Bruno Ugolini pubblica
tutti i lunedì sull’Unità">
UN viaggio nei
nuovi lavori
Bruno Ugolini pubblica
tutti i lunedì sull’Unità, fin dagli anni '90, una rubrica dedicata ai nuovi lavori. Le prime
puntate erano suggerite da una mailing list organizzata dal sindacato Nidil-Cgil.
Poi la mailing list si è spenta, come altre iniziative. La rubrica prosegue
utilizzando altri spunti mentre le forme di lavoro "atipiche" crescono anche in
connessione all'esplosione di norme decretate dal governo di centrodestra.
Ecco alcuni testi tra i primi usciti nel quotidiano.
Quando i Cobas
battono i confederali Non stiamo
parlando dei tranvieri di Milano, stiamo parlando di Internet. E’ stata,
infatti, resa nota una ricerca, curata da Patrizio Di Nicola e Simona Rosati,
relativa ai siti Internet curati dalle organizzazioni sindacali. Tra le
scoperte c’è quella concernente il fatto che il sito dei Cobas è quello che più
si contraddistingue “per il forte accento posto sul carattere interattivo della
comunicazione con gli iscritti”. L'analisi
effettuata era nata dall’esigenza di capire quanto uno strumento come Internet
fosse “concretamente utilizzato dal sindacato per fornire ai lavoratori sia un
mezzo aggiuntivo e flessibile di comunicazione e d’interazione, sia un servizio
fruibile, prescindendo dalle tradizionali modalità di relazione diretta”. E’
emerso, in definitiva, come il Web sia utilizzato “come mero strumento
informativo, e molto poco come mezzo per stimolare e migliorare le possibilità
di relazione tra iscritti e sindacato e tra iscritti stessi”. Mancano i forum,
le chat, le Faq, tutti quei mezzi che “sarebbero funzionali allo sviluppo del
dialogo e dell'interazione”. L'impressione, conclusiva è che “mentre le aziende
hanno imboccato la strada dell'incorporazione del Web nella propria
organizzazione e le pubbliche amministrazioni si danno obiettivi ambiziosi con i
piani di eGovernment, per il sindacato la presenza in rete sia rimasta
fondamentalmente allo stadio della vetrina, a volte polverosa e con merci spesso
obsolete”. Un giudizio
severo accompagnato da un’analisi più dettagliata. C’è così il sito nazionale
della Cgil con “un home page molto ricca e dinamica”. E’ apprezzata “la presenza
di loghi per utenti disabili” e la voglia di rendere più attivi gli iscritti al
sindacato. Il sito del Sindacato Pensionati Italiani SPI, “oltre ad avere
un’agenda con tutti gli appuntamenti e una sezione dedicata ai comunicati
stampa, è molto orientato a tenere informati gli iscritti al sindacato e i
visitatori del sito”: Apprezzata la presenza di links a due riviste mensili:
“Liberetà” e “Spi informa”, nonché la possibilità all’accesso ad una rete
interna (Intranet), riservato esclusivamente agli iscritti al sindacato.
Risulta invece scarsa, nel variegato mondo del Web Cgil, la presenza femminile.
Solo la Fisac (commercio) dispone di una sezione dedicata alle donne.
E veniamo alla
Cisl nazionale. Qui lo studio annota una ricchezza “a livello contenutistico”
(storia, servizi, link esterni suddivisi per aree tematiche, aggiornamenti).
L’interattività e lo scambio con l’utente, però, sono ricercati “esclusivamente
là dove è possibile inviare messaggi tramite posta elettronica”. Due sezioni
sono dedicate al Coordinamento Nazionale Donne Cisl e ai Giovani. Solo il sito
della Cisl Lombardia ospita un forum, dedicato alla scuola. E’ considerato poi
degno di nota il sito della Federazione Italiana Bancari ed Assicurativi, con la
presenza di forum e sondaggi. I primi affrontano temi come “amministrazione
portali”, “club” e “vorrei sapere” riservati ai soli dirigenti; “fisco”,
“maternità e congedi parentali” e “budget, come cambia il nostro lavoro” aperti
a tutti e senza l’obbligo di registrarsi. Nel sito dei lavoratori delle poste è
stato rilevato una sorta di “gioco interattivo”. Esso è basato “sulla metafora
del labirinto che, negli intenti degli autori (Coordinamenti Giovani Donne e
Quadri), esplica il passaggio dalla bestialità del Minotauro, che oggi
sopravvive nel lavoro in cui le risorse umane sono mero strumento di produzione,
all’affermazione della mente e dell’anima in Arianna, che riscatta il Valore del
Rispetto”. Interessante. Ma siamo ancora ai primi passi del movimento
sindacale in questo pianeta.
