timone Il Mercante in Rete
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Marketing e comunicazione nell'internet


Numero 72 – 2 agosto 2004

 

 
Consiglio a chi legge abitualmente il Mercante in Rete
di tener d’occhio la segnalazione delle

novità
per verificare se c’è qualcos’altro
che possa trovare interessante.
 

 


loghino.gif (1071 byte) 1. Dieci anni di pensieri sulla rete


Sono passati più di sette anni e mezzo da quando è cominciata questa rubrica. Più di otto anni da quando, nel giugno 1996, era uscito il primo dei Garbugli della rete (seguiti da Offline all’inizio del 1998 e altre rubriche nel 2000 e 2001). Dieci anni da quando erano usciti, qua là, i primi articoli in cui parlavo della rete – che poi si sono sviluppati in alcuni libri

Per vari motivi... mi sono trovato a rileggere alcuni testi che avevo scritto nel corso di questi anni. E a verificare quali cose che pensavo allora sono confermate dai fatti – e quali, invece, no. L’argomento sarebbe assai poco interessante per i lettori di queste pagine se si trattasse solo di opinioni personali. Ma non sono mai stato così sciocco o presuntuoso da basarmi solo sulla mia capacità di capire.

Le osservazioni che pubblicavo allora, come quelle di oggi, sono basate su una verifica, il più possibile attenta, di fonti interessanti – e sui consigli di persone con cui ho avuto molti stimolanti scambi di opinioni. Ho sempre cercato di tener conto non solo della competenza di chi ha una preparazione tecnica molto superiore alla mia, ma anche dei dubbi e dei pensieri di chi non bada alle tecnologie, ma mi aiuta a capire i valori umani, le situazioni culturali, le evoluzioni dei sistemi di informazione, di comunicazione e di dialogo.

Non ho mai avuto la tentazione di fare previsioni o profezie. Ma ciò che alcuni fa ci insegnava l’andamento dei fatti è stato, in parte, confermato dall’evoluzione successiva – e in parte no.


Sapevamo che la rete stava crescendo, ma che erano sballate le valutazioni di allora sulla sua velocità di sviluppo (la cosiddetta “crescita esponenziale”). I fatti ci hanno dato ragione. L’evoluzione complessiva è più o meno in linea con ciò che potevamo immaginare (cioè molto meno veloce di quanto dicevano i profeti dell’esagerazione, ma tutt’altro che lenta). Ma è stato sorprendente, fra il 2001 e il 2003, constatare una imprevista accelerazione dell’attività online in Italia (vedi dati internazionali ed europei).

Speravamo, allora, che nel corso degli anni le differenze si potessero attenuare e la diffusione della rete potesse estendersi a quelle parti del mondo che ne erano prive. È accaduto, purtroppo, solo in alcune aree – come vedremo più avanti.

Né io, né le persone che più mi hanno aiutato a capire e approfondire, abbiamo mai creduto all’esistenza di una new economy o di una network society come mondo separato. Ma, rileggendo cose di qualche anno fa, mi accorgo che un po’ c’ero cascato anch’io. Non pensavo a una cultura completamente nuova (anzi ero convinto, e lo sono ancora, che molto del “nuovo” ha radici antiche). Ma speravo che ci fosse una più energica evoluzione verso quei modi di pensare, di comunicare e di organizzarsi che i sistemi di networking rendono possibili.

Quelle possibilità ci sono, ora come allora, ma le risorse sono utilizzate in modo molto meno evoluto e approfondito di quanto sarebbe desiderabile. Un’ennesima conferma del fatto che i tempi e i modi dello sviluppo sono determinati dai comportamenti umani, non dalle risorse tecniche. (Vedi Cenni di storia dei sistemi di comunicazione).

Non ho mai creduto alle bizzarre, quanto diffuse, ipotesi di “morte della carta stampata”. Ma mi illudevo che, almeno per alcune opere di consultazione, l’editoria elettronica potesse rivelarsi utile. Così non è stato – anche perché le risorse online, se bene organizzate, sono più efficienti e aggiornate di ciò che si può offrire su un supporto “staticocome un cd (Vedi Croce e delizia: i libri digitali).

Non ci aspettavamo, né io né le persone con cui ragiono su questi temi, una ripetizione di quell’assurdo crackdown che colpì i sistemi telematici italiani nel 1994. Ma sapevamo che episodi del genere, anche se in odo meno clamoroso, sarebbero continuati – e che i tentativi di reprimere o condizionare la rete si sarebbero moltiplicati, con ogni sorta di travestimenti. I fatti, purtroppo, continuano a darci ragione. (Vedi 1994, 2004... “1984” la storia continua).

Speravamo che la corsa forsennata verso la complicazione e la malfunzionante pesantezza delle tecnologie trovasse un limite – e che la tendenza cominciasse a invertirsi (vedi Il pendolo di Ermete e l’arte della leggerezza). Non ho mai ceduto alla tentazione di immaginare quando ciò potesse accadere, ma è malinconico constatare come si continui a correre nella direzione sbagliata. (Vedi  Meno è meglio   Facciamo un passo indietro   Le ambiguità dell’innovazione   La stupidità delle tecnologie).

