timone Il Mercante in Rete
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Marketing e comunicazione nell'internet


Numero 66 – 2 ottobre 2002

 

 
Consiglio a chi legge abitualmente il Mercante in Rete
di tener d’occhio la segnalazione delle

novità
per verificare se c’è qualcos’altro
che possa trovare interessante.
 
Articoli su argomenti analoghi
si trovano in offline e in altre rubriche.
 

 


loghino.gif (1071 byte) 1. Editoriale:
La piaga dello spam (seconda parte)



Questo numero del “mercante in rete” è dedicato a un solo argomento: lo spam. Un fastidioso fenomeno, di cui si discute “parecchio”, in modo spesso confuso. Se n’era parlato in questa rubrica fin dall’inizio (vedi I pericoli dello spamming – marzo 1997) e poi di nuovo in altre occasioni (per esempio L’epidemia dello spam – dicembre 2000). L’argomento è stato ripreso nell’editoriale del numero 65 (agosto 2002) e penso che meriti qualche altro approfondimento.

Il fenomeno è tutt’altro che nuovo – come vedremo più avanti. Con molti anni di ritardo, e ancora con scarsa chiarezza, sta cominciando a venire a galla anche fuori dalla rete. Se ne occupano talvolta, anche se in modo superficiale e confuso, i mass media. I motivi di questa crescente attenzione sono principalmente due. Le norme stabilite dall’Unione Europea (che non risolvono il problema – ma “almeno ci provano”) e il fatto che le imprese cominciano a percepirne il fastidio. Non so con quale criterio una fonte dell’Unione Europea abbia calcolato dieci miliardi di euro solo per i costi di connessione dovuti all’invasione di spam – ma è evidente che il danno, per le molteplici conseguenze del fenomeno, è enormemente più grande.

Molte delle scorrettezze che ti trovano nello spamming sono esistite molto prima (e cointinuano ancora oggi) in altre forme di comunicazione. Come le invasività telefoniche, le spedizioni postali, eccetera. Molte attività truffaldine che si trovano online sono ripetizione di modelli antichi, dalle promesse dei “Dulcamara” a nuove edizioni della “truffa all’americana” (vedi per esempio la truffa all’africana, che continua a imperversare, con varianti anche asiatiche o di altre parti del mondo).

Casi recenti segnalano fenomeni analoghi allo spam nei telefoni cellulari – e truffe via fax che ripetono il modello di imbrogli online già verificati anni fa, in cui il trucco sta nel “mettere in allarme” o, in un modo o nell’altro, indurre l’ignaro lettore a chiamare un numero telefonico a pagamento. Con la palese complicità delle compagnie telefoniche, di cui una variante è l’intenzionale e ingannevole somiglianza dei numeri 899 (a costoso pagamento) con i “gratuiti” numeri 800.

Gli inganni di questa specie non sono una novità. Oltre alle note manipolazioni, avvenute anche in passato, con diversi tipi di telefonia, ci sono state anche varie truffe che, partendo dall’internet, portavano a costosi collegamenti con linee a pagamento. (Vedi per esempio un caso del 1999).

Uno dei problemi è che lo spam si confonde, in parte, con altre attività scorrette e truffaldine. Ogni tentativo di eliminare, o almeno attenuare, il problema si colloca perciò in un quadro complesso. Una soluzione “universale”, che da sola ne risolva tutti gli aspetti, è impossibile. Per esempio truffe e inganni dovrebbero essere perseguiti in vari modi, indipendentemente dagli strumenti di cui si servono. È improbabile che siano necessari, o inutili, nuove norme. In gran parte, probabilmente in tutto, bastano le leggi esistenti. Punire i responsabili, e con adeguati provvedimenti scoraggiare chi altro vuole agire con l’inganno, è uno dei modi. Un altro, non meno importante, è informare il più largamente possibile persone, imprese, organizzazioni e comunità. Non per creare un clima confuso di paura e di diffidenza, ma per identificare con chiarezza i sintomi delle trappole e i metodi degli imbroglioni.

