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Pace?...
Discorso di accettazione del Premio per la Pace di Sydney novembre
2004 di Arundhati Roy
Fonte Znet - www.zmag.org
Documento originale traduzione di Giancarlo Giovine
Adesso è ufficiale. La Sydney Peace Foundation è profondamente
legata al business del gioco d'azzardo e del rischio calcolato.
Lo scorso anno per il Premio per la pace di Sydney ha scelto, molto
coraggiosamente, la dott.ssa Hanan Ashrawi, palestinese. E come se
non bastasse, quest' anno, con tutta la gente che c'è al mondo
è riuscita a scegliere me!
Tuttavia mi piacerebbe fare una rimostranza.
Mie fonti mi informano che la dott.ssa Ashrawi aveva un presidio tutto
per sé. Questo è una discriminazione. Richiedo un trattamento
uguale per tutti i premi della pace. Posso fare formale richiesta
alla Fondazione di organizzare un presidio contro di me dopo la conferenza?
Da quello che ho sentito, non dovrebbe essere difficile organizzarlo.
Se questo preavviso non basta, allora mi andrà bene anche domani.
Quando è stato annunciato il Premio per la Pace di Sydney di
quest'anno, sono stata sottoposta da parte di quelli, che mi conoscono
bene, ad alcune osservazioni proprio maliziose: "Perché
lo danno alla più grande agitatrice che si conosca? Nessuno
ha detto loro che tu non hai un briciolo di pace in corpo? E - indimenticabile!
- Arundhati cos'è il Premio per la Pace di Sydney? A Sydney
c'era una guerra che hai aiutato a fermare?"
Parlando per me stessa, io sono assolutamente
felice di ricevere il Premio per la Pace di Sydney. Ma devo accettarlo
come un premio letterario, in onore di una scrittrice per i suoi scritti,
perché diversamente dalle molte virtù , che mi sono
falsamente attribuite, io non sono un'attivista, o una leader di un
movimento di massa e sicuramente non sono la "voce dei senza
voce". (Voi, naturalmente, sapete che non c'è una cosa
come i "senza voce". Ci sono solo quelli che sono deliberatamente
messi a tacere o che preferibilmente non vengono ascoltati.)
Sono una scrittrice che non può pretendere di rappresentare
altri che se stessa. Così, anche se mi piacerebbe, sarebbe
presuntuoso da parte mia dire che accetto questo premio a nome di
coloro, che sono impegnati nella lotta dei poveri e dei dtiseredati
contro i potenti.
Detto questo, posso dire di accettarlo come l'espressione di solidarietà
della Sydney Peace Foundation con un tipo di politica, un tipo di
opinione sul mondo, che sottoscrivono milioni di noi al mondo?
Potrebbe sembrare un'ironia che a una persona,
che impiega la maggior parte del suo tempo a pensare strategie per
la resistenza e a tramare, per scombussolare quella che si ritiene
essere la pace, sia dato un premio della pace. Si deve ricordare che
io provengo da un paese essenzialmente feudale: e ci sono poche cose
più inquietanti di una pace feudale. Talvolta nei vecchi cliché
c'è del vero. Non ci può essere pace senza giustizia.
E senza resistenza non ci sarà nessuna giustizia.
Ad essere sotto attacco oggi, non è semplicemente
la giustizia in quanto tale, ma l'idea di giustizia. L'assalto a settori
vulnerabili e fragili della società è nello stesso tempo
così completo, così crudele e così abile - e
ancora avvolgente, specificamente mirato, chiaramente brutale e incredibilmente
subdolo -, che la sua audacia senza limiti ha eroso la nostra definizione
di giustizia. Ci ha costretto a ridimensionare le nostre opinioni
e a ridurre le nostre aspettative.
Anche fra i ben intenzionati, il concetto ampio e magnifico di giustizia
viene a poco a poco sostituito col discorso ridimensionato e più
fragile dei "diritti umani".
Se ci si pensa, questo è un allarmante cambiamento di modello.
