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Donne zapatiste - Discorso dalla tribuna del parlamento messicano della Comandante Esther
28 Marzo 2001 -Parlo a nome dell'esercito zapatista
di liberazione nazionale.
La parola prodotta dalla nostra voce è un clamore. Ma la nostra
parola è rispettosa di questa tribuna e di tutte e tutti coloro
che ci ascoltano. Da noi non riceverete né insulti e né
volgarità. Non ci comporteremo come chi il primo di dicembre
dell'anno 2000 ha tolto rispetto a questo consesso legislativo. [...]
Perché noi zapatisti portiamo parole di verità e rispetto.
Qualcuno avrà pensato che questa tribuna sarebbe stata occupata
dal sup marcos e che sarebbe stato lui a pronunciare il messaggio
principale degli zapatisti. Qedete che non è così. Il
subcomandante insurgente marcos è questo, un subcomandante.
Siamo noi i comandanti, quelli che comandano in comune, quelli che
comandano obbedendo ai nostri popoli. Al sup ed a chi condivide con
lui speranze ed aspettative, abbiamo assegnato la missione di portarci
fino a questa tribuna. [...]
Il mio nome è esther, ma questo ora non ha importanza. Sono
zapatista, ma anche questo non ha importanza in questo momento. Sono
indigena e sono donna. e questa è la sola cosa che importa
adesso. [...]
Questo è il paese che vogliono gli zapatisti. Un paese in cui
si riconosca la differenza e la si rispetti. In cui l'essere ed il
pensare in maniera diversa non sia motivo per finire in carcere, per
essere perseguitato o per morire. Qui in questo palazzo legislativo
ci sono 7 posti vuoti che corrispondono a 7 indigeni che non possono
essere presenti. E non possono essere qui con noi, perché la
diversità che ci contraddistingue come indigeni non è
riconosciuta né rispettata. Dei sette assenti, uno è
morto i primi giorni di gennaio del 1994, due si trovano in carcere
per essersi opposti al taglio degli alberi, altri due sono in prigione
per aver difeso la pesca come mezzo di sostentamento per la vita ed
essersi opposti ai pescatori pirati, e per i rimanenti due esiste
un ordine di cattura per lo stesso motivo. Come indigeni quei sette
hanno combattuto per i loro diritti e come indigeni hanno avuto come
risposta la morte, il carcere e la persecuzione. [...]
Questo è il messico che vogliono gli zapatisti. Un messico
in cui noi indigeni siamo indigeni e messicani, in cui il rispetto
per la diversità si bilanci con il rispetto per quello che
ci rende uguali. In cui la diversità non sia causa di morte,
carcere, persecuzione, burla, umiliazione, razzismo. In cui si tenga
sempre presente che, composta da diversità, la nostra è
una nazione sovrana ed indipendente. E non una colonia in cui abbondano
i saccheggi, gli arbitrii e le vergogne. In cui, nei momenti determinanti
della nostra storia, tutte e tutti al di sopra delle nostre differenze
mettiamo quello che abbiamo in comune, cioè l'essere messicani.
Quello attuale è uno di quei momenti storici. [...]
Voglio spiegarvi la situazione di noi donne indigene che viviamo nelle
nostre comunità, oggi, secondo quanto garantisce la costituzione
sul rispetto della donna. La situazione è molto dura. Da moltissimi
anni soffriamo il dolore, l'oblio, il disprezzo, l'emarginazione e
l'oppressione.
Soffriamo l'oblio perché nessuno si ricorda di noi. Ci hanno
mandato a vivere nelle più lontane montagne del paese affinché
nessuno venisse a visitarci o a vedere come viviamo. Intanto non abbiamo
acqua potabile, luce elettrica, scuole, case dignitose, strade, cliniche,
tantomeno ospedali. intanto molte delle nostre sorelle, donne, bambini
ed anziani muoiono di malattie curabili, denutrizione e di parto perché
non ci sono cliniche né ospedali che ci assistano.
Solo in città, dove vivono i ricchi, ci sono ospedali con una
buona assistenza e tutti i servizi. Anche se ce ne sono in città,
noi non ne beneficiamo per niente, perché non abbiamo denaro,
non c'è modo di andarci e se c'è non riusciamo a raggiungere
la città, durante il percorso moriamo. In particolare le donne,
che soffrono il dolore del parto, si vedono morire i propri figli
tra le braccia per denutrizione, mancanza di assistenza.
Vedono i loro figli scalzi, senza vestiti perché non hanno
soldi per comprarli, perché sono loro, le donne, che si curano
della casa e vedono tutto quello che manca per la loro alimentazione.
