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letterIl Mercante in Rete
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Si comincia a sentir dire (e anche a leggere sui giornali) che la rete sta
"passando di moda". Se ne parla meno nei salotti e nei bar; alcuni
"intellettuali", che la temevano o ne erano superficialmente affascinati,
scoprono che non è quello che si aspettavano. Molti, che dopo aver letto notizie
mirabolanti sulle scoperte che avrebbero potuto fare con esplorazioni Web hanno
fatto qualche tentativo, si sono arresi davanti alle prime difficoltà e ritornano molto
raramente a cercare qualcosa per cui hanno un indirizzo preciso. Molte imprese, che avevano aperto un sito Web senza chiedersi a che cosa servisse, non sanno come tenerlo in piedi; e sono deluse perché i risultati (che forse qualcuno aveva incautamente promesso) non ci sono. Non è facile interpretare queste tendenze; non so se ci sia davvero un cambiamento di moda. Quando di qualcosa si parla troppo, in modo confuso e prematuro, una temporanea caduta di interesse è inevitabile; ma questo non significa che la "moda" (spesso fatta di divagazioni insulse più che di analisi serie) sia davvero finita. Se fosse vero... sarebbe, secondo me, un'ottima notizia. Immaginiamo che, proprio mentre la moda passa, si diffonda senza rumore un uso pratico della rete. Che nelle imprese, nelle università, nelle organizzazioni di ogni specie sempre più persone abbiano una mailbox; che per il momento non usano, o usano poco, ma pian piano imparano a capire. Che il "passaparola" sviluppi usi specifici, occasioni di incontro, partecipazione a liste e gruppi di discussione. Immaginiamo che tutt'a un tratto, anche per un effetto di "trazione" da paesi più avanzati, imprese e organizzazioni si accorgano finalmente che il fax è uno strumento antiquato ed esageratamente costoso - e si organizzino seriamente per sostituirlo con la posta elettronica. Potremmo assistere a una rivoluzione concreta e silenziosa: meno chiacchiere e più fatti. Probabilmente una crescita reale, consistente e meno effimera, del numero di utenti. La rete non sarebbe più un mito o un mistero, ma uno strumento di uso normale, come il telefono. Presto o tardi, dovrà succedere: la rete dovrà passare dalla fase di "moda" (e stranezza) alla normale quotidianità. Così comincerebbe a passare dall'infanzia all'adolescenza, forse a dare i primi segni di maturità. E assumerebbe un senso preciso anche come strumento di comunicazione e di marketing. Naturalmente questa evoluzione dipende solo in minima parte dalle tecnologie, che ci sono e continuano a progredire (nonostante i molti difetti dei software e l'eterno problema della scarsa compatibilità). L'elemento determinante, come sempre, è il comportamento umano. |
Nei prossimi numeri di questa rubrica cercherò di parlare di che cosa, secondo me,
funziona meglio nella comunicazione in rete. Spero che i lettori mi perdoneranno se comincerò con qualche annotazione "in negativo", cioè con i rischi e gli errori da evitare. Questo è un territorio così nuovo, e in gran parte inesplorato, che ognuno può trovare la sua soluzione, specifica, originale e inaspettata. Anzi questa, quando possibile, è probabilmente la scelta migliore. Ma l'esperienza insegna che, specialmente quando ci si avventura in qualcosa di nuovo, sapere che cosa non fare è la prima e fondamentale esigenza: perché evitando trappole e vicoli ciechi ci si può concentrare meglio sull'esplorazione di ciò che è utile. La prima fase iniziale di attività in rete delle imprese, e organizzazioni di ogni sorta, è stata dettata da una specie di generica "moda"; dal desiderio di un "atto di presenza" non meglio chiarito o motivato. Il risultato è un gran numero di siti Web abbandonati, senza continuità né aggiornamento, o privi di contenuti interessanti; e ha prodotto quel senso di smarrimento, di delusione, di sbornia, di cui parlavo nel primo numero di questa rubrica. È venuto, credo, il momento di uscire da quella fase e operare in modo più serio ed efficace. |
Anche nella pubblicità tradizionale, e in generale nella comunicazione d'impresa,
veniamo da un lungo periodo in cui l'apparenza ha preso un po' troppo spesso il
sopravvento sulla sostanza. Così si sente dire che oggi "il consumatore è più
maturo" e meno influenzabile nelle sue scelte, il che è vero; e che "la
pubblicità non funziona più", il che non è vero, perché quando trasmette
informazioni significative, e propone reali vantaggi, funziona benissimo (ma troppo spesso
non lo fa, affidandosi all'ormai logoro mito dell'immagine - o a quelli che un grande ed