La differenza è che le nozioni di eguaglianza e di parità
sono state rimosse e eliminate dall'equazione. È un processo
di logoramento. Quasi inconsciamente, cominciamo a parlare di giustizia
per i ricchi e di diritti umani per i poveri. Di giustizia per il
mondo dei capitalisti e di diritti umani per le sue vittime. Giustizia
per gli Americani, diritti umani per gli Afgani e per gli Irakeni.
Giustizia per le caste indiane superiori, diritti umani (se si dà
mai il caso) per i dalits e gli adivasis. Giustizia per gli Australiani
bianchi, diritti umani (e il più delle volte neanche questi)
per gli aborigeni e glit immigrati.
Diventa sempre più che evidente che la
violazione dei diritti umani è una componente intrinseca e
necessaria del processo di attuazione nel mondo di una struttura politica
ed economica coercitiva ed ingiusta. Senza la violazione dei diritti
umani su scala gigantesca, il progetto neoliberista rimarrebbe nel
regno dei sogni della politica. Ma le crescenti violazioni dei diritti
umani sono descritte come lo sfortunato, quasi casuale, effetto di
un sistema politico ed economico, altrimenti accettabile. Come se
fossero un piccolo problema, che possa essere brigato con una piccola
attenzione straordinaria da parte di una ONG. Questo è il perché
in aree di aspro conflitto - nel Kashmir e in Iraq, ad esempio - i
professionisti dei diritti civili sono visti con un certo sospetto.
Nei paesi poveri molti movimenti di resistenza, che combattono l'enorme
ingiustizia e mettono in discussione i principi, che stanno alla base
di quanto costituisce "liberazione" e "progresso",
considerano le ONG per i diritti umani come i missionari dei tempi
moderni, che sono venute per smussare le asprezze dell'imperialismo.
Per disinnescare la rabbia politica e per mantenere lo status quo.
Solo poche settimane fa la maggioranza degli australiani
ha votato per rieleggere primo ministro John Howard, che - fra l'altro
- ha condotto l'Australia a partecipare all'invasione e all'occupazione
illegale dell'Iraq. L'invasione dell'Iraq sicuramente passerà
alla storia come una delle guerre più vigliacche, che si siano
mai combattute. È stata una guerra, in cui una banda di nazioni
ricche e armate di un numero di bombe nucleari sufficiente a distruggere
diverse volte il mondo, hanno circondato una nazione povera, falsamente
accusata si avere armi nucleari, hanno usato le Nazioni Unite per
costringerla al disarmo, poi l'hanno invasa, l'hanno occupata e ora
la stanno mettendo in vendita.
Parlo dell'Iraq, non perché tutti ne parlano (tristemente a
costo di lasciare che altri orrori si consumino fuori dalla luce dei
riflettori in altri posti),t? ma perché è un segno di
come vanno le cose. L'Iraq segna l'inizio di un nuovo ciclo. Ci offre
l'opportunità di vedere all'opera la cricca militar-capitalistica
, che sarà conosciuta come "Impero". Il nuovo Iraq
non è che l'inizio.
Mentre si intensifica la battaglia per il controllo delle risorse
mondiali, il colonialismo economico per mezzo dell'esplicita aggressione
militare mette in scena una replica. L'Iraq è il culmine logico
del processo della globalizzazione capitalistica, in cui si sono fusi
neocolonialismo e neoliberismo. Se potessimo sbirciare dietro il sipario
di sangue, intravvederemmo le spietate transazioni che hanno luogo
dietro le quinte. Ma prima di tutto diamo uno sguardo, brevemente,
al palcoscenico.
Nel 1991 il presidente USA Gorge Bush senior,
mise in scena l'operazione Tempesta nel Deserto. Nella guerra furono
uccisi decine di migliaia di Irakeni. Il territorio dell'Iraq fu bombardato
con più di 300 tonnellate di uranio impoverito, quadruplicando
il cancro fra i bambini. Per più di 13 anni, ventiquattro milioni
di Irakeni hanno vissuto in una zona di guerra ed è stata loro
negato cibo, medicine ed acqua potabile. Nella febbre elettorale USA,
ricordiamoci che i livelli di crudeltà non si sono modificati
a seconda che l'inquilino della Casa Bianca fosse repubblicano o democratico.