Si dice che quando gli inganni sono proposti in rete è più difficile identificarne gli autori. Questo è vero solo in parte. Anche in altre situazioni gli autori di truffe di varia specie cambiano spesso indirizzo o in vari modi si rendono irreperibili. Con un po’ di pazienza e risorse tecniche ben note è possibile togliere la maschera di false identità e risalire all’origine. Un problema che non esiste solo in rete, ma è più evidente nell’internet, deriva dall’intrinseca internazionalità del sistema. Molto spam viene dagli Stati Uniti. Inoltre ne arriva da ogni parte del mondo – ed è facile per uno “spammatore” italiano fingere di essere in Ruritania, o servirsi davvero di una sede oltre confine per una parte della sua attività. Diversità normative, e insufficiente collaborazione fra nelle indagini fra paesi diversi, sono un evidente ostacolo. Ma questo è un problema che comunque deve essere risolto – anche per attività criminali più gravi di queste. E non deve diventare il pretesto per invasività, repressione, censura o altre violazioni dei diritti civili. È vero che risolvere questi problemi su scala internazionale è complesso. Ma non è impossibile. E saremmo già oggi molto più avanti se i problemi fossero stati capiti e identificati con meno ritardo e se ci fossero meno distorsioni e ambiguità nei modi per affrontarli.


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loghino.gif (1071 byte) 2. La privacy e la favola della “profilazione”



Naturalmente è corretto porsi il problema della privacy – o di quel concetto un po’ diverso che le nostre leggi definiscono “protezione dei dati personali”. È vero che esiste, in alcuni casi, un collegamento fra il diritto alla riservatezza e fenomeni come lo spam – ma il quadro non si chiarisce quando si confondono i due problemi, che si sovrappongono solo in parte.

È palesemente scorretto impadronirsi di “identità” (dati personali) e farne commercio all’insaputa degli interessati, anche quando si tratta di indirizzi pubblicamente disponibili (come quelli che sono apertamente reperibili online o si trovano nelle guide telefoniche). Ma questa scorrettezza esiste anche se non c’è alcuna violazione della privacy o della riservatezza dei dati. I mercanti di indirizzi sono spesso spudorati imbroglioni. Promettono di offrire identità “altamente selezionate” di persone che “hanno accettato” di ricevere un certo genere di informazioni, mentre stanno vendendo masse di mailbox raccolte in modo indiscriminato. Il risultato è che a uno come me arrivano proposte di intrugli per far crescere il seno, offerte di lavoro per dattilografe al primo impiego o di “lauree facili” di università immaginarie. L’incapacità e incompetenza dei mercanti di liste (e di chi le compra) è tale che molte mailbox .it sono inondate di offerte che riguardano esclusivamente persone residenti negli Stati Uniti. Eccetera eccetera...

In un’area online dedicata a questioni tecniche è comparso questo messaggio di una signora che si occupa professionalmente di elettronica.

      Vorrei che il mio indirizzo sia cancellato dalla mailing list.
      Sto ricevendo messaggi pornografici indesiderati
      e poiché non so come il mio indirizzo sia finito in certi giri
      sto avvisando tutte le liste a cui sono iscritta.

Un elenco sommario di esempi potrebbe riempire parecchie pagine. Me se, per un breve momento, ci soffermiamo su questo vediamo come una persona (a parte la sintassi) “tecnicamente competente” possa cadere in un errore banale. È estremamente improbabile che quella lista sia l’origine dello spamming di cui è vittima. E possiamo anche constatare come proposte “pornografiche” (e i più svariati ingombri indesiderati) arrivino in abbondanza anche a chi non si è mai sognato di visitare un sito di quella specie o di partecipare a dialoghi su quell’argomento.

Molti spam contengono affermazioni palesemente false come «ricevi questo messaggio perché hai chiesto...» o «perché sei iscritto a...». Come è noto (ma è meglio ripeterlo) le offerte di “cancellarsi” non funzionano quasi mai, e spesso sono trappole per “catturare” indirizzi (non solo la mailbox di chi risponde non viene cancellata dalla lista, ma la richiesta di unsubscribe è interpretata come “partecipazione attiva”). In questa perversa mescolanza di furbizie e di errori non è facile capire quanto l’autore di uno specifico spam sia vittima o complice di un venditore di liste fasulle.

