Numero 43 23 febbraio
2000 |
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1. Editoriale: Il commercio
delle anime |
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In un capolavoro della letteratura russa, Le anime morte
di Nikolai Gogol (1842), si racconta di anime comprate e vendute. Nulla di
mefistofelico; si trattava di proprietà agricole.
Il valore della terra non era determinato dalla sua estensione o dal volume
del raccolto, ma dal numero di contadini che la lavoravano
chiamati "anime". Un personaggio un po' bizzarro,
Pavel Cicikov, fingeva di essere un ricco proprietario terriero registrando
come vive le anime dei defunti. Un po' come accade ancora oggi in certi
brogli elettorali o imbrogli amministrativi e anche
nell'internet. C'è in giro uno strano commercio di
anime, come se le persone che si collegano alla rete fossero
servi della gleba, legati a questo o quel servizio come chi
non ha alcun mezzo per allontanarsi dal campo dove vive e
lavora.
Ci sono casi in cui davvero qualcuno conta le anime
morte. Cioè considera come suoi "utenti"
persone che da molto tempo sono "passate a miglior
vita" non perché sono morte, ma semplicemente
perché non usano più il suo servizio. Ma non
è questo il vero problema.
C'è chi promette di vendere "profili",
cioè di impacchettare e commerciare liste di persone
di cui è riuscito a identificare le caratteristiche.
Questa promessa è raramente mantenuta davvero; ma
anche se lo fosse la qualità della merce offerta
sarebbe molto discutibile. A parte le violazioni della
privacy, di cui tardivamente si stanno occupando le
autorità preposte, un'attività bene impostata in rete
permette di usare metodi molto più efficaci e meno invasivi
della tradizionale e ormai superata segmentazione. Si stanno
cominciando a diffondere concetti come permission marketing o
caring economy, ma
sembra che pratiche antiquate e dispersive
di direct marketing stiano ancora condizionando la
mentalità di molte imprese. E ne approfittano i
mercanti di anime.
C'è chi paga, e non poco, per il tentativo di
"trasferire traffico" dall'uno all'altro sito o
servizio. In questo caso le "anime" di cui si fa
commercio possono essere vere, nel senso che se il compratore
è accorto paga solo per il traffico che si è
effettivamente trasferito. L'operazione è giustificata
più che altro dalla come fretta di arrivare velocemente a
"grandi numeri". Se si tratta di vere alleanze,
cioè di accordi fra servizi che possono avere reali
sinergie, queste intese possono essere sensate ed efficaci.
Ma quando si fa brutale commercio di anime di cui non si
è proprietari la validità della transazione
è discutibile (come quando si fa commercio di voti,
sempre più disgustando gli elettori - ma quella
è un'altra storia). L'esperienza dirà se
qualcuna di queste operazioni produrrà risultati di
reale valore (anche se è improbabile che diventino di
pubblico dominio dati attendibili sul prezzo pagato e sulla
quantità e qualità di "traffico"
effettivamente trasferito). Ma è probabile che sia
l'eccezione più che la regola. Si parla molto di
customer empowerment, di un aumento del potere contrattuale
del cliente, di una nuova economia in cui l'equilibrio si
sposta a favore di chi compra. Non sono chiacchiere: sono
fatti, di cui sarà sempre più necessario tener
conto. Eppure si fa commercio di persone ipotetici clienti
come se fossero carne da macello, galline ovaiole o vacche
da latte.
Non si sa ancora molto sul comportamento delle persone in
rete, ma nulla indica che ci sia una significativa
"fedeltà" a siti o risorse, se non per
esigenze specifiche di informazioni su particolari argomenti
o per l'appartenenza a reali comunità. La guerra dei
portali è così farraginosa, affollata e
disordinata che anche chi volesse affidarsi "anima e
corpo" a un solo servizio (cosa che non è mai la
soluzione più utile ed efficace) non saprebbe quale
scegliere.
Insomma la compravendita di "utenti" o di
"profili" è una soluzione rozza e
grossolana; un'ennesima scappatoia per evitare di impegnarsi
davvero in un approfondimento delle possibilità
offerte dalla rete. Per chi non ha una fretta esasperata di
produrre "numeri" (reali o immaginari) in poche
settimane ci sono altre soluzioni, più efficaci e meno
barbare. Se vogliamo ispirarci all'agricoltura è
meglio non pensare al commercio delle anime, ma a una
più seria coltivazione dell'internet.