Mezzo milione di bambini irakeni sono morti a causa del regime delle
sanzioni economiche al rialzo fino all'operazione "Shock and
Awe" (shock e rispettoso timore).
Fino a poco tempo fa, mentre c'era un accurato
elenco di quanti soldati americani hanno perso la vita, non avevamo
nessuna idea di quanti Irakeni siano stati uccisi. Il generale USA
Tommy Franks ha detto: "Non teniamo conto delle salme" (intendendo
le salme irakene). Avrebbe potuto aggiungere: "Non teniamo conto
neanche della Convenzione di Ginevra".
Un recente studio dettagliato, rapidamente condotto dal giornale medico
Lancet e ampliamente recensito, valuta a 100.000 gli Irakeni che hanno
perso la vita a partire dall'invasione del 2003. Cioè cento
sale e riunioni, come questa, piene. Cioè cento sale piene
di amici, di genitori, di fratelli, di colleghi, di amanti, come voi.
La differenza è che qui oggi non ci sono molti bambini: non
dimentichiamo i bambini dell'Iraq. Tecnicamente il bagno di sangue
è chiamato bombardamento di precisione. Nel linguaggio comune
massacro.
Moltissime cose ora sono di conoscenza comune.
Quelli, che sostengono l'invasione e votano per gli invasori, non
possono nascondersi dietro l'ignoranza. Devono veramente credere che
questa brutalità, di portata epica, sia giusta e sacrosanta
o, quanto meno, accettabile, perché è nel loro interesse.
Così il "moderno" mondo "civilizzato" -
puntualmente costruito su un'eredità di genocidio, di schiavitù
e di colonialismo - ora controlla la maggior parte del petrolio mondiale.
E la maggior parte delle armi mondiali, la maggior parte del denaro
mondiale e la maggior parte dei media mondiali. I media irrigimentati,
al servizio delle multinazionali, nei quali il principio della Libertà
di Parola è stato sostituito dal principio della Libertà
di Parola, Se Sei d'Accordo.
Il capo degli ispettori dell'ONU per gli armamenti,
Hans Blix, ha detto di non aver trovato nessuna prova di armi nucleari
in Iraq. Ogni briciolo di prova presentato dai governi USA e britannico
si è scoperto che era falso: sia che si trattasse dei rapporti
dell'acquisto di uranio dal Niger da parte di Saddam Hussein, sia
che si trattasse del rapporto presentato dallo spionaggio britannico,
che si è scoperto che è stato plagiato da una vecchia
tesi di laurea. E ancora, come preludio alla guerra, giorno dopo giorno,
i giornali e canali TV più "rispettabili" degli USA
hanno fattogrossi titoli sulla "prova" dell'arsenale irakeno
di armi nucleari. Ora vien fuori che la fonte di questa "prova"
confezionata di un arsenale irakeno di armi nucleari era Ahemed Chalabi,
che (come il generale Suharto in Indonesia, il generale Pinochet in
Cile, lo Scià di Persia, i Talebani e, naturalmente, lo stesso
Saddam Hussein) è stato rifornito di milioni dit? dollari dalla
buona vecchia CIA.
Così, un paese è stato bombardato per negligenza. È
vero che c'è stato qualche mormorio di giustificazione. Spiacenti
per quel popolo, ma ci dovevamo veramente dare una smossa. Stanno
venendo fuori nuove voci su armi nucleari in Iran e in Siria. E indovinate
un po' chi dà notizia di queste nuove voci? Gli stessi reporter
che fecero i falsi "scoop" sull'Iraq. Un A Team veramente
inquadrato.
Il capo della britannica BBC ha dovuto dimettersi
e un uomo si è suicidato, perché un reporter della BBC
ha accusato l'amministrazione Blair di aver rivelato i rapporti dell'intelligence
sul programma irakeno per le armi di distruzioni di massa. Ma il capo
della Gran Bretagna mantiene la sua carica, anche se il suo governo
ha fatto ben più che rivelare i rapporti dell'intelligence.
È responsabile dell'invasione illegale di un paese e del massacro
di massa del suo popolo.