Quanto alla “profilazione”, cioè alla possibilità di identificare una persona in base alle sue caratteristiche e così fare offerte “mirate”, in teoria è possibile ma in pratica non funziona quasi mai. Ci sono situazioni in cui criteri del genere, per quanto imperfetti e approssimativi, hanno un senso. Per esempio nella scelta dei mezzi pubblicitari, per cercare di ridurre lo spreco di denaro e di risorse. Criteri di analisi elaborati in decenni di esperienza, gestiti con raffinati modelli elettronici, hanno quella grossolana imprecisione che tutti possiamo constatare osservando quanti messaggi, in televisione, sui giornali, eccetera, arrivano a persone che non sono minimamente interessate all’argomento. Quei metodi, nonostante la scarsa selettività dei mezzi di informazione o di svago, hanno una reale utilità nell’orientare, per quanto possibile, gli investimenti – ma sono molto lontani dall’ottenere comunicazione davvero “mirata” e selettiva.

Nel caso dell’internet, il fallimento delle “profilazioni” è clamoroso. Chi ha cercato di farle e di venderle si è trovato a dover confessare di non esserci riuscito. Chi le ha comprate non ha ottenuto alcun risultato. Sono comunque inutili in un sistema interattivo – come avevo spiegato tre anni fa in un articolo: Mettiamo in soffitta la “segmentazione”.

(A questo proposito vedi anche Il commercio delle anime e Hanno venduto la mia anima).

Ma il problema è che in rete si possono mandare quantità enormi di messaggi con un costo molto basso. Una risposta su cento sarebbe un fallimento in altre forme di “comunicazione diretta”. Una su diecimila può essere “economicamente sostenibile” online. Questo è uno dei motivi per cui continua a crescere lo spam. Alcuni stati americani stanno tentando di risolvere il problema multando gli “spammatori”. Farlo bene, efficacemente, e senza creare un pazzesco “contenzioso” in cui lo spam si confonde con attività corrette, è molto difficile. Ma se si trovasse un modo per infliggere adeguate sanzioni economiche ai diffusori di offerte truffaldine (o comunque indesiderabili e fastidiose), e in particolare ai mercanti di liste, questo potrebbe forse essere uno degli strumenti per arginare l’inondazione di spam.

Comunque la premessa per ogni difesa efficace (su questo argomento ritornerò alla fine) è una più chiara e precisa diffusione di conoscenza del fenomeno. L’argomento è molto confuso, e perciò può essere utile qualche chiarimento, come vedremo nei punti che seguono.




Le norme sulla privacy sono spesso usate alla rovescia,
come pretesti e strumenti per impadronirsi di “dati personali”.

Ci sono anche interpretazioni arbitrarie di presunte norme e leggi
usate per giustificare lo spam. Vedi per esempio un articolo
su una “leggenda metropolitana” sfruttata dagli “spammatori”
pubblicato su Punto Informatico il 24 settembre 2002.



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loghino.gif (1071 byte) 3. Opt in e opt out



Sembrano spente le vecchie e insulse disquisizioni sul push o pull, ma rimane un problema rilevante definito da due formule un po’ oscure: opt in e opt out. Se ne discute molto, spesso a vanvera, ma la sostanza è semplice. Perché una persona sia considerata “consenziente” è necessario che abbia esplicitamente dichiarato di voler ricevere un certo genere di informazioni e proposte? Questo è il caso opt in. Oppure è legittimo mandare una proposta non richiesta, dicendo “se non ne vuoi più ricevere basta dirlo e ti cancelleremo dalla lista”? Questa è la soluzione opt out.

In teoria, e in un sistema governato da civiltà e correttezza, le soluzioni opt out non sarebbero da escludere in tutti i casi. Per esempio potrebbe essere “tollerabile” un’offerta mandata a qualcuno che “presumibilmente può essere interessato”, a condizione che sia davvero facile respingerla e non essere mai più importunati. Ma in presenza di ondate ossessive di offerte indiscriminate, e di metodi opt out che non funzionano quasi mai, diventa necessario passare a “tolleranza zero”. Cioè opt in è l’unica soluzione accettabile – e, in più, anche chi ha volontariamente scelto di ricevere qualcosa deve poter cambiare idea e avere la certezza di non essere più importunato. Sembra che sia questa l’impostazione scelta dall’Unione Europea nella sua normativa sullo spam. Il concetto è giusto... il problema è se e come si riuscirà a metterlo in pratica.