Nonni a colloquio con i New global
Questi ultimi anni sono stati contrassegnati da contrapposizioni
generazionali. Padri contro i figli, figli contro i padri, nonni contro i
nipoti. Ad ogni piè sospinto, attraverso articoli, polemiche, romanzi, studi
dottorali, le ragioni delle nuove generazioni sono state agitate come clave nei
confronti dei presunti privilegi dei vecchi. E’ stato così in materia di
diritti. Quando si diceva e si scriveva che bisognava togliere qualche diritto
ai più anziani, provvisti di un posto di lavoro sicuro. Sicuro per modo di dire,
visto il susseguirsi instancabile di ristrutturazioni, prepensionamenti, messe
in mobilità, veri e propri licenziamenti. Un taglio virtuoso, sostenevano, per
poter far crescere qualche diritto a favore di ragazzi costretti a lavori
“intermittenti”,
di tre mesi in tre mesi e a volte anche meno, senza alcuna
tutela. Era un progetto di “redistribuzione” che è apparso in tutta la sua forza
nel corso dell’accesa diatriba sul famoso articolo diciotto, quello dei
licenziamenti facili. Togliamo l’articolo diciotto ai lavoratori tradizionali –
questo era il ragionamento – magari per introdurre qualche sicurezza in più a
favore dei lavoratori atipici che non hanno alcun statuto del lavoro a
disposizione.
Altre contrapposizioni sono state innescate nel corso
dell’infinita discussione sul sistema pensionistico. Anche qui i tagli, i
ridimensionamenti, previsti per chi potrebbe andare in pensione fra qualche
anno, erano accompagnati dalla litania sul fatto che stanno molto peggio quelli
che entrano ora nel lavoro o nei lavori e hanno di fronte una prospettiva
drammatica, per quanto riguarda le loro future pensioni. Come se togliendo ai
primi, i secondi fossero matematicamente favoriti.
C’è anche però chi si muove per impedire queste spaccature
sociali. E’ il sindacato. Un’organizzazione in particolare, lo Spi Cgil e la sua
rivista “Libera Età”, hanno deciso di studiare iniziative giornalistiche per
favorire proprio un dialogo, un colloquio tra giovani e anziani. La segretaria
generale Betty Leone in un’intervista alla rivista, curata dal direttore Giorgio
Nardinocchi, ha sottolineato il fatto che nelle ultime manifestazioni, come
quella del sei dicembre, si sono visti davvero tanti giovani. Una novità. “I
giovani d’oggi hanno recuperato”, dice la Leone, “la voglia di giustizia sociale
che si era persa nella generazione precedente…Noi non possiamo deludere l’idea
che si possa ancora lavorare per una società più giusta. Loro si sentono
cittadini del mondo. E sono convinti che le regole dell’economia non siano così
strette e che si debba ragionare di giustizia anche internazionale». E’ una
specie di braccio teso anche ai ragazzi dei movimenti, ai New Global, per
vincere incomprensioni reciproche, per capirsi meglio. “Noi abbiamo trasmesso
loro i nostri valori, loro ci possono insegnare con quali occhi guardare alla
modernità senza perdere i nostri ideali. Ecco, sarebbe bello invertire il lavoro
che abbiamo fatto in questi anni e chiedere ai giovani d’insegnarci a ragionare
un po’ con la loro testa, come noi chiediamo loro di non cancellare la nostra
memoria».
Festa Vodafone?