Dalla gente, che come me visita l'Australia, ci si aspetta che, al
momento della compilazione del modulo del visto, risponda alla seguente
domanda: "Ha mai commesso o è stata mai implicata nel
reato di crimini di guerra o di crimini contro l'umanità o
i diritti umani?" George Bush e Tony Blair otterrebbero il visto
per l'Australia? Secondo i principi del diritto internazionale devono
certamente essere definiti criminali di guerra.
Comunque, immaginarsi che il mondo cambierebbe,
se fossero rimossi dai loro incarichi, è un'ingenuità.
La cosa tragica è che i loro rivali politici non sono realmente
contrari alle loro politiche. Nella campagna per le elezioni presidenziali
USA si è fatto fiamme e fuoco su chi fosse il "migliore
Comandante in Capo" e l'amministratore più valido per
l'Impero americano. La democrazia non offre più agli elettori
una vera scelta. Offre solo una scelta fittizia.
Anche se in Iraq non è stata trovata alcun'arma di distruzione
di massa, una stupefacente nuova prova ha rivelato che Saddam Hussein
pianificava un nuovo programma di armamenti. (Nella stessa maniera
in cui io programmavo di vincere una medaglia d'oro alle olimpiadi
per il nuoto sincronizzato). Meno male per la dottrina della guerra
preventiva! Dio solo sa quali altri cattivi pensieri stava rimuginando:
mandare per posta dei Tampax ai senatori americani o liberare conigliette
in burqas nella metropolitana di Londra. Senza dubbio tutto verrà
alla luce nel corso del libero e giusto processo a Saddam Hussein,
che si farà presto nel nuovo Iraq.
Tutto, tranne il capitolo in cui verremmo a conoscenza
di come gli USA e la Gran Bretagna lo hanno adoperato grazie al denaro
e all'assistenza materiale al tempo, in cui conduceva gli attacchi
omicidi contro i Kurdi e gli Sciiti irakeni.
Tutto eccetto il capitolo in cui verremmo a conoscenza del fatto che
un rapporto di 12.000 pagine, presentato all'ONU dal governo di Saddam
Hussein, è stato censurato dagli USA, perché elencava
ventiquattro grandi imprese USA, che hanno partecipato al programma
irakeno per l'armamento nucleare e convenzionale prima della guerra
del Golfo (Comprende la Bechtel. La DuPont, l'Eastman Kodak, l'Hewlett
Packard, l'International Computer System e la Unysis).
Così l'Iraq è stato "liberato". Il suo popolo
è stato sottomesso e i suoi mercati sono stati"liberati".
Questa è la litania del neoliberismo. Libera i mercati. Sfrutta
il popolo. Il governo USA ha privatizzato e venduto interi settori
dell'economia dell'Iraq. Le politiche economiche e le leggi fiscali
sono state completamente riscritte. Le compagnie straniere adesso
possono comprare il 100% delle imprese irakene ed esportare i profitti.
Questa è una vera e propria violazione delle leggi internazionali,
che regolano una forza d'occupazione, ed è una delle principali
ragioni della furtiva, frettolosa, sciarada del "passaggio"
di potere a un "governo irakeno ad interim". Una volta che
il passaggio di proprietà del'Iraq è stato completato,
una dose leggera di vera democrazia non farà male. Di fatto
potrebbe essere una buona presentazione della versione capitalistica
della Teologia della Liberazione, altrimenti nota come Nuova Democrazia.
Non sorprende il fatto che la vendita all'asta dell'Iraq ha provocato
una corsa tumultuosa alla mangiatoia. Imprese, quali la Bechtel e
la Halliburton, la compagnia un tempo guidata dal vicepresidente USA
Dick Cheney, si sono aggiudicate enormi contratti per il lavoro di
"ricostruzione". Un breve curriculum vitae di queste imprese
ci darà una conoscenza generalissima di come nell'insieme lavorano,
non solo in Iraq, ma in tutto il mondo. Scegliamo, per esempio, la
Bechtel, solo perché la povera piccola Halliburton è
sotto inchiesta per l'accusa di aver sovrapprezzato la distribuzione
del carburante in Iraq e per i suoi contratti per "risanare"
l'industria petrolifera irakena al costo veramente pesante di 2,5
miliardi di dollari.
