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Bilancio in
rosso sulla stampa
del mondo
di Roberta Gisotti 3 Gennaio 2007 da Articolo 21
Tra gli anni più sanguinosi per gli operatori dei media, il
2006,
secondo l’associazione internazionale “Reporter senza
frontiere” che
ha registrato:
la morte di 81 giornalisti e di 32 persone dei loro staff e l’arresto
di altri 871, oltre a 1472 casi di aggressione o
minacce, 56 rapimenti e 912 testate censurate, tutto ciò è
accaduto in 21 Paesi svolgendo il proprio lavoro o esprimendo
le proprie opinioni.
Un bilancio ancora più
rosso, secondo la Federazione internazionale dei giornalisti, con
sede Bruxelles, che documenta nell’anno
passato 155 vittime tra reporter e loro collaboratori a vario titolo.
L’Iraq in cima alla lista nera con 39 vittime seguito da
Messico 9 e Filippine 6. Il mestiere di giornalista sempre
più a rischio sui tanti fronti di guerra.
Ne
abbiamo parlato con
Mimmo Cándito, inviato e commentatore politico de “La
Stampa”, presidente per l’Italia di “Reporter senza
frontiere”.
Ormai, le guerre non sono più quelle di una volta,
con un fronte che divide nettamente due campi di battaglia, ma le
guerre ormai
stanno all’interno delle società civili, quindi sicuramente
i giornalisti che muoiono sono vittime di un processo di acquisizione
della
centralità dell’informazione nelle forme di sviluppo
della società contemporanea.
Giornalisti perseguitati non solo in Paesi in guerra, ma anche in
Europa: quattro di loro hanno perso la vita in Russia, tra cui la
nota Anna Politovskaya; ma ci sono segnali inquietanti pure in altri
Paesi come l’Italia, dove l’identità del giornalista
è messa a
dura prova nella sua autonomia dai poteri economici e politici.
Si ha sempre l’impressione che quando si tocca questo argomento,
in qualche modo si faccia una battaglia di tipo corporativo, cioè
che
si vogliano difendere non so quali privilegi che possano esserci all’interno
di questo lavoro. In realtà, come lei stessa accennava,
tutti – credo – siamo consapevoli in una società
democratica che il ruolo dell’informazione del giornalismo è
fondamentale per un sano
sviluppo di questa società. Ora, quanto più si tenda
a limitare l’intervento del giornalismo nel suo compito di esternazione,
di
verifica della realtà e di denuncia dei poteri, quando essi
non rispettano le regole della legittimità democratica e della
legittimità
giuridica, tanto più si fa riferimento ad un problema generale
delle società democratiche che in questo momento sono, evidentemente,
in
crisi dappertutto, non soltanto in Italia o in altri Paesi, perché
appare evidente che questi sistemi democratici oggi abbiano qualche
difficoltà ad esprimere compiutamente quel processo di rappresentanza
legittima del consenso che l’opinione pubblica esprime verso
le
istituzioni. Ecco che all’interno di questo processo
di crisi, non v’è dubbio che l’informazione, la
stampa e il giornalismo in generale
ha avuto ed ha il compito, di attivare processi cognitivi, perché
ci rendiamo conto che oggi tutto quello che noi diciamo come nostra
conoscenza passa al 90 per cento all’interno dei mezzi di comunicazione
di massa. Ecco che allora si capisce bene come la difesa della
possibilità di svolgere ancora questo ruolo non sia affatto
un problema di ordine corporativo, ma investa l’interesse stesso
di tutta
la società.
C’è un nuovo fronte aperto contro
la libertà di stampa, quello su Internet: secondo un Rapporto
del “Comitato per la tutela dei
giornalisti” di New York, un giornalista arrestato su tre lavora
in Rete, un mezzo che fa paura ai regimi autoritari.
Certo, perché si ha l’impressione – in realtà,
è ancora soltanto una impressione e non una certezza consolidata
- che all’interno della
Rete si possa sfuggire a quel controllo censorio che i regimi autoritari
possono applicare più liberamente, più facilmente sui
mezzi di
comunicazione di massa tradizionali, siano radio, televisione, giornali.
Per esempio in Cina, noi sappiamo quanto alcuni motori di
ricerca – Google, per esempio – abbiano ceduto alle pressioni
del governo cinese inserendo dei filtri che impediscono che i fruitori
dei servizi di Rete, i navigatori possano accedere ad alcune parole
chiave, ad esempio “democrazia”.
Questo lascia
capire che il
fronte della lotta che i giornalisti stanno conducendo in ogni parte
del mondo, vale quale che sia il mezzo di comunicazione di massa
propsio perché gli strumenti tecnologici che potenzialmente
darebbero maggiori possibilità di svulippo dell'esercizio della
libertà
d'espressione, nello stesso tempo possono diventare strumento di maggiore
e sofisticato controllo su questa libertà.
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