No, tu no Sei interinale
e quindi niente party. Potrebbe essere la battuta buona per ricalcare una
vecchia pubblicità. Nasce da una decisione della Vodafone Italia. Ha
organizzato, proprio per questo lunedì, una maxifesta. Per i romani, il luogo
del ritrovo è il Paleur. Qui arriveranno anche dai call center d’altre città,
come quelli in charter da Pisa. Tutti in ogni modo collegati via satellite con
Padova, Milano e Napoli. Assicurata la presenza di personaggi d’eccezione come i
cantanti Claudio Baglioni e Biagio Antonacci. Un clima di “fidelizzazione” come
dicono i sociologi, da grande famiglia unita, insomma. Esistono però, come
sempre, anche i parenti poveri, quelli che rimangono sulla soglia a guardare le
vetrine illuminate. Sono gli interinali. Un esercito nutrito disseminati negli
otto Call Center sparsi sulla penisola. Gente che gode di contratti rinnovabili
di due mesi in due mesi, ma anche per quindici giorni. Peggio delle domestiche,
pardon delle collaboratrici domestiche. Loro che pure sono parecchie centinaia
in tutto il gruppo alla festa non potranno partecipare. L’invito, infatti,
specifica con linguaggio manageriale: “Due indicazioni fondamentali per tutti:
la festa è dedicata solo alle persone assunte da Vodafone Italia, sia a tempo
indeterminato che determinato. Per accedere alla festa sarà necessario
presentare il proprio badge”. Questo “badge” è una specie di tessera aziendale
non rilasciata ai poveri interinali, figli di nessuno. E così non potranno
aderire allo scambio d’auguri. Non potranno ricordare insieme “gli importanti
traguardi che abbiamo raggiunto con il nostro lavoro”, non potranno divertirsi
“con musica, cibo, spettacolo, discoteca”. Non potranno essere, come si legge
sempre nell’invito, protagonisti della festa, così come lo sono “della vita e
dei successi di Vodafone”, cui pure hanno contribuito e contribuiscono ogni
giorno. Un vero peccato.
Nel frattempo i dipendenti Vodafone reduci da scioperi e trattative serrate
stanno facendo i conti. Qualcuno sostiene che un'altra festa simile, quattro
anni, fa costò 60 miliardi di vecchie lire. I costi saranno senz’altro
cresciuti. Magari al posto del SuperParty si potevano assumere un po’
d’interinali. Magari si poteva rimediare a quella ingiustizia derivante dal
passaggio dei dipendenti dal contratto metalmeccanico a quello delle
telecomunicazioni. Per cui ora i nuovi assunti percepiranno 25 Euro di meno il
mese, rispetto ai precedenti assunti. Magari si poteva alleviare ancor più la
crescente flessibilità derivante dall’articolo 26 del nuovo contratto. Una norma
per cui se prima, una volta assegnato un turno di lavoro, rimaneva quello, ora
te lo possono cambiare con sole 48 ore d’anticipo. Una piccola regola che ti può
rovinare un programma di vita, scardinando gli orari. Anche se la battaglia
sindacale sulla “armonizzazione” ha limitato l’adozione della norma a casi
eccezionali. E in ogni caso
che la festa sia. Il cartoncino dice, nel titolo “Io ci sarò, ci saremo tutti”.
Non sarà così. Qualcuno rimarrà fuori. E’ come nella storia dei diritti generali
o delle pensioni, per rimanere ad un tema d’attualità. C’è sempre chi rimane a
bocca asciutta.
Il lavoro che
ti cambia l’umore I tempi del
lavoro e i tempi della vita. I primi che cambiano i secondi e viceversa. E’
uno fra i temi affrontati in un recente convegno a Bologna, organizzato dal
Dipartimento delle discipline storiche dell’Università di Bologna e la
Fondazione Istituto per il Lavoro della Regione Emilia-Romagna. Il convegno
portava come titolo “Precarietà del lavoro e società precaria nell’Europa
contemporanea”. Un resoconto della ricercatrice Samuela Felicioni è apparso sul
sito www.ildiariodellavoro.it. Tra i relatori c’era Francesco Garibaldo
(direttore dell’Istituto per il lavoro) che, appunto, si è posto il quesito
relativo ad una possibile totale separatezza tra la dimensione della vita
lavorativa e le altre dimensioni in cui vivono gli individui. Molte ricerche in
Europa, infatti, testimoniano una generale condizione di sofferenza sociale.