Il Bechtel Group e Saddam Hussein sono vecchie conoscenze d'affari.
Molti dei loro accordi sono stati negoziati nientemeno che da Donald
Rumsfeld. Nel 1988, dopo che Saddam Hussein aveva gasato migliaia
di Kurdi, la Bechtel firmò contratti col suo governo, per costruire
a Baghdad un impianto a doppio uso.
Storicamente il Bechtel Group ha avuto e continua ad avere legami
strettissimi con l'establishment repubblicano. Si potrebbe dire che
la Bechtel e l'amministrazione Reagan-Bush siano una squadra. L'ex
Segretario alla Difesa, Caspar Weinberger, era consigliere generale
della Bechtel. L'ex vice Segretario all'Energia, W.Kenneth Davis,
era vicepresidente della Bechtel. Riley Bechtel, il presidente della
compagnia, è nella Commissione presidenziale per le esportazioni.
Jack Sheenan, un generale dei marines in pensione, è vicepresidente
anziano della Bechtel e membro dell'US Defence Policy Board. L'ex
Segretario di Stato Gorge Shultz, che è nel consiglio d'amministrazione
del Bechtel Group, è stato presidente dell'ufficio consultivo
del Comitato per la Liberazione dell'Iraq.
Quando dal New York Times gli fu chiesto se si preoccupava che si
presentasse un conflitto di interessi fra questi due "lavori",
disse: "Non so se la Bechtel ne [dall'invasione dell'Iraq] ricaverebbe
un qualche vantaggio. Ma se c'è da fare del lavoro, la Bechtel
è il tipo di compagnia che potrebbe farlo". Alla Bechtel
in Iraq sono stati assegnati contratti per la ricostruzione per un
valore superiore al miliardo di dollari, che includono contratti per
la ricostruzione di impianti elettrici, reti elettriche, acquedotti,
sistemi fognari e strutture aeroportuali. Questa - se non grondasse
sangue - sarebbe una farsa.
Fra il 2001 e il 2002, nove membri su trenta del US Defense Policy
Group erano collogati a compagnie, alle quali sono stati assegnati
contratti della Difesa per 76 miliardi di dollari. C'era un tempo,
in cui le armi venivano fabbricate per combattere le guerre. Ora le
guerre vengono combattute per vendere armi.
Fra il 1990 e il 2002 il Bechtel Group ha dato un contributo di 3,3
milioni di dollari sia ai repubblicani che ai democratici. Dal 1990
si è aggiudicato più di 2000 contratti governativi per
un valore di 11 miliardi di dollari. È un incredibile ricavo
su un investimento, non vi pare?
E Bechtel lascia traccein tutto il mondo. Questo è quello che
vuol dire essere una multinazionale.
Il Bechtel Group ha attirato per la prima volta l'attenzione internazionale,
quando firmò con Hugo Panzer, l'ex dittatore boliviano, un
contratto per privatizzare l'acquedotto della città di Cochabamba.
La prima cosa, che fece la Bechtel, fu di aumentare il prezzo dell'acqua.
Centinaia di migliaia di persone, che non potevano letteralmente permettersi
di pagare le bollette della Bechtel, scesero in piazza. Un enorme
sciopero paralizzò la città. Fu dichiarata la legge
marziale. Sebbene alla fine la Bechtel sia stata costretta a scappar
via dai suoi uffici, attualmente sta negoziando per il pagamento -
da parte del governo boliviano - di milioni di dollari per la perdita
dei potenziali profitti. Che, come vedremo, si sta trasformando nello
sport più popolare delle grandi compagnie.