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2. Confusopolio (Scott Adams) |
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Molte verità, notava Shakespeare, si dicono per
scherzo. Scott Adams è noto per le "strisce a
fumetti" sull'impiegato Dilbert, talvolta accompagnato
dal suo cane Dogbert, pubblicate su 1900 giornali in mezzo
mondo. Ma ha scritto anche alcuni libri, come The Dilbert
Principle, The Joy of Work, Dogbert's management handbook, in
cui con un misto di ironia e serietà parla di
inefficienza delle imprese.
Nel 1998 ha pubblicato The Dilbert Future Thriving on
Business Stupidity in the 21st Century (edito in Italia da
Garzanti nel 1999) dove fra l'altro immagina un nuovo stile
di marketing e comunicazione, che definisce
"confusopolio".
Sono sempre più deboli, spiega Adams, le
"barriere d'entrata" che impediscono a un
concorrente di sottrarre clienti a un'impresa. Così
gli operatori più affermati creano un
"confusopolio" in cui rendono praticamente
impossibile confrontare prezzi e qualità. Fra le
categorie in cui questo fenomeno si sviluppa più
velocemente ci sono, secondo Adams, i servizi telefonici e i
servizi bancari e finanziari, comprese le assicurazioni.
Ne vediamo un esempio vistoso, specialmente in Italia,
nel caso dei servizi telefonici e dell'internet. Ci sono
state diffuse (quanto inefficaci) proteste contro la
"tariffa urbana a tempo", che rende costosi i
collegamenti alla rete; imperversano le offerte di internet
"gratis" (che gratuito non è, proprio a
causa delle tariffe e delle interconnessioni) eppure si
continuano a proporre soluzioni di accesso ad alcuni servizi
online attraverso la telefonia cellulare, che ovviamente
costa molto di più della tariffa urbana. Sono tante e
così confuse le offerte e promozioni sulle tariffe che
nessuno riesce a orientarsi. Non è meno confusa la
situazione per quanto riguarda le banche, i servizi
finanziari e l'informatica. Si continuano a proporre computer
e software inutilmente complessi e costosi some se fossero l'unico
modo per collegarsi alla rete. Insomma il confusopolio impera.
Quanto durerà?
Nonostante tutto, l'uso dell'internet sta crescendo in
Italia con velocità e dimensioni molto maggiori che
negli anni scorsi. Un po' di confusione è inevitabile;
ma quanto ci metteranno le persone, anche quelle arrivate
recentemente in rete, ad accorgersi di essere prese in giro?
Purtroppo talvolta sembra vincente chi punta sulla
stupidità o sull'ingenuità del prossimo; ma
è una scommessa pericolosa. Come diceva Benjamin
Franklin, si può ingannare tutto il pubblico per un
po' di tempo, o un po' di gente per un periodo lungo; ma non
tutti e sempre.
Il confusopolio informativo che domina i grandi mezzi di
informazione tradizionali (con riflessi preoccupanti in
Italia per la concentrazione delle leve di controllo)
è un alleato naturale del confusopolio d'impresa.
Questo fenomeno può rendere più durevole
l'imperversante stupidario e favorire le deformazioni del
mercato. Ed è questo uno dei motivi per cui sentiamo
suonare le campane a morto sul futuro della nostra economia
nella competizione "globale".
Per nostra fortuna, i confusopoli non sono una
specialità italiana; lo stesso disordine, la stessa
primitiva confusione, la stessa frettolosa rapacità,
regnano anche nel resto del mondo. Ma proprio perché
nella nuova economia siamo gli ultimi arrivati abbiamo
bisogno di svegliarci prima degli altri.
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3. L'esperienza di Amazon (Jeff Bezos) |
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Può sembrare improbabile, ma non è
sorprendente, che una lunga intervista di Donald Sheff con
Jeff Bezos (fondatore e presidente di Amazon) sia uscita nel numero di febbraio 2000 di
Playboy. Fin dalle sue origini quella rivista pubblica
abitualmente testi di buona qualità in cui non si
parla di sesso. Ecco alcune osservazioni, che mi sembrano
interessanti, tratte da quell'intervista.
Bezos racconta che l'idea originaria da cui nacque Amazon
non era basata necessariamente sui libri, ma sul concetto di
vendere qualcosa online che a quei tempi (1995) era ancora
una cosa nuova e poco sperimentata. Bezos spiega che ha
sempre amato i libri, fin da bambino passava molto tempo a
leggere, ma il motivo per cui ha scelto di cominciare con i
libri è un altro.