Trasportano anche l'acqua con le brocche con 2 o 3 ore di cammino
caricandosi il proprio figlio e svolgono tutti i lavori di cucina.
Fin da molto piccole impariamo a lavorare facendo cose semplici. Da
grandi andiamo a lavorare nei campi, a seminare, pulire e carichiamo
i nostri bambini.
Intanto gli uomini vanno a lavorare nelle piantagioni di caffè
e di canna da zucchero per guadagnare un po' di denaro per poter sopravvivere
con la propria famiglia, a volte non ritornano perché muoiono
per malattie. Non c'è tempo per tornare a casa o se ritornano,
ritornano malati, senza denaro, a volte già morti. Così
la donna soffre ancora di più perché resta sola ad accudire
i propri figli. Soffriamo anche il disprezzo e l'emarginazione fin
dalla nascita perché non ci curano bene.
Siccome siamo bambine, pensano che non valiamo niente, che non sappiamo
pensare, né lavorare, né come vivere la nostra vita.
Per questo molte di noi donne sono analfabete perché non abbiamo
avuto l'opportunità di frequentare la scuola. Quando siamo
un poco più grandi, i nostri padri ci obbligano a sposarci
a forza, non importa se noi non vogliamo, non chiedono il nostro consenso.
Non rispettano le nostre decisioni. Perché donne ci picchiano,
i nostri mariti o famigliari ci maltrattano e non possiamo dire nulla
perché ci dicono che non abbiamo nessun diritto di difenderci.
I meticci ed i ricchi si burlano di noi donne indigene per il nostro
modo di vestire, di parlare, per la nostra lingua, per il nostro modo
di pregare e di curare e per il nostro colore, che è il colore
della terra che lavoriamo. Sempre nella terra perché viviamo
in lei. Non ci permettono di partecipare ad altri lavori. Ci dicono
che siamo sudice, che non ci laviamo perché siamo indigene.
Noi donne indigene non abbiamo le stesse opportunità degli
uomini, che hanno tutto il diritto di decidere su tutto. Solo loro
hanno diritto alla terra mentre la donna non ne ha diritto come se
non potessimo lavorare anche noi la terra e come se non fossimo essere
umani. Soffriamo la disuguaglianza.
Tutta questa situazione è stata introdotta dai cattivi governi.
Noi donne indigene non abbiamo una buona alimentazione, non abbiamo
una casa dignitosa, non abbiamo né un centro di salute, né
studi. Non abbiamo un progetto di lavoro e così sopravviviamo
nella miseria e questa povertà è dovuta all'abbandono
del governo che non si è mai curato di noi come indigene e
non ci ha mai preso in considerazione, ci ha trattato come una cosa
qualsiasi. Dice che ci manda aiuti come il "progresa" ma
lo fa con l'intento di distruggerci e dividerci. Questa è la
vita e la morte di noi donne indigene.
E ci dicono che la legge cocopa ci emarginerà. È la
legge attuale che permette la nostra emarginazione e la nostra umiliazione.
Per questo noi abbiamo deciso di organizzarci per lottare come donne
zapatiste. [...]
Ad un segnale di pace non risponderemo con un segnale di guerra. Le
armi zapatiste non sostituiranno le armi governative. La popolazione
civile che abita nei luoghi abbandonati dall'esercito federale, ha
la nostra parola che non sarà impiegata la nostra forza militare
per dirimere conflitti o disaccordi. Invitiamo la società civile
nazionale ed internazionale affinché installi in questi luoghi
accampamenti di pace e posti d'osservazione civili e garantisca così
che non ci sarà presenza armata da parte degli zapatisti. [...]
In questo modo rendiamo chiara la nostra disponibilità al dialogo,
alla costruzione di accordi ed al raggiungimento della pace. Se ora
si può guardare con ottimismo al cammino della pace in chiapas,
è grazie alla mobilitazione di molta gente in messico e nel
mondo. E la ringraziamo particolarmente.
È stato anche possibile grazie ad un gruppo di deputati e deputate
che ora sono qui davanti a me, che hanno saputo aprire lo spazio,
le orecchie ed il cuore ad una parola che è legittima e giusta.
[...]
I legislatori che oggi ci aprono la porta ed il cuore, avranno allora
la soddisfazione di aver compiuto il loro dovere.
E questo non si quantifica in denaro, ma in dignità. [...]
Con i popoli indios!
Viva messico! Viva messico! Viva messico!
Democrazia! Libertá! Giustizia!
Comitato clandestino rivoluzionario indigeno
Comando generale dell'esercito zapatista di liberazione nazionale
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