Ci sono, fra l’altro, molteplici trucchi online per produrre falsi opt in. Siti che per dare un accesso a qualche contenuto chiedono un’iscrizione – e poi si servono dell’informazione così raccolta per mandare spam o per vendere l’indirizzo che hanno catturato. Siti che, senza neppure avvertire, si impadroniscono degli indirizzi di chi accede. Collegamenti che si aprono con automatismi non richiesti, o addirittura in modo non palesemente visibile al lettore, e trasferiscono la connessione ad altri che quella persona non stava cercando. Messaggi che dicono «il tuo indirizzo ci è stato segnalato da un amico» quando quell’amico non esiste o è stato a sua volta “intrappolato” senza saperlo.Ci sono anche offerte di “assistenza” che non danno alcun servizio, ma sono fabbriche di spam. Inseguire tutti questi trucchi, in tutte le loro varianti, è difficile.

Non sarebbe una soluzione totale e definitiva, ma sarebbe un passo avanti, arrivare alla percezione diffusa del fatto che si tratta di scorrettezze, spesso di truffe, e non di “tecniche di marketing” come affermano molti che propongono e diffondono quel genere di immondizia.

Tutto questo, naturalmente, non succede solo in rete. Basta partecipare a un convegno, una festa, una fiera, un incontro di qualsiasi specie in cui si raccolgono indirizzi e numeri telefonici... per trovarsi poi inondati di telefonate, fax o invii postali sui più disparati argomenti. Con i sistemi che registrano i numeri delle chiamate in arrivo, può bastare una telefonata per qualsiasi motivo (anche un banale errore) per essere infilati in qualche “lista”. La moltiplicazione di queste attività di “pressapochismo commerciale” produce effetti spesso comici. Se per caso accompagnassi mia cugina, che fa la giornalista di moda, a una sfilata di biancheria intima, non vorebbe dire che sono un feticista dedito alla collezione di reggiseni e mutandine.

Qualche giorno fa un organizzatore di convegni, per propormi una manifestazione che non mi interessa, ha avuto un guasto al suo sistema di spedizione e mi ha mandato cento copie dello stesso fax. Per frenare l’inondazione (che tendeva a continuare) ho dovuto disabilitare il fax, vuotare la memoria... c’è voluto tempo e fatica per rimetterlo in funzione (e alcuni fax che mi interessava ricevere sono andati perduti). Anche questo, naturalmente, è un esempio fra mille. Perché agli errori e alle furbizie umane si aggiungono le imperfezioni delle tecnologie.



Post scriptum

A questo proposito, oltre alle vignette in tema di spam riprodotte nel numero 54 di questa rubrica, eccone un’altra della stessa fonte (Illiad) pubblicata il 5 novembre 2002 – che mi sembra non abbia bisogno di commento.


spam


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loghino.gif (1071 byte) 4. Che cosa non è lo spam


Ciò che chiamiamo spam è una mescolanza di cose diverse. Non é facile darne una definizione precisa. Uno dei modi per avvicinarsi alla comprensione di un fenomeno è cercare di definire che cosa non è – oltre a identificarne alcuni aspetti particolari.


Non è un male nuovo

Il problema dello spam è tutt’altro che nuovo. Per chi non lo sapesse... fino trent’anni fa spam era solo il nome di un prodotto alimentare in scatola (che nessuno considera una raffinatezza gastronomica). È la sigla di spiced pork and ham – una specie di “pressatella” di prosciutto e carne di maiale. Nel 1970 una scenetta comica del Monty Python Flying Circus diede a spam il nuovo significato di “cosa noiosa e ripetuta troppo spesso”. E così entrò nel gergo della rete. (Vedi Spam, spam, spam).

Nessuno sa (o ricorda) esattamente quando si cominciarono a definire i princìpi che poi presero il nome di netiquette, ma risalgono alle origini della rete (vedi la cronologia). E fin dall’inizio era chiaramente percepito, e condannato senza equivoci, il fenomeno dello spam. Per esempio nel testo “classico” sulla netiquette del Network Working Group si dice chiaramente che deve essere evitato l’invio di messaggi ripetitivi o indesiderati e che non sono accettabili le “catene”.