Ero andato a vedere quali fossero i prodotti più
venduti per corrispondenza e avevo notato che i libri erano
molto in basso nella lista. Perché? Un catalogo di
tutti i libri disponibili avrebbe le dimensioni di 50 guide
telefoniche di New York. Nessuno può stampare e
distribuire un volume come quello dodici volte all'anno. Ma
era diventata disponibile una tecnologia che poteva mettere
quel catalogo in mano ai clienti. La più grande delle
super-librerie fisiche negli Stati Uniti ha 170.000 titoli
(in Italia se ne stampano 50.000 all'anno n.d.t.). Amazon,
già il giorno in cui l'abbiamo aperta, ne aveva un
milione. Oggi abbiamo 18 milioni di "voci" in
catalogo, compresi giochi, elettronica eccetera. La nozione
fondamentale era "spazio infinito sugli scaffali".
Questo ci avrebbe permesso di dare autentico valore ai nostri
clienti.
All'inizio, spiega Bezos, gestivano gli ordini a mano e
facevano personalmente i pacchi. Per poter lavorare in quelle
piccole dimensioni dovevano giocare d'astuzia.
Pensavamo che avremmo venduto un libro al giorno per
molto tempo. Ma i grossisti non accettavano ordini per meno
di dieci libri. Così trovammo un trucco. I loro
sistemi erano programmati in modo che non era necessario
ricevere dieci libri, bastava ordinarne dieci. Scoprimmo un
oscuro libro sui licheni che avevano in catalogo ma non era
disponibile. Ordinavamo una copia del libro che volevamo e
nove copie del libro sui licheni. Ci consegnavano la copia
richiesta con un foglietto che diceva "ci dispiace,
abbiamo esaurito l'altro libro". Forse un giorno ci
arriverà un camion pieno di libri sui licheni.
A proposito di borsa e del valore azionario della sua
impresa, Bezos conferma in questa intervista ciò che
ha detto anche in altre occasioni.
L'andamento in borsa dei titoli internet in generale, e
in particolare di Amazon, è incredibilmente instabile.
Cerco di convincere gli azionisti di non badare alle
oscillazioni di breve periodo. Se il titolo cresce del 30 per
cento in un mese, c'è il rischio di sognare di essere
del 30 per cento più bravi. Questo genere di arroganza
può portare molte imprese alla catastrofe. La
volatilità del mercato funziona in un senso come
nell'altro. Quando il titolo scende del 30 per cento,
rischiamo di sentirci del 30 per cento più stupidi.
Questo non ci fa star bene. Quindi, in generale, è
meglio non pensarci.
L'intervistatore chiede a Bezos se sia realistico
chiedere ai suoi collaboratori di non badare al prezzo in
borsa quando una parte importante del loro compenso è
in opzioni.
È realistico chiederlo. Preferisco che badino al
valore. Le opzioni sono un investimento di lungo periodo.
Specialmente con l'internet, è troppo facile
controllare il prezzo delle azioni ogni minuto ed è
uno spreco totale di tempo. A questo proposito, secondo me
è una disgrazia che tante persone facciano day
trading. Quando il mercato sale, è facile convincersi
di essere furbi. Ma è solo un gioco d'azzardo. A gioco
lungo molte di queste persone perderanno un sacco di
soldi.
A proposito di marche, ecco l'opinione di Jeff Bezos
proprietario della marca più importante nel
"commercio elettronico".
Le imprese che credono di poter contare sulla
fedeltà di marca sono matte. I clienti ci sono fedeli
se non approfittiamo della loro fiducia. Non ci si può
riposare sugli allori. Se diamo qualcosa per scontato diamo
un disservizio ai nostri clienti e non è giusto che ci
siano fedeli. I clienti ci sono fedeli fino all'istante in
cui qualcun altro offre un servizio migliore. Si vive o si
muore in base all'esperienza che il cliente ha di noi. Questo
è il fatto: online l'equilibrio del potere si sposta a
favore del cliente. Il nostro segreto è che non siamo
ossessionati dalla concorrenza. Siamo sempre stati
ossessionati dall'esigenza di servire meglio i nostri
clienti, mentre i nostri concorrenti erano ossessionati da
Amazon.