In India, la Bechtel e la General Electric (GE) sono le due proprietarie
del noto e attualmente defunto progetto energetico della Enron. Il
contratto della Enron, che legalmente obbliga il Governo dello stato
del Maharashtra a pagare alla Enron la somma di 30 miliardi di dollari,
è stato il contratto più grosso mai sottoscritto in
India. La Enron non si è vergognata di vantarsi dei milioni
di dollari, che ha speso, per "educare" i politici e i burocrati
indiani. Il contratto della Enron nel Maharashtra, che è stato
il primo progetto privato a "percorso veloce" per l'energia,
è stato riconosciuto come la più grossa frode della
storia del paese. (L'Enron era un'altra fra le maggiori contribuenti
elettorali del partito repubblicano). L'elettricità, che la
Enron produceva, era così esorbitante che il governo decise
che era più conveniente non pagare l'elettricità e pagare
le spese fisse obbligatorie specificate nel contratto. Ciò
vuol dire che il governo di uno dei più poveri paesi del mondo
paga alla Enron 220 milioni di dollari per non produrre elettricità.
Ora che la Enron ha cessato di esistere, Bechtel e GE chiamano in
giudizio il governo indiano per 5,6 miliardi di dollari. Questa non
è che una minima parte di denaro che loro (o la Enron) hanno
effettivamente investito nel progetto. Una volta di più, è
la proiezione del profitto, che avrebbero conseguito, se il progetto
fosse stato realizzato. Per darvi un'idea delle proporzioni, 5,6 miliardi
di dollari, un po' di più dell'importo, di cui il governo indiano
avrebbe bisogno annualmente per un progetto per garantire l'occupazione
nelle campagne, che fornirebbe un salario di sopravvivenza per milioni
di persone, che ora vivono nella povertà più abietta,
schiacciate dal debito, dal trasferimento forzato, dalla malnutrizione
cronica e dal WTO. Questo in un paese, dove i contadini soffocati
pieni di debiti sono spinti al suicidio, non a centinaia, ma a migliaia.
La proposta di un Progetto per Garantire l'Occupazione nelle Campagne
è schernito dalla borghesia indiana come un' irragionevole,
utopica, rivendicazione sostenuta dalla sinistra "folle"
e nuovamente al potere."Da dove verrà il denaro?"
- chiedono con tono derisorio. E con tutto ciò, ogni discorso
sulla revoca di un cattivo contratto con una grande azienda notoriamente
corrotta, come la Enron, si ritrova gli stessi cinici a sprecare il
fiato sulla fuga dei capitali e sui terribili rischi di "creare
un cattivo clima per gli investimenti". L'arbitrato fra Bechtel,
GE e governo indiano si sta svolgendo proprio ora a Londra. La Bechtel
e la GE hanno ragione di sperare. Il Segretario indiano alle Finanze,
che aveva strumentalmente approvato il disastroso contratto con la
Enron, è tornato a casa dopo pochi anni passati al Fondo Monetario
Internazionale (FMI). Non solo è tornato a casa, ma è
tornato a casa con una promozione. Ora è Vicepresidente della
Commissione per la Pianificazione.
Pensateci: il profitto speculativo di un unico progetto di una grossa
impresa basterebbe a dare cento giorni di lavoro all'anno al minimo
salariale (calcolato sulla base della media ponderata dei differenti
stati) a 25 milioni di persone. Cioè a cinque milioni di persone
in più della popolazione dell'Australia. Questa è la
scala dell'orrore del neoliberismo.
Ma nella storia della Bechtel c'è di peggio. Con quella che
può essere definita assoluta mancanza di scrupoli - come scrive
Naomi Klein - la Bechtel ha citato con successo in giudizio l'Iraq
distrutto dalla guerra per "riparazioni di guerra" e "mancati
profitti". Le sono stati riconosciuti 7 milioni di dollari.
Così tutti i giovani laureati in gestione aziendale, non si
affaticano a studiare ad Harvard o a Wharton. Ecco la Guida al Successo
Aziendale per il Manager Pigro: Primo, riempi il tuo consiglio d'amministrazione
di vecchi dipendenti del governo. Poi, riempi il governo di membri
del tuo consiglio d'amministrazione. Ungi e mescola. Quando nessuno
può dire dove finisce il governo e dove comincia la tua azienda,
mettiti d'accordo col tuo governo per equipaggiare e armare uno spietato
dittatore in un paese ricco di petrolio. Guarda altrove, mentre ammazza
la sua stessa gente. Cuocilo a fuoco lento. Usa il tempo guadagnato
per mettere insieme alcuni miliardi di dollari in contratti governativi.