Non è solo “commerciale”

L’attuale, crescente ondata di spam è creata in gran parte da attività che è eufemistico chiamare “commerciali”, perché si collocano spesso in un’area oscura che va dalla truffa alla millanteria, dall’inganno alla petulanza. Ma non si capisce il fenomeno se non si tiene in mente che ci sono forme di spam, non meno fastidiose, nate per motivi diversi da quello di “fare soldi”. Ci sono scherzi e burle (talvolta divertenti, più spesso noiose). Ci sono errori di comportamento, come quelli di chi diffonde a mezzo mondo messaggi o “notizie” che interessano forse a due o tre persone. Ci sono esibizionismi, come quelli di chi crede che la mostra di acquerelli di suo zio a Roccannuccia sia un evento culturale da segnalare a mezzo mondo. E ci sono, come vedremo più avanti, affollamenti di pseudo-posta elettronica prodotti da virus. Quando si cerca un rimedio è necessario considerare tutti gli aspetti di un fenomeno vario e complicato, non solo quelli di natura “commerciale”.


“Mittente sconosciuto” non vuol dire spam

Naturalmente è sbagliato definire spam “qualsiasi e-mail da qualcuno che non conosciamo”. Capita abbastanza spesso di ricevere messaggi interessanti e gradevoli da persone che non conoscevamo prima. Perché siamo attivi online e qualcuno legge qualcosa di nostro. O perché ha avuto il nostro indirizzo da qualcuno che ci conosce. Eliminare questa corrispondenza sarebbe un sacrificio indesiderabile. E questo è uno dei tanti motivi per cui lo spam è pernicioso. Come distinguere i messaggi interessanti nella folla degli ingombri indesiderabili?

Vale anche in questo caso, naturalmente, l’antica regola di “non accettare caramelle da uno sconosciuto”. Inoltre lo stile degli “spammatori” è spesso ripetitivo e riconoscibile. Uso di maiuscole, di punti esclamativi, di promesse mirabolanti, di offerte a cui “non si può rinunciare”. Anche dichiarazioni come «questo non è spam» o «ti scrivo perché hai volontariamente...» sono quasi sempre l’impronta dello spamming.

Insomma riconoscere lo spam non è difficile. Basterebbe che le persone fossero avvertite del problema, e informate delle sue caratteristiche, per rendere inefficace il 99,9 per cento dello spamming. Purtroppo il fatto che le persone “non ci caschino” non è sufficiente per sradicare il fenomeno. Ma, d’atro canto, sistemi che eliminassero ogni messaggio di “qualcuno che non conosciamo” potrebbero privarci di molti incontri interessanti.


“Mittente conosciuto” può essere spam

Un’altra complicazione deriva dal fatto che può essere spam un messaggio che ci arriva da un indirizzo conosciuto. Per vari motivi. Perché uno “spammatore” furbastro e bugiardo usa un falso indirizzo. Perché una persona che conosciamo ci inoltra, per errore, uno spam che aveva ricevuto (cosa che accade spesso, per esempio, con i “falsi allarmi” di virus o altri pericoli o con “catene” falsamente umanitarie). Perché qualcuno ha sbagliato indirizzo. Eccetera...

E ci sono di mezzo anche virus “replicanti” come kletz che mandano messaggi con un falso mittente – trasformandoci, a nostra insaputa, in involontari “spammatori”.


Le “catene”

Le cosiddette “catene di Sant’Antonio” esistevano molto prima dell’internet. Ma trovano nella rete uno strumento facile di diffusione. Questo è uno dei problemi che erano stati identificati fin dall’inizio: se ne parlava chiaramente, vent’anni fa, già nei primi abbozzi della netiquette.

La soluzione è semplice e draconiana. Rompere, senza pietà, tutte le catene (comprese quelle che minacciano sciagure oppure offrono mirabolanti guadagni – e le numerose varianti del cosiddetto multi-level marketing). Interrompere anche quelle che sembrano (talvolta sono) “bene intenzionate”. E, se vogliamo diffondere un’informazione o un “appello”, usare forme di comunicazione che non siano e non sembrino “catene”.


Scherzi e burle

Una variante di spamming è fatta di scherzi e burle, prese in giro che hanno intenzioni solo umoristiche. Molte sono innocenti, alcune divertenti. Questa, naturalmente, è una delle forme meno sgradevoli e pericolose. Talvolta, se fatta con gusto, può farci sorridere. Ma anche in questo genere di “posta inaspettata” si possono nascondere trappole.

