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L'agricoltura
senza petrolio
di Edward Goldsmith - Fonte: www.ecologist.it
La
via per Chou: una leggenda cinese
Dopo la caduta della dinastia Han, vi fu in Cina un secolo d'instabilità
chiamato “il periodo degli stati in guerra”, nel quale
il
paese rimase diviso in molti stati indipendenti spesso in guerra fra
loro. Il più importante era il regno di Wei, governato a lungo
da un potente re Tsao Tsao che si faceva chiamare l'“Imperatore”,
perché rivendicava la sua sovranità sull'intera Cina.
Il suo primo
ministro, Ki Leang, era un uomo saggio e retto impegnato soprattutto
a mantenere la pace e farne apprezzare i benefici a un popolo che
poteva così diventare sempre più civile.
Un giorno partì per un viaggio, ma dopo poche giornate di cammino
fu raggiunto da un messo
con la notizia che l'Imperatore aveva improvvisamente deciso di invadere
il vicino regno di Han Tan. Ki Leang ritornò immediatamente
alla capitale per la via più breve. Quando fu alla presenza
dell'Imperatore raccontò la storia seguente: “Maestà,
oggi, quando sono
arrivato alle mura della città ho visto una carrozza che prendeva
la via del nord verso Min-Li. Senza ombra di dubbio era la più
bella
carrozza che avessi mai visto, costruita in ebano, intarsiata con
pietre semipreziose lavorate in disegni di una delicatezza che solo
i
nostri maestri artigiani sono capaci di fare. Nel chiarore dell'alba
sembrava una strana apparizione dal mondo degli spiriti. Ma,
Maestà, anche i cavalli che la tiravano erano impressionanti:
sei magnifici stalloni bianchi, animali alti ed eleganti con corpi
dalle
forme meravigliose. E mi sono fermato per un po', affascinato dallo
spettacolo straordinario, quando ad un tratto la carrozza si
fermò. La occupava un uomo distinto che parlava come
se fosse abituato ad essere trattato col massimo rispetto. Si affacciò
al
finestrino e mi chiese quanto distava la città di Chou. Risposi,
'La città di Chou è a 200 miglia a sud, ma voi state
andando dalla
parte opposta'. Il viaggiatore non sembrò per nulla
turbato da quello che avevo detto e replicò, 'Ciò non
ha nessuna importanza: ho
i migliori cavalli di tutta la Cina'. Ripetei 'Ma Chou è a
sud e state andando a nord'. 'Sì' replicò il viaggiatore,
sempre
imperturbabile, 'ma il mio cocchiere è il più abile
di tutto il regno di Wei'. 'Non lo metto in dubbio,' risposi, 'ma
state andando
dalla parte opposta'. 'Ah', rispose il viaggiatore con la solita mancanza
d'interesse, 'Ma ho scorte illimitate per un viaggio
lunghissimo'. Replicai: 'Se andate a nord, più sono buoni i
vostri cavalli, più abile il cocchiere e più abbondanti
le vostre scorte,
e più servono solo ad aumentare la distanza fra voi e la città
di Chou, che è a sud'. Poi, rivolgendosi all'imperatore
Tsao Tsao
disse: “Maestà, fin dall'inizio del vostro regno, il
vostro unico scopo è stato accrescere la felicità e
il benessere del popolo
cinese. Se decidete di far guerra al popolo di Han Tan, più
grande è l'armata che metterete in campo, più brillanti
i vostri
generali, più abbondanti le vostre scorte e più che
vi allontanerete dal vostro scopo. È come andare a Chou per
la strada del nord”.
L'intera civiltà occidentale è in marcia verso
il “progresso”. Ma la nostra nozione di progresso è
giusta? Se non lo fosse
l'inventività scientifica, le capacità tecniche e gli
sforzi umani impegnati in questa impresa andrebbero nella direzione
sbagliata. Sta diventando sempre più evidente che si sta andando
a Chou per la via del Nord.
Consumo
energetico Le componenti
dell'agricoltura industriale moderna più energivore sono la
produzione di concimi chimici azotati, le macchine agricole e
l'irrigazione artificiale con pompe a motore. Rappresentano più
del 90% di tutta l'energia consumata direttamente o indirettamente
dall'agricoltura e ne costituiscono gli elementi essenziali.