Poi, mettiti nuovamente d'accordo col tuo governo, mentre rovescia
il dittatore e bombarda i suoi sudditi, prendendo appositamente di
mira le infrastrutture essenziali, uccidendo per di più centomila
persone. Raccogli un altro miliardo di dollari o l'equivalente in
contratti per "ricostruire" le infrastrutture. Per coprire
viaggio e accessori, chiama il paese devastato in giudizio per l'indennizzo
dei mancati profitti. Alla fine, diversifica. Compra una stazione
TV, così alla prossima guerra puoi esporre in vetrina il tuo
hardware e la tua tecnologia militare, mascherandola come informazione
sulla guerra. E alla fine, istituisci a nome della tua compagnia un
Premio per i Diritti Umani. Potresti attribuire il primo, postumo,
a Madre Teresa di Calcutta. Non potrà devolverlo o rifiutarlo.
All'Iraq, invaso ed occupato, sono stati fatti pagare 200 milioni
di dollari in "indennizzi" per mancati profitti a compagnie
quali Halliburton, Shell, Mobil, Nestlè, Pepsi, Kentucky Fried
Chicken e Toy R Us. Questa è una cosa a parte rispetto al gigantesco
debito di 125 miliardi di dollari, che è costretto a restituire
al FMI, che come l'angelo della morte incombedall'alto col suo Programma
di Aggiustamento Strutturale. (Benché in Iraq non sembra che
ci siano rimaste molte strutture da aggiustare. Se si fa eccezione
per la fantomatica Al Qaeda).
Nel Nuovo Iraq, la privatizzazione ha aperto nuovi orizzonti. L'esercito
USA, in aiuto all'occupazione, ingaggia sempre più mercenari
privati. Il vantaggio con i mercenari è che, quando vengono
uccisi, non vengono inclusi nel conteggio delle salme di soldati USA.
Serve a gestire l'opinione pubblica, cosa particolarmente importante
in un anno elettorale. Le prigioni sono state privatizzate. La tortura
è stata privatizzata. Abbiamo visto a cosa porta. Altre attrattive
nel Nuovo Irak cono la chiusura dei giornali. Le stazioni televisive
bombardate. I giornalisti uccisi. I soldati USA hanno sparato su folle
di contestatori disarmati, uccidendo parecchie persone. Il solo tipo
di resistenza, che è riuscita a sopravvivere, è folle
e brutale come la stessa occupazione. In Irak c'è spazio per
una resistenza laica, democratica, femminista, non violenta? Non ce
n'è proprio.
Questo è il motivo, per cui creare la resistenza di massa,
laica e non violenta all'occupazione USA tocca a noi che viviamo fuori
dell'Iraq. Se non riusciamo a farlo, allora corriamo il rischio di
permettere che l'idea di resistenza sia gestita dal terrorismo e sia
confusa con esso e sarebbe un peccato, perché non sono la stessa
cosa.
Così, cosa significa pace in questo mondo incivile, militarizzato,
dominato dalle multinazionali? Cosa significa in un mondo dove un
agguerrito sistema di appropriazione ha creato una situazione, in
cui i paesi poveri, che sono stati rapinati per secoli dai regimi
coloniali, sono soffocati dal debito nei confronti di quegli stessi
paesi, che li hanno rapinati e devono rimborsare il debito a rate
di 382 miliardi di dollari all'anno? Cosa significa pace in un mondo
in cui la somma della ricchezza di 587 miliardari è superiore
alla somma del prodotto lordo dei 135 paesi più poveri del
mondo? O quando i paesi ricchi, che pagano sussidi agricoli di un
miliardo di dollari al giorno, cercano di costringere i paesi poveri
ad abbassare i loro sussidi? Cosa significa pace per la gente dell'Iraq,
della Palestina, del Kashmir, del Tibet e della Cecenia occupate?
O per gli aborigeni dell'Australia? O per i Kurdi in Turchia? O per
i Dalits e gli Adivasis in India? Cosa significa pace per i non mussulmani
nei paesi islamici, o per le donne dell'Iran, dell'Arabia Saudita
e dell'Afghanistan? Cosa significa per i milioni di persone che sono
state sradicate dalle loro terre dalle dighe e dai progetti di sviluppo?