Ogni essere umano, ha sostenuto il relatore, ha delle esigenze elementari per
una sua condizione di “benessere generale”. L’individuo tende ad adattarsi ad
una determinata organizzazione del lavoro ma quando essa non corrisponde alle
sue esigenze di base, egli compie uno “pseudo adattamento”. Finge di adattarsi.
Il delicato equilibrio tra diverse sfere di vita è posto in discussione e nasce
quella che gli studiosi chiamano “corrosione del carattere”. Sono i mali
emergenti soprattutto in un certo tipo di flessibilità. Uno studio accurato è
stato illustrato da Luciano Gallino che si è diffuso sul dilagare di una nuova
concezione dell’impresa. Essa passa attraverso un nuovo modello organizzativo
che la vede sempre più “virtuale” nel tempo e nello spazio, con la distribuzione
di contratti di subappalto e a breve termine. Così occupa pochi addetti nel
Paese d'origine e molti nel resto del mondo. Gallino ha fatto l’esempio della
casa automobilistica Porsche, che produce più del 90% delle proprie auto
attraverso piccole e medie imprese dislocate in tutto il territorio. Non ci sono
solo i lavoratori precari, ma anche le aziende precarie, quelle, appunto, che
lavorano per l’impresa titolare, ricercando forze di lavoro il più flessibili
possibile. Tra queste il primato spetta al lavoro informale. Secondo Gallino su
una forza lavoro di 2,7 miliardi di persone, il lavoro informale ne occupa circa
1,3 miliardi, in alcuni Paesi del Sud Est asiatico supera il 55%, mentre in
Africa addirittura il 60%. Sono forme di lavoro considerate transitorie e che
stanno diventando sempre più stabili in una società in cui “non esiste più la
distinzione tra tempo di lavoro e tempo libero, non si distingue più fra
settimana lavorativa e weekend”. Servizi d’ogni genere, in questo sistema,
divengono perennemente accessibili per far fronte alla moltitudine di bisogni:
24 ore su 24, 7 giorni su 7. Un mondo che
cambia, dunque. Con la formazione di una specie di “clessidra”, secondo la
definizione usata dal convegno bolognese. La parte inferiore è occupata dai
lavoratori che fluttuano dentro e fuori le imprese titolari, perennemente legati
al lavoro temporaneo e a lavori di basso profilo qualitativo. La parte
superiore, invece, da quei lavoratori fortunati che hanno “contratti di lavoro
standard, professionalizzati e secolarizzati.” Ma con conseguenze per
l’integrità psicofisica soprattutto dei flessibili. Ritorniamo così a quella
sofferenza sociale evocata da Garibaldo. Perché, secondo l’Organizzazione
mondiale della sanità, la condizione della vita lavorativa contemporanea “è
esposta sempre più a stress, a problemi fisici” e le condizioni di lavoro
precario “incidono fortemente sul verificarsi degli incidenti”.
La
salute in vendita Non solo
ballerai da un posto di lavoro all’altro, ma sarai anche indebolito nei tuoi
tentativi di difenderti dalle malattie e dagli incidenti. E’ quanto avverrà con
le ultime norme volute dal governo di centrodestra in materia di mercato del
lavoro. Siamo di fronte, come hanno scritto su “Rassegna sindacale” Luisa
Benedettini e Alessandro Genovesi, due dirigenti della Cgil, ad una brutta
miscela di norme che renderanno il lavoro meno protetto e più insicuro. I due
hanno analizzato a fondo gli effetti sia della legge 30 (quella che senza alcuna
delicatezza è chiamata legge Biagi) sia della legge delega dedicata appunto ai
temi della salute e della sicurezza. Sono norme destinate a peggiorare in modo
particolare la condizione dei protagonisti della nostra rubrica, gli atipici.