Sono un "cliente fedele" di Amazon. Mi fa
piacere che ragioni così. Perché se non lo
facesse rischierebbe di perdere me, come gli altri suoi
dodici milioni di clienti.
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4. La barchetta e la motocicletta |
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L'anno scorso, alla fine di agosto, la Fiat aveva
lanciato un'offerta di vendita online per un solo modello di
automobile: la "Barchetta". Quando, all'inizio di
quest'anno, si è saputo che ne aveva vendute quattro
(di cui tre in permuta) molti hanno parlato di
"affondamento della barchetta". Ma Gianni Agnelli
in un'intervista ne ha parlato senza imbarazzo. Roberto Tiby
della Direzione Vendite Mercato Italia ha osservato che
«i test drive sono stati 200» e ha commentato:
«in Fiat siamo molto soddisfatti dell'esperienza
acquisita (il nostro obiettivo) che stiamo trasfondendo in
alcuni progetti (meno sperimentali e più rivolti al
business) che vedranno la luce nei prossimi mesi».
L'affermazione è credibile. Era evidente fin
dall'inizio che si trattava di un esperimento "per
imparare". Sarà interessante vedere che cosa
farà la Fiat dopo questa esperienza.
Diverso è il caso della Ducati, che offre in rete
una motocicletta in "edizione limitata" (la MH900)
e dice di aver esaurito in poche settimane l'intera
produzione del primo anno. Non è facile capire quanto
un esito del genere fosse previsto o quanto la Ducati sia
stata colta di sorpresa; ma in un modo o nell'altro è
un evidente successo. Non si tratta di "vendita
online", perché in rete viene fatta solo la
prenotazione; la distribuzione e l'assistenza tecnica si
svolgono nel canale tradizionale (con consegne previste
"non prima dell'estate"). La Ducati ha dichiarato
che il 38 per cento degli ordini è venuto dal
Giappone, il 30 per cento dal Nord America e altrettanto
dall'Europa; il 2 per cento dall'Italia. È
interessante rilevare che il 98 per cento delle vendite
è all'esportazione; e che tutta l'operazione si
è svolta nell'ambito di una ben identificabile
comunità di appassionati di motociclismo e in
particolare affezionati alla marca Ducati. Alla fine di
gennaio erano state prenotate 1260 unità, per un
valore di 35 miliardi. Un risultato rilevante; tuttavia in
dimensioni che nulla hanno a che fare con "milioni di
utenti" o "mercati di massa".
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5. Numeri nel mondo |
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In febbraio è uscito il nuovo rapporto semestrale dell'Internet Software Consortium con
le statistiche di hostcount su scala monciale aggiornate alla fine dell'anno scorso. Questa tabella riassume l'andamento di crescita dal 1995 al 1999.
|
Numero di host |
% di crescita |
semestrale |
annuale |
Gennaio 1995 * |
5.846.000 |
51,1 |
118,9 |
Luglio 1995 * |
8.200.000 |
40,3 |
106,8 |
Luglio 1996 * |
16.729.000 |
16,6 |
104,0 |
Gennaio 1997 * |
21.819.000 |
30,4 |
52,0 |
Luglio 1997 * |
26.053.000 |
19,4 |
55,7 |
Gennaio 1998 |
29.670.000 |
13,9 |
36,0 |
Luglio 1998 |
36.739.000 |
23,8 |
41,0 |
Gennaio 1999 |
43.230.000 |
17,7 |
45,7 |
Luglio 1999 |
56.218.000 |
30,0 |
53,0 |
Dicembre 1999 |
72.398.000 |
28,8 |
67,5 |
* Il metodo di analisi è cambiato a
partire dal gennaio 1998. I dati per gli anni
1995-1997 sono "ponderati" per adeguare la
vecchia metodologia alla nuova.
Le percentuali del 1995 riferite al 1994 sono basate
sulla "vecchia" serie di dati.
La crescita nel gennaio 1994 rispetto a
un anno prima era del 138 %. |
Con l'aumentare delle quantità, le percentuali di
aumento sono progressivamente diminuite fino al 1997; ma nel
1998-99 sembra essersi innescata una nuova accelerazione.