Cosa significa pace per i poveri, che sono attivamente rapinati delle
loro risorse e per i quali la vita quotidiana è una feroce
battaglia per l'acqua, la casa, la sopravvivenza e, soprattutto, per
un'apparenza di dignità? Per loro la pace è guerra.
Sappiamo molto bene chi trae vantaggio dalla guerra nell'età
dell'Impero. Ma dobbiamo anche chiederci onestamente chi trae vantaggio
dalla pace nell'età dell'Impero. Vendere guerra è criminale.
Ma parlare di pace, senza parlare di giustizia, potrebbe facilmente
diventare una sorta di sostegno alla capitolazione. E parlare di giustizia
senza smascherare le istituzioni e i sistemi, che perpetrano l'ingiustizia,
è più che ipocrita.
È facile incolpare i poveri di essere poveri. È facile
credere che il mondo sia stato preso in una spirale di terrorismo
e di guerra. Questo è quello che permette al presidente americano
di dire: "Si è con noi o con i terroristi". Ma sappiamo
che questa è una scelta fasulla. Sappiamo che il terrorismo
è solamente la privatizzazione della guerra. Che i terroristi
sono per il libero mercato della guerra. Credono che il legittimo
uso della violenza non è prerogativa esclusiva dello Stato.
È ingannevole operare una distinzione morale fra l'indicibile
brutalità del terrorismo e l'indiscriminata carneficina della
guerra. Non possiamo tollerare il primo e condannare l'altra.
La vera tragedia è che moltissima gente al mondo è intrappolata
fra l'orrore di una presunta pace e il terrore della guerra. Entrambi
i tipi di violenza sono inaccettabili. Questi sono i due baratri fra
i quali siamo stretti. Il problema è: come risaliremo fuori
da questo crepaccio?
Per quelli, che sono materialmente ricchi, ma moralmente disagiati,
la prima domanda da farsi è: si vuole veramente risalirne fuori?
il crepaccio è diventato troppo comodo?
Se si vuole realmente uscirne fuori, c'è una novità
buona e una cattiva.
La buona è che il partito dell'uscita ha cominciato la scalata
da qualche tempo. È già compiuto metà della salita.
Migliaia di attivisti in tutto il mondo si sono messi duramente al
lavoro per preparare gradini e per assicurare le funi, per renderla
più facile per noi. Non c'è un solo sentiero per la
salita. Ci sono centinaia di vie per farla. Nel mondo ci sono da combattere
centinaia di battaglie, che richiedono le vostre capacità,
le vostre intelligenze, le vostre risorse. Nessuna battaglia è
poco significativa. Nessuna vittoria è troppo piccola.
La cattiva è che le manifestazioni piene di colore, le marce
alla fine della settimana e le gite annuali al Forum Sociale Mondiale
non bastano. Si devono intraprendere iniziative di disobbedienza civile,
che abbiano risultati reali. Forse non possiamo, premendo un pulsante,
far comparire la rivoluzione. Ma ci sono diverse cose che potremmo
fare. Per esempio, potreste fare un elenco di quelle compagnie, che
hanno tratto profitto dall'invasione dell'Iraq e che hanno i loro
uffici in Australia. Potreste dirne il nome, potreste boicottarle,
occupare i loro uffici e costringerle a ritirarsi dall'affare. Può
accadere in Bolivia, può accadere in India. Può accadere
in Australia. Perché no?
È solo un piccolo suggerimento. Ma ricordate che, se la lotta
ricorrerà all'uso della violenza, perderà visione, bellezza
e immaginazione. E conseguenza più pericolosa di tutte, emarginerà
le donne, che alla fine ne saranno vittime. E una lotta politica,
che non ha le donne al suo cuore, alla sua testa, in suo sostegno
e dentro di essa, non è per nulla una lotta.
Il punto è che bisogna gettarsi nella battaglia. Come ha detto
l'eccellente storico americano, Howard Zinn: "Non si può
rimanere neutrali su un treno in movimento". |
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