
zone più calde del pianeta, il Medio Oriente e l’Africa
settentrionale al
quale sono destinate armi per un valore complessivo di 442,8 milioni
di euro.
Per non parlare della Nigeria che riceve armi per 74,4 milioni di
euro o del microscopico Oman che si vede autorizzate importazioni
di
armi dall’Italia per oltre 78,6 milioni di euro. "Forte
rallentamento" - dice il Rapporto - della domanda dai Paesi Asiatici
(Estremo Oriente), che però ricevono consegne ingenti: l’India
per 66,3 milioni di euro, la Malesia 51,4 milioni, il Pakistan 39,7
milioni, Singapore 29,1 milioni di euro. Insomma ce n’è
per tutti anche per Perù (26,8 milioni), Venezuela (16,1 milioni)
e Libia
(14,9 milioni).
E le banche? San
Paolo-Imi si conferma per il secondo anno consecutivo la "reginetta"
delle "banche armate" tanto che nell’ultimo anno
quasi triplica il volume d’affari nel settore passando dai 164
milioni del 2005 agli oltre 446 milioni di euro del 2006. Nonostante
la
policy della banca vieterebbe l’appoggio a transazioni verso
Paesi extra Ue-Nato, l’istituto di credito torinese convoglia
a sé quasi
il 30% (29,9%) di tutte le operazioni di incassi e pagamenti relative
all’export di armi.
Segue BNP-Paribas che con 290,5 milioni di euro è la prima
banca estera operante in Italia attiva nel settore. Segue Unicredit,
che
dopo aver dichiarato nel 2001 di voler cessare questo tipo di operazioni
da due anni ricompare con quote rilevanti nella lista
(86,7 milioni di euro nel 2006). E poi la BNL (Banca nazionale
del lavoro) che addirittura accresce del 33% il proprio volume d’affari
rispetto al 2006 portandolo ad oltre 80,3 milioni di euro. In
diminuzione le operazioni della Deutsche Bank (78,3 milioni di euro),
mentre ritorna alla graande una vecchia conoscenza delle "banche
armate": il Banco di Brescia che riceve incassi per oltre 70
milioni
di euro. In crescita anche Commerz Bank (74,3 milioni di euro) che
va acquistando quote sempre più rilevanti in questo settore.
La Banca popolare italiana passa da 14 a 60 milioni e guida il gruppo
di tutte le banche al di sotto dei 60 milioni di euro.
Preoccupante, in questa fascia, la ripresa delle operazioni di Banca
Intesa che con i 163mila euro del 2005 sembrava onorare la
policy di "non partecipazione" al settore: nel 2006 realizza
invece incassi per 46 milioni e l’Istituto capitanato da Bazoli
dovrà ora affrontare la sfida della fusione con SanPaolo-Imi,
prima "banca armata" d’Italia.
Da segnalare anche la presenza di Banca popolare di Milano (17 milioni
di euro -50% dallo scorso anno), al centro di una grossa
discussione insieme a Banca Etica di cui è socia fondatrice
e per la quale opera anche all’interno di Etica Sgr e della
gestione fondi.
Infine, una nota lieta, forse l’unica del Rapporto 2006: la
drastica discesa da 133 a 36 milioni di euro delle autorizzazioni
riferite
a Banca di Roma: un segno - vogliamo augurarcelo- che la partecipazione
ai convegni organizzati dalla Campagna ’banche armate’
ha un
effetto positivo sui vertici delle banche.
Giorgio Beretta (Unimondo - Campagna di pressione alle "banche
armate") www.unimondo.org
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