La tabella che segue analizza i dati per i 37 paesi (su
240) con più di 50.000 host internet.
|
Num. di host dicembre 1999 |
Variazione % |
% su totale |
Per 1000 abitanti |
in sei mesi |
in un anno |
Stati Uniti |
53.167.358 |
+ 29,8 |
+ 74,4 |
73,4 |
187,3 |
Giappone |
2.636.541 |
+ 27,2 |
+ 56,2 |
3,6 | 21,0 |
Gran Bretagna |
1.901.834 |
+ 18,9 |
+ 33,6 |
2,6 | 32,7 |
Germania |
1.702.466 |
+ 19,3 |
+ 29,3 |
2,4 | 20,7 |
Canada |
1.669.664 |
+ 29,0 |
+ 49,2 |
2,4 | 55,8 |
Australia |
1.090.468 |
+ 20,1 |
+ 37,6 |
2,2 | 59,6 |
Olanda |
820.944 |
+ 28,8 |
+ 45,5 |
1,2 | 52,3 |
Francia |
779.879 |
+ 19,3 |
+ 59,8 |
1,1 | 13,3 |
Italia |
658.307 |
+ 67,2 |
+ 94,3 |
0,9 | 11,5 |
Finlandia |
631.248 |
+ 9,4 |
+ 15,6 |
0,9 | 123,8 |
Taiwan |
597.036 |
+ 40,7 |
+ 93,4 |
0,9 | 27,5 |
Svezia |
594.627 |
+ 15,5 |
+ 37,7 |
0,8 | 67,6 |
Brasile |
446.444 |
+ 43,9 |
+ 107,6 |
0,6 | 2,7 |
Spagna |
415.641 |
+ 37,4 |
+ 57,3 |
0,6 | 10,5 |
Messico |
404.873 |
+ 80,6 |
+ 258,8 |
0,6 | 4,3 |
Norvegia |
401.889 |
+ 19,6 |
+ 26,1 |
0,6 | 91,3 |
Danimarca |
336.928 |
+ 17,3 |
+ 20,4 |
0,4 | 64,8 |
Belgio |
320.840 |
+ 17,6 |
+ 93,4 |
0,4 | 31,5 |
Svizzera |
306.073 |
+ 15,8 |
+ 36,4 |
0,4 | 41,9 |
Corea |
283.459 |
+ 9,0 |
+ 52,1 |
0,4 | 6,2 |
Austria |
274.173 |
+ 34,5 |
+ 91,5 |
0,4 | 33,4 |
Nuova Zelanda |
271.003 |
+ 48,9 |
+ 97,5 |
0,4 | 75,3 |
Russia |
236.526 |
+23,6 |
+ 41,8 |
0,3 | 1,6 |
Polonia |
158.099 |
+ 15,8 |
+ 45,6 |
0,2 | 4,7 |
Sudafrica |
167.635 |
+ 19,3 |
+ 16,1 |
0,2 | 3,9 |
Singapore |
148.249 |
+ 42,7 |
+ 121,1 |
0,2 | 43.6 |
Argentina |
142.470 |
+ 39,9 |
+ 114,4 |
0,2 | 3,9 |
Israele |
139.946 |
+ 22,6 |
+ 43,1 |
0,2 | 24,1 |
Hong Kong |
114.882 |
+ 17,0 |
+ 38,7 |
0,2 | 18,5 |
Ungheria |
113.659 |
+ 21,3 |
+ 36,1 |
0,2 | 11,4 |
Repubblica Ceca |
112.748 |
+ 28,2 |
+ 52,8 |
0,2 | 11,1 |
Turchia |
90.929 |
+ 77,3 |
+ 179,8 |
0,1 | 1,4 |
Portogallo |
90.757 |
+ 52,9 |
+ 82,5 |
0,1 | 7,4 |
Grecia |
77.954 |
+ 24,2 |
+ 51,2 |
0,1 | 7,4 |
Cina (escl. HK) |
71.769 |
+ 14,0 |
+ 304,9 |
0,1 | 0,06 |
Irlanda |
59.681 |
+ 2,2 |
+ 8,8 |
0,1 | 16,6 |
Malesia |
59.021 |
+ 10,4 |
+ 23,3 |
0,1 | 2,8 |
Totale |
72.398.092 |
+ 28,8 |
+ 67,5 |
| 3,4 * |
*
L'indice di densità
"mondiale" è calcolato escludendo gli Stati
Uniti. |
Gli Stati Uniti continuano a crescere più velocemente
dell'Europa e del resto del mondo. La posizione dell'Italia
è notevolmente migliorata rispetto al passato, ma
rimane ancora debole rispetto ai paesi più avanzati.