Un genere noto da molti anni è il cosiddetto hoax, cioè l’annuncio di un virus inesistente. Alcuni sono piacevoli esercizi di umorismo – come l’immaginario virus Trout, un “pesce d’aprile” del 1998. Altri sono più maligni. Perché spargono falsi allarmi (è un fatto constatato che, mentre esistono circa 61.000 virus veri, quasi tutti gli avvisi drammatici di virus circolanti in rete sono hoax). O perché contengono qualche trucco nocivo – come nel classico esempio di SULFNBK.EXE, geniale nella sua cattiveria, che con la minaccia di un virus inesistente induceva le persone a farsi del male. Dello stesso maligno trucco ci sono altre varianti, fra cui little bear (JDBGMGR.EXE).

Ci sono anche furfanti che col pretesto di offrire scherzi o barzellette si impadroniscono di indirizzi di cui poi fanno commercio.

Con gli le burle (se non nascondono qualche trappola) la soluzione è semplice. Se ci accorgiamo di uno scherzo, e se è divertente, facciamoci una risata e buonanotte. Se un problema segnalato non ci è del tutto chiaro, verifichiamo prima di intervenire impulsivamente sul nostro computer o di spargere falsi allarmi. Fra l’altro i hoax, come molti spam, hanno spesso uno stile imitativo e riconoscibile. Quando ne abbiamo visti e identificati un paio, è piuttosto facile riconoscerli a prima vista.

Evitiamo di “inoltrare” messaggi ai nostri amici prima di aver capito bene da dove vengono e se il contenuto è credibile e chiaro. E se qualcuno ci propone di iscriverci a una “lista”, anche con la più amabile e innocente delle apparenze, prima di accettare pensiamoci due o tre volte – e controlliamo attentamente di che cosa si tratti.

Ma accade di trovarsi iscritti “d’ufficio” a liste o comunità che non conosciamo. Questo è uno dei trucchi più sgradevoli dello spamming, anche perché da quelle indesiderabili “partecipazioni” è quasi sempre impossibile dimettersi o cancellarsi.


Non è “pubblicità”

Definire lo spam come “pubblicità” vuol dire commettere due errori.

Uno è mettere “sulla difensiva” chiunque abbia a che fare con la pubblicità. Le imprese che la usano, le persone che ci lavorano, i mezzi di comunicazione e informazione che ne ricavano sostentamento. La conseguenza è una grossa confusione, in cui molti che nulla hanno a che fare con lo spam si sentono in obbligo di assumerne le difese. Mentre farebbero molto meglio a distinguersi con la massima chiarezza da un fenomeno patologico come quello.

L’altro errore sta nel fatto che sono due cose completamente diverse. Si può dire tutto il bene o tutto il male possibile della pubblicità, ma è una cosa totalmente diversa dallo spam. Fra l’altro (salvo casi rari, e facilmente perseguibili, di attività truffaldine) la pubblicità è trasparente ed è chiaro a tutti chi se ne assume la responsabilità. Con lo spam, molto spesso, non è così.


Non è “direct marketing”

Altrettanto sbagliato, e per gli stessi motivi, è confondere lo spam con il “direct marketing”. Anche in questo caso si genera una spontanea, quanto irragionevole, “difesa della categoria”. In cui si mescola l’atteggiamento di chi crede di dover difendere lo spam, mentre farebbe meglio a distinguersi da una pratica che avvelena anche il suo mestiere, con quello di chi ha la coda di paglia perché sta facendo spamming ma non lo vuole ammettere. Purtroppo c’è chi si mette in cattedra per fare lezione di e-mail marketing mentre in realtà predica lo spam cercando di “nobilitarlo” con una definizione diversa.

Comunque, anche in questo caso, è necessario distinguere fra attività del tutto legittime, talvolta gradite, di “comunicazione diretta” e operazioni inaccettabili come lo spam. (Anche nella comunicazione tradizionale la cosiddetta junk mail, o “posta spazzatura”, è il contrario di un efficace ben concepito “direct marketing”). In teoria se ne può dibattere ad infinitum, ma in pratica non è difficile capire che cosa è corretto e che cosa non lo è. L’importante è vedere le cose dal punto di vista di chi riceve informazioni o proposte, non da quello di chi le manda.


Non è “promozione”

Ci sono infinite forme di sales promotion, dai semplici sconti all’offerta di premi e benefici più o meno desiderabili. Può piacere o no, può essere (secondo il caso) più o meno gradita, ma è una forma legittima di attività commerciale – a condizione, naturalmente, che sia chiara, trasparente e corretta. Non ha alcun senso collocare lo spam in questa categoria, come in altre specie di stimolo delle vendite.


