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Lo scandalo dei farmaci negati
Chiara Bannella di Medici Senza Frontiere Fonte: www.lettera22.it
Lunedi' 20 Novembre 2006
Nonostante gli sfavillanti progressi della scienza medica, una manciata
di malattie infettive continuano a falcidiare il Sud del mondo.
Secondo gli operatori di Medici Senza Frontiere a uccidere milioni
di uomini donne e bambini non sono tanto le malattie in sé
quanto
il mancato accesso alle cure che pure esistono o potrebbero esistere.
L’assistenza medica resta un miraggio per buona parte dell’umanità
a causa di una serie complessi fattori: inadeguatezza dei sistemi
sanitari, scarsità di personale formato, assenza di infrastrutture,
costi di prestazioni e farmaci esorbitanti per i sistemi sanitari
dei paesi più poveri. Da anni Msf ha lanciato una
Campagna che si occupa di analizzare i fattori economici e politici
che impediscono
a un terzo dell’umanità di ricevere cure adeguate e il
17 novembre ha organizzato a Milano un Convegno sulla Crisi dell’accesso
alle
cure in cui si sono confrontati giuristi, economisti e attivisti per
i diritti dei malati di tutto il mondo.
La situazione dei medicinali contro l’Aids è emblematica:
il costo delle terapie di “prima linea” in Occidente si
aggira sugli 8-10mila
dollari a paziente per anno, mentre nei Paesi a basso reddito, e a
maggior prevalenza di pazienti, è sceso a 400-150 dollari grazie
esclusivamente alla comparsa sul mercato a partire dal 2001 di farmaci
generici equivalenti a quelli delle multinazionali occidentali
ma prodotti nel Sud del mondo (soprattutto in India). Questa conquista
è costata anni di lotte che hanno opposto attivisti per il
diritto alla salute ai Big delle industrie farmaceutiche mondiali
e non può ancora considerarsi soddisfacente visto che i costi,
seppur molto ridotti, restano inaccessibili per gran parte dei sistemi
sanitari pubblici dei Paesi più colpiti dalla pandemia.
I dati parlano da soli: le Nazioni Unite stimano che al mondo ci siano
sei milioni e mezzo di persone che necessitano urgentemente
di cure contro l’Aids e che solo un milione e 300mila vi abbiano
effettivo accesso.
Ancora più drammatica e meno conosciuta è la questione
delle terapie di “seconda linea”, quelle che si rendono
necessarie quando nei
pazienti insorgono resistenze virali o effetti tossici: in questo
caso si devono utilizzare farmaci di nuova generazione, più
recenti
e innovativi e quindi meglio protetti dai brevetti che determinano
una situazione di monopolio di fatto impedendo per almeno 20 anni
la concorrenza da parte dei produttori di generici e dunque l’abbassamento
dei prezzi.
Fiumi di parole sono state scritte e dette sull’importanza del
brevetto come strumento per incentivare la ricerca e l’innovazione
in campo farmaceutico, ma la questione vista con gli occhi dei malati
che vivono in Africa, Asia, a America Latina è un’altra:
il
diritto a fare profitti e a vedere remunerati i propri investimenti
può davvero fare terra bruciata del diritto alla vita e alla
salute?
I farmaci non sono una merce qualunque: sono beni che fanno la differenza
tra la vita e la morte. Le norme sul commercio
internazionale in parte riconoscono questa diversità e prevedono
alcune “clausole di salvaguardia” per favorire la disponibilità
di
farmaci a prezzi accessibili superando la protezione dei brevetti
e permettendo ai Paesi colpiti da emergenze sanitarie di produrre
o importare farmaci a basso costo equivalenti a quelli “di marca”.
Ma queste norme restano quasi sempre sulla carta, inapplicate o
annacquate dalla politica “tampone” delle donazioni occasionali
e della produzione locale attraverso affiliate delle multinazionali.
I grandi “marchi” farmaceutici si oppongono a qualunque
incrinatura del muro contro la concorrenza eretto con i brevetti.
Il timore
che essi esplicitano è l’invasione dei mercati occidentali
da parte dei generici: un rischi che essi stessi potrebbero neutralizzare
attraverso la concessione di licenze di produzione ad aziende locali
vincolandole ad attività esclusiva sul mercato interno, di
scarso
interesse per i colossi.
Il prezzo non è l’unica barriera all’accesso ai
farmaci: per alcune malattie le terapie semplicemente non esistono.
Flagelli come
la malattia del sonno o il morbo di Chagas colpiscono esclusivamente
le popolazioni a basso potere di acquisto e per questo nessuna
industria è disposta a investire in ricerca. Le case farmaceutiche
multinazionali preferiscono studiare nuovi farmaci per trattare
l'obesità, la calvizie o l'impotenza, pur se non vi sono ancora
terapie adeguate per trattare efficacemente la tubercolosi e la
leishmaniosi che uccidono uomini donne e bambini in tutto il mondo.
Su questo fronte si è però finalmente aperto uno spiraglio:
l’Oms ha varato da poco una risoluzione che punta a regolare
la Ricerca e Sviluppo in settori essenziali della salute pubblica
orientandola sui reali bisogni sanitari e non sulla previsione di
profitti.
Si promette così un vero cambiamento di rotta che vede gli
organismi pubblici – governi nazionali e istituzioni internazionali
–
tornare a giocare un ruolo di primo piano nel settore della ricerca
medica fin qui delegato interamente alle industrie private.
Speriamo che questa volta la promessa sarà mantenuta e che
si creeranno le condizioni per un vero impulso alla ricerca sulle
malattie dimenticate.
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