Siamo di fronte ad una “miscela esplosiva”. Tra i lavoratori
colpiti da queste mirabili innovazioni possiamo annoverare quelli che saranno
assunti con il contratto d’apprendistato, un rapporto di lavoro che può durare
dai due ai sei anni, nonché quelli dei contratti di formazione e lavoro, quelli
che parteciperanno ai cosiddetti “Tirocini estivi” e, infine, i vecchi Co.Co.Co.
ora chiamati Lavoratori a progetto. Le nuove norme riservate ad esempio agli
apprendisti, secondo la Benedettini e Genovesi, non fanno, infatti, alcun
riferimento ai temi della salute e della sicurezza. Ti cacciano ad operare,
nonostante la tua inesperienza, in mansioni pericolose? Non esiste alcun divieto
e alcuna limitazione di legge. Quel che poi è ancora più grave è il fatto che
non dovranno obbligatoriamente godere di un determinato numero di ore dedicate
alla formazione, proprio sui temi della salute e della sicurezza. Saranno
mandati allo sbaraglio, punto e basta. Non è nemmeno certo che possano essere
coperti da un’assicurazione. Un discorso
analogo è fatto dai dirigenti sindacali della Cgil a proposito dei contratti
d’inserimento che hanno sostituito i contratti di formazione-lavoro. Trattasi di
contratti che hanno la durata di 9-18 mesi. I loro fruitori sono in particolare
giovani, donne, disabili, disoccupati di lunga durata. Tutti soggetti
particolarmente esposti a possibili attacchi alla loro integrità psicofisica.
Altre difficoltà investiranno gli adolescenti chiamati a seguire i tirocini
estivi d’orientamento. E per i vecchi
Co.Co.Co.? Qui c’è una norma che stabilisce, salvo una correzione operata nel
possibile contratto individuale, che in caso di malattia o infortunio il nuovo
lavoratore a Progetto non abbia alcun diritto. Non possa, ad esempio, usufruire
di una proroga del contratto, né di un sostegno economico. Non solo: in alcuni
casi il datore di lavoro potrà unilateralmente disfarsi del lavoratore a
progetto, recedere il contratto, licenziarlo. Il lavoro ti ha fatto ammalare?
Hai subito un infortunio? Peggio per te: arrivederci, anzi addio. I rischi più
eclatanti sono infine rappresentati nelle “prestazioni occasionali e
accessorie”. Qui troviamo donne e uomini impegnati in lavori domestici, in
mansioni connesse alla manutenzione di monumenti e palazzi, in manifestazioni
culturali. Sono attività dove gli incidenti, come dicono le statistiche, si
verificano spesso. E qui “nulla si dice sull’applicabilità delle norme su salute
e sicurezza”. Trattasi di silenzio voluto. E’ chiaro che i padri di questa
controriforma del centrodestra, a cominciare dal ministro Roberto Maroni hanno
considerato la salute e la sua difesa, come un orpello, come un laccio e
lacciolo. Qualcosa da buttare via perchè nuoce al mercato, alla produttività
delle imprese. Un calcolo anche miope. Le imprese sane, sono sane e vincono
nella guerra sui prodotti, quando i prodotti sono buoni e quando i produttori
stanno bene, lavorano con efficacia. Lavoratori che si ammalano facilmente,
privati di tutele, non abilitati a seguire corsi di formazione per imparare a
difendersi dai pericoli in agguato, a lungo andare finiscono con l’aumentare i
costi economici della società.