Le emissioni di anidride carbonica provenienti dall'uso di
combustibili fossili per fini agricoli in Inghilterra e in Germania
toccano rispettivamente 46 e 53 chilogrammi l'ettaro, mentre
sono solo 7 chili, cioè sette volte di meno nei sistemi agricoli
non meccanizzati. Ciò concorda con la stima di Pretty e Ball
,
secondo cui la produzione di cereali e legumi con l'agricoltura moderna
richiede da 6 a 10 volte più energia che coi metodi
agricoli durevoli. Si può ribattere che adottare fonti di energia
rinnovabili, come l'eolica e il solare, le onde del mare e
le pile a combustibile permetterebbe di evitare il consumo di energia
per proteggere il nostro clima. Ma questa sostituzione
essenziale richiederà diversi decenni per realizzarsi, alcuni
ritengono mezzo secolo.
Dobbiamo perciò
sviluppare un sistema
agricolo che non provochi danni al clima e anzi sia in grado di contribuire
a ricostruire la fertilità del suolo. Coloro che sono
impregnati dall'ideologia del progresso si sorprenderanno nel sapere
che un sistema del genere è molto simile a quelli praticati
una volta dai nostri lontani antenati e ancora in atto nelle zone
più isolate del terzo mondo, che sono riuscite a restare, in
certa misura almeno, fuori dall'orbita del sistema industriale. Può
darsi che queste pratiche non siano “economiche” secondo
i
criteri di una società industriale aberrante e necessariamente
effimera, ma sono le sole concepite per nutrire le popolazioni
locali in maniera veramente durevole. È significativo a questo
riguardo che le autorità scientifiche più rispettate
in materia di
agricoltura durevole, fra le quali Jule s Pretty, Miguel Altieri e
molti altri, usino l'espressione “Agricoltura durevole”
come
sinonimo di “agricoltura tradizionale”.Se l'agricoltura
tradizionale è la soluzione, si ha ragione di domandarsi perché
i governi
e le organizzazioni internazionali ci tengano tanto a impedire che
venga praticata e a sostituirla con l'agricoltura industriale
moderna. La risposta è che l'agricoltura tradizionale non è
compatibile col processo di sviluppo che imponiamo ai popoli del
terzo mondo, ancora meno con l'economia globalizzata e gli interessi
a corto termine delle multinazionali che la dominano. Ciò
emerge chiaramente dai seguenti passaggi di due rapporti della Banca
mondiale. Nel primo, in merito allo sviluppo della
Papuasia-Nuova Guinea, la Banca mondiale riconosceva che “una
delle caratteristiche dell'agricoltura di sussistenza in Papuasia
Nuova Guinea è la sua relativa ricchezza”. Di fatto “nella
maggior parte del paese, una natura generosa produce alimenti
sufficienti con uno sforzo relativo”. Perché
cambiare allora? La risposta è netta: “Finchè
il modo di vivere di un numero
sufficientemente alto di contadini che praticano l'agricoltura di
sussistenza non cambierà, e non aumenteranno i nuovi bisogni
di beni di consumo, la necessità di produrre per la sussistenza
rischia di rendere difficile l'introduzione di nuove colture”,
evidentemente si parla qui delle colture necessarie a una produzione
su larga scala per l'esportazione. Anche nell'iniquo
rapporto Berg della Banca mondiale si riconosce che “i piccoli
agricoltori sono degli ammirevoli amministratori delle loro
risorse di terra, capitale, fertilizzanti ed acqua”. Ma nello
stesso rapporto si stima che la prevalenza di questo tipo di
agricoltura (o produzioni per la sussistenza) “sia di ostacolo
allo sviluppo agricolo. I contadini devono_essere incitati a
produrre per il mercato, adottare nuove colture e a correre dei rischi”.
Scomparsa annunciata dell'agricoltura
industriale
Che piaccia o no, l'agricoltura industriale moderna è destinata
a scomparire. Si dimostra sempre meno efficiente. Infatti, i
concimi chimici hanno rendimenti decrescenti. L'organizzazione delle
nazioni unite per l'agricoltura e l'alimentazione (FAO)
ha riconosciuto nel 1997 che i rendimenti delle colture industriali
di grano in Messico e negli Stati Uniti non sono aumentati
nei 13 anni precedenti. Nel 1999 la produzione mondiale di grano è
diminuita per il secondo anno di seguito, scendendo a 589
milioni di tonnellate, cioè il 2% in meno rispetto al 1998.