esperto utente di pubblicità chiama "lazzi, frizzi e sghiribizzi"). Nella rete, il problema è ancora più grave. Chi la frequenta ha, in generale, un livello socio-culturale più alto della media; spesso è una persona attiva e impegnata, con poco tempo da perdere. Soprattutto sta investendo tempo ed energia - e perde facilmente la pazienza. La tecnica con cui si costruisce una pagina Web invita a giocare. È così facile (o almeno sembra) inserire immagini, scenari, effetti, a scapito dei contenuti... che la tentazione è quasi irresistibile. Ma funziona? Credo di no. Il primo, e il più ovvio, problema è che tutti gli "effetti" non necessari creano un inutile "carico di banda". Il rallentamento che ne deriva tende a stancare e allontanare il lettore. Nonostante la proclamata crescita delle mitiche "autostrade elettroniche" (e qualche reale miglioramento nelle connessioni) la lentezza rimane, specialmente in Italia - ma se ne lamentano anche negli Stati Uniti, dove hanno una qualità di accesso molto superiore alla nostra. Esistono molti accorgimenti che permettono di ridurre queste difficoltà, come quelli consigliati dalla Bandwidth Conservation Society. Ma non è questo il solo problema. Se ci si affida alla logica delle apparenze, ci si mette in concorrenza con un'infinità di altri siti che fanno la stessa cosa, anche se trattano argomenti completamente diversi; ed è molto difficile, se non impossibile, competere con le risorse e le capacità dei grandi fornitori di spettacolo, la cui presenza in rete è massiccia e crescente. Più si mena il can per l'aia, più si rischia di stancare chi si avventura sul nostro sito; o di distrarlo con cose che poco hanno a che fare con l'argomento su cui vorremmo richiamare la sua attenzione. Guardiamo, per esempio, uno dei siti commerciali di maggior successo: l'enorme libreria di Amazon. Una grande ricchezza di contenuto e una calcolata povertà di forma. Anche così quel sito, che ha un traffico elevato e crescente, spesso è lento; se fosse carico di grafica o altri ingombri sarebbe impraticabile. Credo che presto o tardi gli utenti della rete (e specialmente gli utenti abituali, che sono il pubblico più interessante) impareranno ad applicare un semplice criterio di valutazione: più un sito è affollato di decorazioni ed effetti, meno contenuti ha da offrire. Chi ha successo, e ricchezza di contenuti, va velocemente ai fatti e fa tutto il possibile per evitare ingombri. Si applica alla rete, forse più che a qualsiasi altra cosa, la classica formula dei consulenti e docenti di gestione: KISS (è la sigla di Keep It Simple, Stupid - che grossolanamente si può tradurre "non fare stupidaggini, trova soluzioni semplici"). La semplicità è il bacio più seducente con cui possiamo accogliere i nostri ospiti - ed è anche l'impronta del successo. |
Mi trovo spesso, quando scrivo nella (e sulla) rete, nelle morse di un dubbio. Quanti
lettori sanno benissimo la cosa che sto per dire, e quindi si annoieranno? Quanti invece
no? Questo è il caso di un concetto come spam, ben noto a chi ha "vecchia" pratica della rete ma sconosciuto (come ho avuto modo di constatare) a molte persone che vi operano oggi. Spam (per chi non lo sapesse) è un impasto di carne di maiale e prosciutto in scatola (spicy pork and ham) abbastanza diffuso negli Stati Uniti - anche se quasi nessuno lo considera una raffinatezza gastronomica. Fu oggetto di una famosa scenetta dei Monty Python, che si svolgeva in un ristorante dove tutti i piatti offerti contenevano quell'ingrediente, e la parola spam veniva ripetuta ossessivamente all'infinito. Così spam entrò nel gergo delle reti (quando ancora non si parlava di World Wide Web) per indicare l'eccessiva, ripetitiva e fastidiosa diffusione dello stesso messaggio - specialmente se con intenzioni commerciali o comunque "egoistiche". Ancora oggi c'è chi propone lo spamming come una forma di promozione in rete; ci sono servizi a pagamento che propongono di organizzare la diffusione di un messaggio a un gran numero di indirizzi e-mail. Per quanto ho potuto constatare, non sembra che questa abitudine sia molto diffusa in Italia (anche se sta cominciando a infittirsi); ma negli Stati Uniti è un problema serio, e suscita non poche reazioni e polemiche. Se tutti considerano fastidioso ricevere posta indesiderata (la cosiddetta junk mail), la reazione è ancora più intensa quando si tratta di posta elettronica. Il motivo è abbastanza ovvio. Se qualcuno riceve un catalogo o una lettera di vendita che non gli interessa, la butta via senza neanche aprire la busta o dopo aver dato una rapida occhiata al contenuto. Ma se arriva nella posta elettronica è costretto a leggere il messaggio prima di capire che è indesiderato; il fastidio, la perdita di tempo, l'invasione del suo spazio privato sono irritanti. In un ufficio, la posta può essere "filtrata" da una segretaria. Ma la posta elettronica di solito arriva direttamente al destinatario, perché presume che l'indirizzo della sua mailbox sia noto solo ai suoi corrispondenti abituali. E c'è anche un problema di costo... sono, in realtà, pochi soldi; ma il fatto che qualcuno riceva, a spese sue, corrispondenza non richiesta produce un disagio che va al di là di ogni rigoroso calcolo economico - come quando certi uffici pubblici mandano posta indesiderata con l'affrancatura "a carico del destinatario". Qualcuno, forse, può avere un successo effimero con questo sistema. Ma non mi sembra che sia una strada consigliabile per chi desidera costruire o mantenere un'identità di marca gradevole e affidabile. Ci sono molti modi per fare marketing e pubblicità in rete senza farsi odiare. Il mio meditato consiglio in fatto di spam a chiunque voglia operare con un minimo di credibilità in rete è molto semplice: evitarlo come la peste. Credo che sia ancora più vero nella rete il classico principio del direct marketing (come del marketing in generale): ciò che conta non è vendere una volta, ma acquisire clienti, costruire relazioni, conquistare fiducia. Nessuna di queste cose si ottiene stancando o irritando i nostri interlocutori. |