Si conferma una forte crescita in alcuni paesi dell'America
Latina. I dati europei, che vedremo più avanti,
segnalano un cambiamento ancora più forte in Francia.
Sembra esserci uno sviluppo molto superiore al passato in
Cina, ma la densità rispetto alla popolazione rimane
molto bassa.
Vediamo la situazione per "grandi aree
geografiche".
Grandi aree
geografiche
In questo grafico e in quelli che seguono è stato introdotto un correttivo per tener conto dei domain (e di conseguenza host) che hanno una denominazione "americana" ma non hanno sede negli Stati Uniti. Si tratta comunque di differenze relativamente piccole che non modificano la sostanza del quadro.
Non ci sono grandi cambiamenti rispetto al passato. Una grande parte del mondo è ancora isolata dall'internet. Anche all'interno di ciascuna delle zone geografiche ci sono forti concentrazioni. Il 96 % della rete nel Nord America è negli Stati Uniti. Quasi tutta la rete in Oceania è concentrata in due paesi: Australia e Nuova Zelanda. Il 61 % dell'internet dell'Asia è ancora in Giappone, il 90 % dell'Africa in Sudafrica, il 78 % dell'America centro-meridionale in Brasile e Argentina. Solo in Europa nessun paese ha più del 17 % del totale; ma anche nel nostro continente, come vedremo più avanti, rimangono forti squilibri. Due terzi della rete europea sono in cinque paesi.
Nel mondo rimane dominante la posizione degli Stati Uniti, come
è evidente nel grafico che segue (paesi con più di 500.000 host internet).
12 paesi
Se per una lettura più chiara togliamo gli Stati
Uniti dal grafico, questa è la presenza in rete
degli altri 18 paesi con più di 300.000 host
internet.
18 paesi
Ci sono cambiamenti rilevanti rispetto al passato, con la crescita di alcuni paesi europei (fra cui l'Italia) e con una sempre più forte presenza del Brasile e del Messico. Ma quasi metà di tutta la rete al di fuori degli Stati Uniti è ancora concentrata in cinque paesi: Giappone, Gran Bretagna, Germania, Canada e Australia.
Vediamo un aggiornamento del grafico che mostra la densità rispetto alla popolazione nei 31 paesi che hanno più di 100.000 host internet.
Host
internet per 1000 abitanti in 31 paesi
Si conferma il predominio degli Stati Uniti anche come
densità rispetto alla popolazione; dal 1998 hanno
superato anche il "primato" tradizionale della
Finlandia.
Vediamo un aggiornamento della densità nel mondo
sotto forma di carta geografica.
Host internet per 1000 abitanti
Il quadro complessivo non cambia. L'uso della rete rimane
concentrato sulle due sponde dell'Atlantico settentrionale e
in punti isolati del Pacifico, del sud-est asiatico e del
medio oriente. Si nota una presenza (limitata ma crescente)
nell'America latina e nel lembo meridionale dell'Africa. Il
resto del mondo è quasi completamente escluso.
Vediamo ora un aggiornamento del grafico riguardante
l'attività in rete in relazione al reddito.
Host internet in rapporto al reddito (PIL) in 31
paesi
I risultati sono diversi da quelli nelle analisi
precedenti non solo per il cambiamento della situazione in
alcuni paesi ma anche perché si è usato un
indice diverso per la valutazione del reddito. La situazione
dell'Italia continua a migliorare, ma il percorso è
ancora lungo per arrivare a una presenza in rete che
corrisponda al ruolo della nostra economia nel mondo.
Continua a non essere brillante, valutata con questo
parametro, la situazione di grandi paesi come la Germania e
il Giappone.
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6. Numeri in Europa |
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Sono passati due mesi dall'ultima volta che abbiamo
esaminato in questa rubrica i dati europei. Non possono
esserci, in un periodo così breve, cambiamenti
radicali; ma ci sono alcuni segnali interessanti.
Per cominciare, vediamo un aggiornamento del grafico che
confronta l'andamento mondiale di crescita dell'internet con
quello europeo.
Indice di crescita del numero di host internet
gennaio 1995=1000
Dati semestrali (gennaio e luglio di ciascun anno)
Analisi su dati Internet Software Consortium e RIPE
(Réseaux IP Européens)
Dopo un lungo periodo in cui i due andamenti erano
paralleli, si rileva anche nel secondo semestre del 1999 una
crescita più veloce nel "resto del mondo".