Non è “vendita per corrispondenza”

La vendita per catalogo (o altre forme di offerta “per posta”) esiste da almeno un secolo. Con particolare diffusione degli Stati Uniti (mail order) e in vari paesi a bassa densità di popolazione. Dove era già diffusa è stata più facile la transizione alle vendite online (che comunque non hanno sostituito del tutto le tradizionali attività basate sulla posta, sul telefono o sugli incontri personali).

Anche in questo caso, fare confusione conviene solo a “spammatori” e truffatori . Chi svolge legittime e utili attività di vendita per corrispondenza (o online) ha tutto l’interesse a tenersi il più lontano possibile dallo spam.


Non è “servizio ai clienti”

Per quanto incredibile possa sembrare, il fatto è che molte attività definite customer care o CRM (customer relationship management) in realtà sono forme di spam variamente travestito.


Non è “marketing”

E in generale... la parola marketing è largamente usata in modo improprio. Fino a farla diventare quasi un termine osceno. Le persone e le organizzazioni che si occupano professionalmente di queste attività, come le imprese che fanno marketing (cioè tutte le imprese, anche quelle che non ne usano la terminologia) dovrebbero essere in prima linea a combattere contro le distorsioni, di cui lo spam è un vistoso esempio. Invece c’è chi confonde le carte, cercando di giustificare lo spamming con varie terminologie falsamente “nobilitanti”...


Non è economicamente produttivo

È discutibile la tesi, un po’ troppo diffusa, che pecunia non olet. Non sempre è legittimo tutto ciò che produce profitti. Ma anche senza entrare in questioni etiche, o di correttezza e trasparenza dei mercati, il fatto è che lo spam non è economicamente produttivo. Giova ad alcuni imbroglioni (fra cui i venditori di liste). È un danno per tutti gli altri, a cominciare dalle imprese oneste con un’identità riconoscibile. È un po’ triste che il mondo delle imprese abbia cominciato a preoccuparsi dello spam solo quando ne ha subito l’esagerata invadenza. Ma “meglio tardi che mai”. Ora che i grandi interessi economici hanno capito che il problema esiste, speriamo che si rendano conto anche degli altri motivi per cui è dannoso.


Non è solo nell’internet

Ne abbiamo già parlato all’inizio, ma è bene sottolineare che, una volta identificato il problema, vale la pena di tener d’occhio anche gli altri canali in cui si manifesta. Dalla telefonia (fissa e mobile) al fax e a ogni sistema di comunicazione.


Non è “selettivo”

Vedi quanto già detto nel punto 2 a proposito del fatto che lo spamming non è comunicazione “mirata”, anzi è il contrario di qualsiasi attività “selettiva” (commerciale o non).


Non è solo “pornografia”

È vero che fra i più attivi diffusori di spam ci sono i venditori di materiali o servizi “sessuali”. Dal che si può dedurre che non hanno così tanto successo quanto vogliono far credere. Ma il motivo non è solo che cercano di vendere aggressivamente la loro merce. Sono anche, molto spesso, il tramite e lo strumento di una ogni sorta di truffe. E questo è un motivo per starne il più possibile lontani, indipendentemente da ogni valutazione di gusto o di morale.

Potrebbe essere utile dare un’occhiata al modo in cui alcuni “grandi siti” (anche in Italia) ospitano e assecondano queste attività, non solo per il fatto che non tutti le gradiscono, ma anche per gli imbrogli che nascondono.

Non meno grave, d’altra parte, è il modo in cui con il pretesto di “proteggere i minori” si organizzano ogni sorta di repressioni, persecuzioni, censure e “cacce alle streghe”. Vedi La strage degli innocenti e Caramelle ambigue.


Perché è una delle risorse preferite dei truffatori?

Perché gli imbroglioni sono continuamente alla ricerca di nuove vittime, di persone diverse da quelle che ci sono già cascate una volta e quindi stanno un po’ più attente. La diffusione indiscriminata a “chiunque possa capitare” è uno strumento particolarmente adatto ai truffatori. Questo è uno dei motivi per cui a tutti gli altri conviene evitarlo come la peste.