INVADIAMO IL
PARLAMENTO Nuova tappa del nostro
viaggio tra i nuovi lavori, i cosiddetti atipici, quelli che il posto fisso e
permanente se lo sognano. Ecco Maristella. <Ho 45 anni> - scrive nella mailing
list <atipiciachi@mail.cgil.it> - <Sono laureata, plurispecializzata e
aggiornata, con esperienza considerata medio-alta>. Il suo lavoro? Docente nella
formazione professionale, con un solo committente. E’ intenta a fare un bilancio
degli ultimi cinque anni d'atipica, con retribuzione lorda media annuale di
16.700.000. Lancia un grido: <Aiuto!>. Chiede perché a lei e a tante come lei
non sono riconosciute la malattia, le festività, le ferie, la maternità, le
trasferte... Una denuncia accorata,
accompagnata dalla ricerca di soluzioni. Molte speranze erano state riposte
nella famosa legge Smuraglia, quella legge a lungo discussa in Parlamento,
modificata, rimaneggiata, criticata da sinistra, ma soprattutto boicottata da
destra. Il presidente della Confindustria Antonio D'Amato non ha nascosto il
lavoro di lobby per uno stop alle nuove regole per gli <atipici>, così come a
quelle in materia di rappresentanza sindacale. E Silvio Berlusconi ha proclamato
l'identità di vedute anche su questo punto. L'annuncio
dell'affossamento della Smuraglia è dato nella <mailing list> da un giornalista,
Roberto Giovannini: <Volevo informare che il disegno di legge Smuraglia (lavori
atipici) non diventerà, purtroppo, legge dello Stato... Questo significa che non
ci sarà nessuna legge a tutela dei diritti dei lavoratori non stabili e non
dipendenti; né nella forma "rigida" del Senato, né in quella "soft" (e per
questo criticata) discussa alla Camera>. Giovannini denuncia anche il <silenzio
fragoroso> e la scarsa mobilitazione, anche da parte della Cgil e dello stesso
Nidil, per non parlare dei partiti di sinistra. Gli risponde a spron battuto
Cesare Minghini, Coordinatore nazionale del NidiL, che ricorda come
l'organizzazione abbia promosso una serie d’iniziative, sollecitando <tutti
coloro che avrebbero potuto collaborare nel condurre questo disegno di legge in
porto>. E' annunciata anche una manifestazione (siamo alle fine di febbraio. L’owner
della lista chiede di inondare di E-Mail la Camera: <Non possiamo permetterci di
passare questa cosa sotto silenzio e, soprattutto, non possiamo farci autogol
rendendoci invisibili da noi stessi>. Tra i primi a rispondere
è Mirko con un appassionata proposta da spedire a tutti i parlamentari italiani
uscenti o candidati al nuovo Parlamento: <Ognuno di noi potrebbe preparare una
paginetta, raccontando, molto brevemente, la sua storia e mandargliela... Cento,
duecento, mille storie di atipici per far sentire tutto il peso delle persone
che stanno dietro una legge.. Non sono solo degli articoli: dentro quegli
articoli ci sono persone che sperano, vivono, sognano e spesso soffrono...
Faranno orecchie da mercanti ugualmente, diranno i pessimisti (e anche i
realisti, credo), ma almeno un giorno, quando arriveranno alla mia porta a
chiedermi "Ma perché non mi hai votato ?" io gli potrò sbattere in faccia tutte
quelle storie, la data dell'affossamento della Smuraglia, la Smuraglia stessa e
tutti i suoi emendamenti... Lo stesso discorso vale per i giornali. C'è chi
mette le bombe ai giornali, noi possiamo andare a fare una cosa "simile", una
specie di bomba carta... Entriamo nelle sedi dei giornali (piccoli e grandi, io
mi posso occupare di quelli liguri) e depositiamo il fascicolone... Sono pronto
ad andarci tutte le settimane… Vedrete che si romperanno le scatole... e se non
mi faranno entrare glielo lascerò fuori.. Così almeno c’inciamperanno
all’uscita...>. Sono voci amare,
ironiche, da ascoltare. La comunità di <atipiciachi> è il loro terreno
d'incontro virtuale, mentre pensano anche di mettere in piedi incontri fisici,
come quello in preparazione per il 21 aprile a Roma presso la sede del Nidil
(via Donizzetti 7b). Un occasione per guardarsi in faccia e progettare il futuro
nel pianeta dei nuovi lavori.
SIAMO TUTTI
PADRONCINI? Gli atipici, quelli dei
nuovi lavori, tutti padroncini, tutti autoimprenditori? Rappresentano in carne
ed ossa una specie di <addio al proletariato>? O sono, invece, come altri
dicono, tutti emarginati, tutti nuovi proletari? Il nuovo lavoratore, in
definitiva, è una specie di dottor Jekill e mister Hyde insieme? Il quesito
ritorna ancora una volta leggendo la recente indagine, promossa dal settimanale
<Rassegna Sindacale> in collaborazione con la società Demetra, pubblicata in
occasione del Primo Maggio. Alcune risposte, emerse dall'ampio sondaggio,
testimoniano che la quasi totalità degli interpellati (ben il 94%) lavora in
condizioni di sufficiente autonomia decisionale. C'è però da osservare che lo
studio è stato fatto non nel mondo complessivo dei lavori mobili, ma in quello
più ristretto dei lavoratori della conoscenza, nel campo scientifico e delle
tecnologie avanzate. Un campo dove, in ogni modo, permane minoritaria la scelta
a favore del passaggio al posto fisso e permanente. Solo il 27 per cento
dichiara di voler passare ad un rapporto subordinato di tipo "standard".