Questa differenza è dovuta più al crescente
predominio del Nord America che agli sviluppi in Asia e
nell'America meridionale.
Vediamo ora la solita analisi dei dati di hostcount
europeo, in base ai dati diffusi da RIPE il 21 febbraio 2000.
Ci sono 14 paesi in Europa con più di 200.000 host
internet. Ecco i dati, confrontati con quelli dello stesso
periodo nei due anni precedenti.
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1998 |
1999 |
2000 |
Gran Bretagna |
1.058.247 |
1.467.550 |
1.741.727 |
Germania |
1.140.066 |
1.479.027 |
1.640.343 |
Francia |
385.443 |
623.500 |
1.264.027 |
Olanda |
401.206 |
640.625 |
1.020.960 |
Italia |
282.052 |
413.882 |
733.108 |
Spagna |
201.685 |
308.437 |
539.113 |
Svezia |
360.643 |
417.894 |
524.081 |
Finlandia |
501.211 |
470.887 |
492.513 |
Norvegia |
295.115 |
319.628 |
442.510 |
Danimarca |
172.531 |
301.242 |
354.434 |
Belgio |
111.883 |
216.690 |
339.357 |
Svizzera |
192.183 |
249.630 |
300.249 |
Austria |
110.518 |
172.569 |
262.632 |
Russia |
152.021 |
195.183 |
240.752 |
Totale area |
5.942.491 |
8.200.734 |
10.816.526 |
Continua l'impressionante sviluppo dell'Olanda. In
Francia si conferma il crescente trasferimento del traffico dal minitel
all'internet. Ora ci sono quattro paesi europei con
più di un milione di host. L'Italia è ancora
lontana da quella soglia, anche se probabilmente ha avuto una
crescita superiore a ciò che risulta da questi dati;
vedremo se un maggiore sviluppo sarà percepito dalle
rilevazioni nei prossimi mesi.
Il quadro è più evidente se lo riassumiamo in un grafico.
14 paesi
Più di metà dell'internet in Europa si trova in quattro paesi.
Nella tabella seguente vediamo un'analisi più
dettagliata della situazione in Europa (33 paesi su 100
nell'area RIPE con più di 10.000 host internet).
|
Numero di host 2000 (ponderato) |
Crescita % in un anno |
% su totale area |
host per 1000 abitanti |
Islanda |
33.828 |
+ 34,5 |
0,3 |
123,5 |
Norvegia |
442.510 |
+ 38,4 |
4,1 |
100,6 |
Finlandia |
492.513 |
+ 4,6 |
4,6 |
96,6 |
Danimarca |
354.434 |
+ 17,7 |
3,3 |
68,2 |
Olanda |
1.020.960 |
+ 59,4 |
9,4 |
65,0 |
Svezia |
524.081 |
+ 25,6 |
4,8 |
59,6 |
Svizzera |
300.249 |
+ 20,3 |
2,8 |
41,1 |
Belgio |
339.357 |
+ 56,6 |
3,1 |
33,3 |
Austria |
262-632 |
+ 52,2 |
2,4 |
32,0 |
Gran Bretagna |
1.741.727 |
+ 18,7 |
16,1 |
29,9 |
Irlanda |
100.034 |
+ 68,6 |
0,9 |
27,8 |
Israele |
155.038 |
+32,5 |
0,9 |
26,7 |
Francia |
1.264.027 |
+ 102,7 |
11,7 |
21,6 |
Esrtonia |
30.661 |
+ 24,7 |
0,3 |
20,4 |
Germania |
1.640.343 |
+ 10.9 |
15,2 |
20,0 |
Spagna |
539.113 |
+ 74,8 |
5,0 |
13,6 |
Italia |
733.108 |
+ 77,1 |
6,8 |
12,8 |
Slovenia |
23.559 |
+ 2,6 |
0,2 |
12,3 |
Repubblica Ceca |
124.077 |
+ 40,9 |
1,1 |
12,2 |
Ungheria |
119.642 |
+ 20,5 |
1,1 |
12,0 |
Portogallo |
81.046 |
+ 37,5 |
0,7 |
8,3 |
Grecia |
79.642 |
+ 50,0 |
0,7 |
7,6 |
Lettonia |
18,877 |
+ 25,7 |
0,2 |
7,6 |
Slovacchia |
28,680 |
+ 24,3 |
0,3 |
5,3 |
Polonia |
181,784 |
+ 55,3 |
1,7 |
4,7 |
Lituania |
14,571 |
+ 43,3 |
0,1 |
3,9 |
Croazia |
16,130 |
+ 36,5 |
0,1 |
3,6 |
Bulgaria |
17.199 |
+ 63,2 |
0,2 |
2,1 |
Russia |
240.752 |
+ 63,2 |
2,2 |
1,6 |
Romania |
36,294 |
+ 37,7 |
0,3 |
1,6 |
Turchia |
85.700 |
+ 75,4 |
0,8 |
1,4 |
Ucraina |
28.973 |
+ 36,2 |
0,3 |
0,6 |
Unione Europea |
9.184.403 |
+ 37,3 |
84,9 |
24,6 |
Totale area |
10.818.526 |
+ 31,9 |
|
15,4 |
L'85 per cento dell'internet nell'area Europa
Mediterraneo Medio Oriente (che comprende anche una parte
dell'Africa settentrionale e centrale) è nell'Unione
Europea. Tre quarti del totale sono in dieci paesi su cento:
Gran Bretagna, Germania, Francia, Benelux e Scandinavia.