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loghino.gif (1071 byte) 4. Come evitare lo spam


Come si usa dire di altre infezioni, il primo modo per combattere lo spam è conoscerlo. Più persone saranno capaci di riconoscere quel genere di messaggi, più se ne potranno ridurre i danni. Purtroppo non rispondere non è sufficiente per estirpare il male, ma è un primo e fondamentale passo – e un modo per mettersi al riparo dalle truffe e da un’ulteriore proliferazione.

Alcuni interventi delle autorità, come nel caso dell’Unione Europea, per quanto tardivi sono “bene intenzionati”. Purtroppo sarà difficile che riescano a risolvere il problema. Ma almeno contribuiscono a metterlo in evidenza. Se riusciranno a individuare e mettere fuori gioco almeno alcuni dei più insistenti “spammatori” e truffatori di varia specie, sarà un passo avanti. Ma è importante che questo avvenga senza soffocarci tutti di impicci burocratici – o servirsi anche di questo pretesto per generare nuove forme di invasività o censura.

Le tecnologie? Ce ne sono molte che cercano di ostacolare lo spam, altre si stanno sviluppando. Sarebbe lungo e complesso entrare nel merito di ciascuna. Il fatto è che finora non hanno risolto il problema. Sono desiderabili, e sono concretamente possibili, progressi importanti anche in questa direzione. Con particolare attenzione a sistemi “autogestiti” (che permettano a ciascuno di scegliere come vuole i criteri di rifiuto) ed evitando il più possibile i sistemi “proprietari” e “interessati”. Chi dice «vieni da me che ci penso io» quasi sempre sottintende «ti tolgo le invadenze degli altri per somministrarti le mie e quelle di chi mi paga».

Intanto...per molte persone c’è una soluzione semplice. Se la quantità di spamming supera un livello sopportabile, basta cambiare mailbox e informare del nuovo indirizzo solo le persone di cui ci fidiamo. Presto o tardi gli “spammnatori” potranno trovare un modo per scoprire il nostro nuovo indirizzo, ma è probabile che ci mettano mesi o anni. E se lo spam ricomincia basta cambiare di nuovo.

È bene anche, naturalmente, non aprire “allegati” se non sappiamo che cosa contengono (in questo modo si evitano anche molti rischi di virus). Non andare su siti di cui non ci è chiara l’identità. Non seguire link incoerenti o poco chiari. Evitare i siti che ci riempiono di invadenze e depistaggi. Diffidare di tutti gli “automatismi” che non abbiamo scelto volontariamente e di cui non conosciamo esattamente la funzione. Non istallare software se non abbiamo un’idea molto chiara di che cosa fa. Un dettaglio interessante è che quando sui usa un motore di ricerca come Google è spesso più efficace leggere la copia cache che avventurarsi in un sito sconosciuto.

Se queste difese sono possibili e utili per la maggior parte delle persone, sono purtroppo inagibili per chi è inevitabilmente “esposto”: come un’impresa o un’organizzazione che non può cambiare identità o indirizzo, o chiunque abbia un proprio sito online con un’attività continuativa. In questi casi occorre una particolare vigilanza contro ogni genere di spam – e la ricerca di soluzioni tecniche “su misura” che siano davvero in grado di rimuoverlo senza interferire con la normale corrispondenza.






C’è molta documentazione online sul problema dello spam.
Un interesssante dossier si trova su su Punto Informatico
Spaghetti Spam, italiani e piaga globale.




 
Se qualche “spammatore” mi legge, gli consiglio di togliermi
da tutte le sue liste e da quelle dei suoi complici e clienti.
Perché non risponderò mai. E perché se ci sarà qualche strumento
efficace per bloccare la sua attività non esiterò a usarlo.

Se qualcuno mi vuole scrivere per motivi personali e non “generici”
lo faccia come e quando vuole. Ma, per piacere, eviti di mandarmi
“allegati”, messaggi lunghi o comunque cose ingombranti.
Eviti anche di spedirmi “circolari”, “catene”, questionari, immagini,
cartoline, falsi allarmi o altre cose indifferenziate o ripetitive.
O di chiedermi informazioni che si possono trovare facilmente
in questo sito o con un po’ di ricerca online.
Chiedo anche la cortesia di scrivermi solo in “testo normale”
(cioè txt – non html o altri formati “complessi”).
E spero di essere perdonato se non sempre rispondo a tutti
o se non sempre lo posso fare subito.
 

 

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