L'interesse maggiore per un tale passaggio (al posto fisso) proviene dalle donne
(44%), dai più giovani (38% di coloro che hanno meno di 26 anni), dai
collaboratori (40%), ma in primissimo luogo da parte dei dipendenti con
contratto a termine (addirittura il 77%). Sono dati su cui
riflettere. Spiegano il crescente interesse non solo dei sindacati, ma anche
delle associazioni imprenditoriali nei confronti dei <nuovi lavori>. Una
segnalazione ad esempio sull'impegno della Cna (confederazione artigiani) in
questo campo, è esposta nella mailing list <apiciachi@mail.cgil.it>. Fanno bene,
fanno male? Scrive Federico: <Si candidano a rappresentare al meglio gli
imprenditori di se stessi e ad essere una struttura d’assistenza per il popolo
della partita IVA. Non gli interesseranno quelli che lavorano nei call center o
nelle imprese di pulizia con contratti di collaborazione, ma solo gli
autoimprenditori che non vogliono rientrare nel lavoro dipendente. Traduzione:
dei primi si occupino Cgil Cisl e Uil, al resto ci pensa la Cna. Hanno
contrastato l'approvazione della legge Smuraglia sugli atipici perché sarebbe
risultata dannosa per gli autonomi veri>. Lo stesso Federico però pone in dubbio
l'utilità dell'operazione, chiedendosi, in sostanza, se è possibile dividere
così un mondo tanto intricato e variegato. <A me risulta davvero complesso
mettere da una parte gli autonomi veri e dall'altra gli autonomi falsi: penso
che ci siano livelli di forte autonomia e di forte gerarchia sia nel lavoro
falso/vero dipendente, che nel lavoro falso/vero autonomo. Ed è per questo che
mi piace pensare ad un mondo del lavoro non separato (che mette il lavoro di
merda da una parte e quello bello dall'altra), ma unito nella conquista di nuovi
poteri e di nuovi diritti. Diritti che, sinceramente, non riesco a vedere né in
contraddizione con l'autonomia nel lavoro, né, tantomeno, dannosi per
l'autonomia stessa; anzi, una legge che garantisca un sistema di diritti e di
tutele per i lavoratori atipici, secondo me, potrebbe solo rafforzare la libertà
d’ogni lavoratore...>. Un tema ripreso da Elena.
Quello che la Cna vorrebbe offrire, scrive, sono fondamentalmente i suoi servizi
fiscali e gestionali e la possibilità di fare "network". Il suo giudizio non è
negativo: una concorrenza fra organizzazioni diverse non potrà che fare del
bene. Conclude però: <L'idea di rivolgersi solo ad un settore del Mondo del
Lavoro Che Cambia, assimilandolo al lavoro autonomo (anche perché sul resto, la
CNA è ben consapevole del conflitto d'interessi a cui andrebbe ad esporsi, solo
per raggiungere un segmento di clienti spesso poco remunerativi rispetto alla
complessità dei servizi che richiederebbe) è indice, secondo me, della volontà
di non afferrare il "nuovo" che avanza, nella complessità delle sue
contraddizioni>. Insomma, non è possibile separare Hyde da Jekill…
NOI,
MODERNIZZATI
Ogni tanto
leggiamo, anche nei diversi dibattiti che cercano di ricostruire le ragioni, i
motivi che hanno portato al declino, elettorale e non solo elettorale, dei
Diesse, anche la scarsa capacità di sposare, sostenere, i processi d’innovazione
e modernizzazione della società. Spesso, poi, questi processi sono individuati
nelle trasformazioni avvenute nel mondo del lavoro. Il riferimento é, così, al
relativo ridimensionamento dei posti di lavoro a tempo fisso e permanente, al
pullulare dei nuovi lavori, chiamati atipici, interinali, collaboratori
occasionali o continuativi. Che cosa vuol dire però denunciare una colpevole
disattenzione nei confronti di tali nuove realtà? Il rischio é che, in nome
appunto dell'innovazione esse siano accettate così come sono, ignorando i
problemi che sollevano. Problemi sociali, innanzitutto.