I concimi chimici costano troppo e come ha affermato McKenney,
“la salute biologica dei suoli è stata talmente impoverita
per migliorare rapidamente e facilmente la produzione che la
produttività è ora minacciata e i concimi sono sempre
meno efficaci ”. L'agricoltura senza
petrolio, anche quella tradizionale, è la soluzione ai problemi
della fame, ma è incompatibile con lo sviluppo aumenti
del prezzo del petrolio e, più ancora, alla sua mancanza.
Se tre milioni di persone hanno conosciuto la fame in Corea del Nord
negli ultimi decenni è in parte perché, in conseguenza
della crisi del mercato russo che assorbiva la maggioranza delle sue
esportazioni, il paese non ha più i mezzi per importare
le grandi quantità di petrolio da cui la sua agricoltura, altamente
meccanizzata sullo stile sovietico, era diventata
totalmente dipendente. I suoi contadini avevano semplicemente dimenticato come
si usa una zappa o si spinge un aratro. Anche
la Gran Bretagna avrebbe potuto trovarsi in una situazione altrettanto
disastrosa se lo sciopero dei camionisti nel 2000 fosse
durato qualche settimana in più.
In una
società industriale il petrolio è necessario per l'importazione
dei prodotti
alimentari di base, per costruire e far funzionare i trattori, produrre
e spandere i concimi chimici e gli anticrittogamici,
confezionare e trasportare gli alimenti nei supermercati. È
difficile immaginare un sistema più vulnerabile in tempi normali,
ma diventa addirittura suicida oggi. Siamo chiamati ad affrontare
non solo carenze temporanee di petrolio per bruschi rialzi
del prezzo, ma anche una continua diminuzione della sua offerta. Di
conseguenza il petrolio diventerà sempre più caro finché
solo una minoranza di grandi imprese, con tutta probabilità
nord americane, potranno permettersi di comprarlo, infatti il settore
petrolifero degli Stati Uniti si prepara a far man bassa delle riserve
in rapido declino. La ricerca petrolifera si sta rivelando
molto deludente e la maggior parte del petrolio utilizzato oggi è
stato scoperto quarant'anni fa'. La regione del mar Caspio
che,
come speravano molti specialisti, si riteneva contenesse 200 miliardi
di barili, non ne avrebbe che 25 miliardi e comunque non più
di 40 o 50 miliardi secondo Colin Campbell, una delle massime autorità
dell'industria petrolifera. Non è molto se si pensa che
il consumo mondiale di petrolio ogni anno è di 78 miliardi
di barili e aumenta a una velocità allarmante. Gli Stati Uniti
hanno
cercato disperatamente di ridurre la loro dipendenza dal Medio Oriente
e ci sono riusciti in qualche misura, ma le altre fonti di
approvvigionamento si stanno esaurendo più in fretta del previsto.
È poco probabile, per esempio, che da qui a dieci o quindici
anni l'Iran produca più petrolio del necessario a soddisfare
i suoi bisogni interni. Anche le produzioni di paesi come l'Angola,
la Nigeria, il Venezuela e il Messico stanno cominciando a diminuire,
fra vent'anni gli Stati Uniti saranno ancora più dipendenti
di oggi dal Medio Oriente. Ciò spiega perché l'industria
petrolifera americana che è al governo oggi negli Stati Uniti,
si dimostra
così fanaticamente decisa a mantenere l'Irak che possiede l'11%
delle riserve mondiali conosciute, delle quali solo una piccola
parte è sfruttata e il cui petrolio resta il meno caro del
mondo per i bassi costi di estrazione. Le conseguenze della futura
crisi petrolifera mondiale non devono essere sottostimate.
L'unica
ricetta è il motto di Mae-Wan Ho, direttore dell'ISIS e
consulente scientifico del Third World Network: “Possiamo vincere
il cambiamento climatico e la crisi petrolifera con
l'autosufficienza energetica e alimentare”.
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