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Disastri climatici.
Tre ostacoli alla possibilità di fare qualcosa
Immanuel Wallerstein
Traduzione di Luca Tombolesi Znet-it - www.zmag.org
15 Marzo 2007 - Sono ormai circa cinquant'anni che gli scienziati
ci avvertono dei pericoli delle trasformazioni del clima terrestre
causate dall'uomo. Ma negli ultimi due o tre anni ci sono stati due
importanti cambiamenti della situazione. Primo, c'è
stata una serie di autorevolissimi rapporti di diversi gruppi scientifici,
i quali non affermano semplicemente che questi
pericoli sono reali ma che si stanno verificando a un ritmo assai
più veloce di quanto gli scienziati credessero anche solo
cinque anni fa. Come ha detto di recente il cancelliere tedesco Angela
Merkel, “Non mancano cinque minuti a mezzanotte,
mezzanotte è passata da cinque minuti.”
Il secondo cambiamento è la misura in cui questi mutamenti
sono diventati visibili per la gente comune. C'è stato lo tsunami
nell'oceano
Indiano. C'è stato l'aumento della frequenza e della ferocia
degli uragani nei Caraibi, culminati nel notevole disastro di Katrina.
La stampa diffonde le foto dello scioglimento delle aree ghiacciate
nell'Artico. E quest'anno a Londra i meteorologi che da più
di
trecento anni misurano le temperature hanno annunciato che questo
è stato l'inverno più caldo da quando sono cominciati
i rilevamenti.
La controparte del caldo in Europa sono stati i tornado e gli altri
disastri causati altrove dal vento.
E allora, perché si fa così poco? Chiaramente non è
per mancanza di una consapevolezza del problema, per quanto alcuni
cerchino di negarne
l'esistenza. Eppure il livello di prontezza all'azione dei leader
politici del mondo, e anzi il livello della pressione pubblica perché
facciano qualcosa, è notevolmente basso. Quando c'è
uno scollamento così chiaro fra conoscenza e azione, devono
esserci ostacoli in campo
sociopolitico che lo spiegano. In effetti esistono tre ostacoli piuttosto
potenti all'azione: gli interessi di produttori/imprenditori,
gli interessi delle nazioni meno ricche, e gli atteggiamenti miei
e vostri. Ognuno di questi è un ostacolo potente.
I produttori/imprenditori si preoccupano prima di tutto della redditività
della loro attività. Se gli si chiede di internalizzare
costi che attualmente non devono pagare (il miglioramento o il disinquinamento
dei processi inquinanti), questo influenza seriamente i
loro profitti in due modi. Primo, li costringe ad aumentare i prezzi,
e potrebbero scoprire che questo elimina alcuni clienti. E se
internalizzano i costi ma i loro concorrenti non lo fanno, possono
perdere fatturato a loro vantaggio.
Per questo, come regola generale, è improbabile che le azioni
volontarie funzionino, dato che di rado sono unanimi. In tal caso
il
produttore/imprenditore virtuoso perderà a vantaggio di suoi
concorrenti. La soluzione è l'internalizzazione obbligatoria
dei costi
imposta dallo stato. Questo, anche se risolve il problema del concorrente
nazionale, lascia ancora aperto lo svantaggio nei confronti
di concorrenti internazionali, come pure il fatto che, oltre un certo
prezzo, c'è una diminuzione di clienti.
Il secondo problema è precisamente quello della concorrenza
internazionale. I paesi più poveri cercano di migliorare la
loro capacità di
competere sul mercato mondiale. Uno dei modi in cui lo fanno è
producendo determinati prodotti a un livello di costo inferiore, e
quindi
articoli che possono essere commercializzati a un livello di prezzo
inferiore. Se vengono ordinati (diciamo attraverso un trattato
internazionale) determinati cambiamenti nel processo di produzione
(diciamo la riduzione dell'uso del carbone per ottenere energia)
questo richiede una costosa ristrutturazione delle industrie di tali
paesi, oltre alla potenziale perdita del loro vantaggio comparativo
quanto a prezzi. Questo è attualmente l'argomento di paesi
vastissimi come Cina e India, ma anche di paesi dell'Europa centro/orientale
come Polonia e repubblica ceca.
Naturalmente c'è una parziale soluzione a questo problema.
Si tratta di un massiccio finanziamento dei costi di ristrutturazione
delle
industrie di questi paesi ad opera dei paesi attualmente ricchi (Stati
Uniti, Europa occidentale). Ma tali trasferimenti di ricchezza -
perché di questo si tratta - sono sempre stati impopolari,
e hanno scarso appoggio politico in questi paesi più ricchi.
E in ogni caso
non influenzano la potenziale perdita di vantaggio nei prezzi, così
importante per quei paesi meno ricchi.
Voi ed io costituiamo il cuore del terzo ostacolo. Si chiama consumismo.
Alla gente è sempre piaciuto consumare. Ma negli ultimi
cinquant'anni il numero di persone che poteva consumare oltre un certo
livello minimo per la sopravvivenza è aumentato notevolmente.
Se si chiede agli individui di consumare meno elettricità o
meno energia, o di consumare meno prodotti che richiedono tali input,
si
sta chiedendo a individui che attualmente sono consumatori di cambiare
il proprio stile di vita, spesso in modo significativo. E quanto
a chi attualmente non è abbastanza ricco per dedicarsi a consumi
del genere, gli si sta chiedendo di rinunciare alle potenti aspirazioni
di avere accesso al consumo che gli è stato storicamente negato.
Anche questo si può risolvere. La gente può rieducarsi
a vicenda. All'interno del proprio sistema di valori può portare
in primo piano
cose che non siano maggiori consumi. Noi tutti possiamo accettare
la necessità di ottenere livelli di vita più paritari
in tutto il globo,
anche se per alcuni questo può significare diminuire i propri
vantaggi.
Cinquant'anni fa gli scienziati hanno presentato per la prima volta
la prova che consumare il tabacco e i suoi derivati causava un
accresciuto tasso di cancerosità. Fare qualcosa al riguardo
incontrava i medesimi ostacoli che oggi presenta fare qualcosa quanto
ai rischi climatici. Dopo cinquant'anni in tutto il mondo il livello
di consumo del tabacco è considerevolmente diminuito, in parte
perché le società che lo producono sono state costrette
mediante azioni giudiziarie a rimborsare i costi sociali delle loro
azioni precedenti, in parte perché gli individui hanno rieducato
se stessi, e in parte grazie a restrizioni imposte dallo stato sui
locali in cui è permesso fumare. Così qualcosa si può
fare, è chiaro.
Ma abbiamo cinquant'anni?
Immanuel Wallerstein
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