Hanno
quindi ragione, mi sembra coloro che (come ha avuto modo di scrivere Michele
Serra) invitano ha riprendere i contatti con la società italiana e i suoi
mutamenti, per capirli a fondo. Un modo per sentire le voci del nostro tempo é
anche quello di seguire la mailing list voluta dal Nidil (Nuove identità
lavorative) che pubblica ogni giorno, tramite la posta elettronica in Internet,
un fitto scambio di messaggi tra i protagonisti, appunto, dei nuovi lavori.
Spesso sono giovani, come questa ragazza di 24 anni, bolognese, laureata in
Disegno Anatomico. Ha da un anno un contratto di collaborazione coordinata e
continuativa (Co.Co.Co.) presso uno studio di grafica. Tale contratto è
rinnovato di sei mesi in sei mesi. Siamo, come si vede, nel pieno di una
presunta modernità. Il lavoro di questa ventiquattrenne consiste nell'impaginare
e illustrare libri, sviluppare cd-rom educativi. C'é un piccolo tasto che lei
chiama <dolente>: la sua retribuzione é pari a due milioni e centomila lire
mensili lorde. A queste bisogna aggiungere quello che lei chiama un
<contentino>, una specie di premio relativo all'ultimo anno, pari ad un milione
e mezzo lorde. Fate un po' voi i conti e vi accorgerete che lo stipendio netto é
più o meno pari a quello di un operaio metalmeccanico. Eppure qui siamo nel
cuore della nuova economia, con una professionista che sviluppa cd rom. Siamo
nel cuore della modernizzazione. Con stipendi da fame. Non solo, c'é anche il
capitolo delle ferie: la fanciulla in un anno ha fatto dieci, diconsi dieci,
giorni di ferie retribuite.
Sono storie
che portano a dire che per lo meno nei processi d’innovazione bisogna introdurre
poderose iniezioni d’equità e giustizia sociale. Giovani come questi non possono
aderire alla sinistra, trovare motivi di soddisfazione nel partecipare ad
iniziative, elettorali o meno, della sinistra, solo sotto gli slogan fascinosi
della modernizzazione. Ecco il caso d’Antonella che vive a Viareggio e si
dichiara <una nuova atipica> <contenta di scoprire tanti amici> attraverso la
posta elettronica. Antonella lavora in ospedale come tecnico di
neurofisiopatologia. Opera, in sostanza, <esami diagnostici in ambito
neurologico>, con un contratto di collaborazione che scadrà tra un mese. Le é
stato detto che però non sarà rinnovato <perché all'azienda usl non conviene>.
Sono, osserva Antonella, le <testuali parole usate dalla segretaria
dell'amministrazione. Le sarà perciò proposto cosï un contratto di sei mesi come
incarico libero-professionale e dovrà aprire la partita IVA. Con un incremento
retributivo data la nuova situazione? Neanche a parlarne. Porterà a casa tutti i
mesi due milioni e mezzo lordi. E quanto tempo dovrà lavorare ogni settimana?
Trentasei ore cui aggiungere le ore di cosiddetta <pronta disponibilità>. Sono
circa 6-7 giorni il mese, durante i quali deve mantenersi disponibile.
Insomma,
come dice un detto antico, non é tutto bello quello che riluce. Molti di questi
interlocutori, intenti a comunicare i propri problemi se la prendono anche con
il sindacato accusandolo di disattenzione, di burocraticismo. Mi ha colpito
molto, di fronte a queste sfoghi, la risposta pacata di Luigi che spiega come la
Cgil, ad esempio, appaia <lenta>, intenta a camminare <con il passo dei
penultimi...un po’ sorda, a volte arcigna...>. Però <da 100 anni - anche quando
sbaglia (e lo fa più spesso di quanto le piaccia ammettere) sta solo e sempre da
una parte sola: quella dei lavoratori>.