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Disoccupati
e Indios: la solidarietà corre lungo il filo (di cotone)
Francesca Minerva Fonte: www.lettera22.it
Venerdi'
8 Dicembre 2006 Potrebbero sembrare delle magliette qualunque
quelle che arriveranno tra qualche mese nei negozi italiani del commercio
equo. Ma in realtà sono quasi un miracolo. La fabbrica
da cui escono, nella piccola cittadina di Pigüé, alle
porte della Patagonia argentina, sfornava a ritmo serrato scarpe e
magliette
per i grandi marchi Adidas e Nike, esportava i suoi pezzi in tutto
il Sud America e vestiva i calciatori delle nazionali argentina
e tedesca. Era proprietà della Gatic, uno dei più
grandi colossi industriali argentini, il cui nome rimandava al progresso,
alla
stabilità monetaria e ai successi della ricetta liberista del
presidente Menem. Settemila operai in tutto il paese, quindici grandi
fabbriche nella sola Pigüé, fatturati per milioni di dollari
all'anno. Ma quando, a metà degli anni '90, i vertici industriali
cominciano a indebitarsi e la Banca Mondiale a perdere
la sua scommessa, la Gatic inizia prima le drastiche riduzioni dei
salari e poi la catena dei licenziamenti.
Nel
2001, mentre milioni
di persone occupano le piazze e protestano a suon di pentole e mentre
cinque presidenti capitolano in sole tre settimane, è evidente
che non le sarà facile uscire dal vortice della crisi. E due
anni dopo, con un debito di oltre 700 milioni di pesos, chiude i battenti
e manda a casa gli operai.
Ma gli operai a casa
non ci vogliono andare e, seguendo l'esempio del Movimiento Nacional
de Empresas
Recuperadas, che sta collezionando successi in tutto il paese, occupano
la fabbrica con una sola richiesta: continuare a lavorare.
La risposta del governo è immediata e oltre 250 poliziotti
si lanciano contro di loro. La fabbrica viene sgombrata, rioccupata
di
nuovo e la scena si ripete più volte finché, il 22 dicembre
del 2004, gli operai ottengono l'espropriazione degli spazi di Gatic
Pigüé
a loro favore, insieme a sussidi e crediti governativi per portare
avanti l'attività. Dalle ceneri della Gatic nasce così
la cooperativa
Textíl Pigüé, auto-gestita da 150 operai-padroni.
Ma
la storia della maglietta equa e solidale ha alle sue spalle anche
un altro pezzo di
movimento sociale argentino, quello dei lavoratori disoccupati delle
grandi periferie urbane. E' nel quartiere de La Matanza, infatti,
a
mezz'ora da Buenos Aires, che arriva il cotone lavorato dagli operai
di Pigüé. E lì passa nelle mani delle lavoratrici
della cooperativa
Juanita, che danno forma e colore alle magliette. La cooperativa
è nata nel 2001 quando, per cercare una via d'uscita alla crisi,
un
gruppo di donne ha avviato una serie di micro-attività produttive
dopo aver occupato i locali in rovina di un asilo abbandonato.
Nel centro comunitario, oltre a tessere magliette, organizzano corsi
per bambini e insegnano un mestiere agli adolescenti.
La Juanita è nata da quel movimento di “diseredati”
che abitano la periferie della lussuosa megalopoli latinoamericana,
vivono raccogliendo cartone riciclabile dalla spazzatura e si nutrono
dei rifiuti dei ricchi. Era il primo maggio del '96
quando cominciarono a far conoscere la loro esistenza bloccando le
grandi arterie stradali e impedendo il traffico di merci.
Lo sciopero, non avendo un lavoro, non era cosa per loro, ma i “picchetti”
che inventarono per bloccare le strade producevano
più o meno lo stesso effetto. Oggi invece - dice Margarita,
socia della cooperativa Juanita - i nostri “picchetti”
quotidiani
sono quelli con cui tagliamo e cuciamo la stoffa.
Ma ancor
prima delle lavoratrici delle fabbriche recuperate, ci sono gli indigeni
toba, uno dei pochi gruppi indios superstiti nella bianca argentina,
che raccolgono il cotone nelle terre del nord e cercano,
attraverso il commercio equo, di far fronte a una vita non proprio
facile: tra la desertificazione che avanza per lasciar spazio
al bestiame, la mancanza di acqua potabile e di elettricità
e i sussidi governativi che spettano ai loro colleghi statunitensi
(i secondi produttori di cotone al mondo dopo la Cina), in molti sono
stati costretti ad abbandonare i campi. Ma 762 famiglie
hanno cercato di far fronte al calo dei prezzi riunendosi, a partire
dal 2002, nell'Unión Campesina, che semina e coltiva
cotone secondo tecniche tradizionali e metodi naturali. Tutt'altra
filosofia rispetto a quella della Monsanto, che ha inventato
una sorta di cotone omeopatico: ha modificato geneticamente il seme
del cotone inserendo al suo interno un batterio
(il Bacillus Thuringiensis) e ottenuto come risultato un cotone non
proprio puro, ma che permette un grande risparmio
sulle spese dei pesticidi.
A portare in Italia
le magliette fatte col cotone dei toba nelle fabbriche recuperate,
è
Ctm Altromercato, uno dei principali consorzi di commercio equo del
nostro paese che ha deciso per primo di coinvolgere anche
l'industria nel ciclo del commercio equo. Potrà non sembrare
una grande novità. Ma quelle magliette, che faranno il loro
ingresso nelle botteghe del mondo accanto a caffè, zucchero
e cacao, raccontano una storia non proprio qualunque.
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