Quattro paesi mediterranei (Italia, Spagna, Grecia, Turchia)
hanno avuto una crescita veloce nel 1999; ma sono ancora
molto arretrati rispetto all'Europa settentrionale.
Vediamo ora, anche per l'Europa, i soliti grafici,
cominciando con quello della densità, per i 28 paesi (su 100 nell'area RIPE) che hanno più di 20.000 host internet.
Host internet per 1000 abitanti in 28 paesi
nell'area Europa-Mediterraneo
Non si rileva più il tradizionale primato
della Finlandia; l'area scandinava tende ad allinearsi su
livelli molto alti di densità. Continua la crescita
nel Benelux e in particolare dell'Olanda. Fra i
"grandi" paesi europei si accentua il predominio
della Gran Bretagna e sta migliorando notevolmente la
posizione della Francia. I paesi dell'Europa meridionale
stanno crescendo, ma rimangono molto al di sotto della media
dell'Unione Europea.
Vediamo la densità di uso dell'internet in Europa
anche sotto forma di mappa.
Host internet per 1000 abitanti
La situazione è poco cambiata rispetto alle
analisi più recenti (ma è notevolmente diversa
dalla mappa che avevamo visto nell'ottobre 1998). L'Irlanda, che da
qualche tempo sembrava sottostimata nel hostcount, si ritrova
in una posizione vicina a quella della Gran Bretagna.
Vediamo un aggiornamento dell'altro abituale grafico, che
riguarda la diffusione della rete in rapporto al reddito.
Host internet in rapporto al reddito (PIL) in 28
paesi nell'area Europa-Mediterraneo
Anche in questo caso, come per i dati su scala mondiale,
è cambiato (rispetto al passato) il criterio di
misurazione del reddito. Ma ci sono anche evoluzioni reali,
come la crescita sempre più forte dell'Olanda e il
consolidamento della posizione della Gran Bretagna. L'Italia,
nonostante i progressi, rimane ancora arretrata.
E infine... ecco un aggiornamento della posizione
italiana rispetto all'Unione Europea.
% Italia su Unione Europea
L'Italia ha il 15 % dell'attività economica
(prodotto interno lordo) nell'Unione Europea, quasi il 20 %
degli autoveicoli, circa il 23 % dei telefoni cellulari...
l'8 % della rete. La situazione sta gradualmente migliorando.
La percentuale dell'Italia rispetto al totale dell'area
Europa-Mediterraneo era intorno al 2 % negli anni fra il 1990
e il 1992. È salita al 3 % nel 1993-95, al 4 % nel
1996, al 5 % nel 1997-98. Ora è vicina al 7 %. Ma
dovrebbe raddoppiare per essere adeguata al nostro ruolo
nell'economia e negli altri sistemi di comunicazione. La
soluzione non è, come qualcuno sembra pensare, l'uso
dei telefoni cellulari o dei televisori per collegarsi
all'internet né l'installazione di modem o sistemi
satellitari nelle automobili. Occorre non solo un'ulteriore
crescita nell'uso della rete da parte degli italiani ma
soprattutto una più attiva presenza online delle
nostre imprese e organizzazioni, pubbliche e private.
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