Eravamo convinti allora, come lo siamo oggi, dell’importanza di usare soluzioni opensource. Il concetto, un po’ per volta, si è diffuso (timidamente) anche nei mezzi generali di informazione – ma l’evoluzione pratica è ancora molto arretrata rispetto a ciò che sarebbe possibile e desiderabile.

Sapevamo anche allora che c’erano problemi, come lo spam e le truffe online. Ma non ci aspettavamo che arrivassero a una diffusione così estesa e ossessiva come quella che ci affligge oggi (vedi Spam e scam).


Insomma – forse abbiamo sognato un po’ sulle “meraviglie del possibile”. I fatti ci hanno dato quasi sempre ragione quando eravamo perplessi o scettici – per esempio sull’inevitabile fallimento delle avventure speculative. (A questo proposito vedi anche I “decennali” del 2004).

Abbiamo sbagliato un po’ di più quando speravamo in un progresso umano, civile e culturale che ovviamente non può nascere dalla rete, né da altre risorse tecniche, ma se ne può servire per fare qualche passo avanti.

Non dobbiamo pentirci di aver creduto in quelle possibilità, né rinunciare alla speranza. Dobbiamo solo capire che il percorso è ancora più complesso e tortuoso di quanto potevamo immaginare.

Il futuro è imprevedibile. Non resta che continuare a seguire l’evoluzione dei fatti, badando a quei segnali meno appariscenti, ma spesso significativi, che sfuggono all’attenzione della “grande informazione” omogeneizzata. Come ho sempre fatto, e cercherò di continuare a fare, in queste pagine.


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loghino.gif (1071 byte) 2. La Cina – e altri problemi


Il 26 luglio 2004 Reporters sans frontières ha diffuso un comunicato sulla repressione dell’internet in Cina. Uno fra tanti su argomenti simili, da parte di questa e altre organizzazioni che si occupano di diritti civili e libertà di pensiero. Escono, in varie occasioni, da molti anni, ma in generale suscitano scarso interesse, specialmente nei mass media. Questa volta, invece, la notizia è stata ripresa (con qualche distorsione) anche da alcuni quotidiani e telegiornali.

Che in Cina, come in molti altri paesi, ci sia una dura repressione della libertà (e in particolare dell’internet) non è certo una “notizia nuova”. Ma in questo caso si tratta del comportamento di due servizi internazionali, basati negli Stati Uniti, che hanno deciso di assecondare le norme repressive cinesi. Nel caso di Yahoo non è un fatto nuovo. Già da parecchi anni ha accettato di censurare il suo servizio, bloccando l’accesso dalla Cina ad argomenti sgraditi al regime.

La notizia sta nel fatto che, a quanto pare, anche Google ha deciso di “adeguarsi”. Nel giugno 2004 Google ha comprato una quota in Baidu, un motore di ricerca cinese, che (come tutti gli altri del suo genere) impedisce l’accesso ad argomenti “vietati”. Pare che in luglio, cedendo a pressioni del governo cinese, Google abbia deciso di mettere un analogo blocco anche nel suo search engine. Cioè ci sono materiali accessibili con Google se ci si collega da altri paesi, ma non reperibili per chi accede dalla Cina.

Sono in corso da parecchi anni attività di imprese “occidentali” che aiutano le autorità cinesi nella repressione. Per esempio Reporters sans frontières riferisce che Cisco Systems ha fornito alla Cina migliaia di router destinati al spiare l’uso dell’internet da parte dei suoi cittadini.

Le scelte “accomodanti” di molte imprese od organizzazioni internazionali, cui ora si aggiunge Google, in pratica non cambiano le cose. Perché se avessero rifiutato la censura la Cina avrebbe bloccato l’accesso ai loro servizi. Ma ovviamente acconsentire è diverso dal “subire violenza”. Non solo c’è una grave violazione di princìpi, ma si apre la porta a un’infinità di altri possibili compromessi.


Il problema della Cina è il più grande e vistoso, ma è tutt’altro che un caso isolato. Il Global Internet Freedom Act, approvato dal parlamento americano nel luglio 2003, ha l’obiettivo di combattere la censura imposta da regimi repressivi come Cina, Birmania, Cuba, Siria e Arabia Saudita. Ma l’elenco dei governi che reprimono la libertà di informazione in generale, e l’internet in particolare, è molto più lungo. Comprende paesi di popolazione numerosa come l’Iran e il Vietnam, ma anche molti di dimensioni minori, ma non per questo meno importanti. (Vedi il rapporto di RSF The Internet Under Surveillance sulla situazione in 60 paesi).

Il quadro è molto complicato, anche perché ci sono paesi a bassa densità (cioè con una scarsa attività online rispetto alla popolazione) per motivi di repressione e censura, altri in cui il macato sviluppo ha cause diverse – mentre ci sono situazioni (per esempio nel sud-est asiatico) dove l’attività online è quantitativamente elevata, ma la libertà di opinione e di informazione è fortemente repressa.


È curioso che una, fra tante notizie su questo preoccupante argomento, abbia avuto un’eco di stampa molto più esteso delle altre. Sembra che il motivo sia l’attenzione verso Google in vista di un’annunciata quotazione in borsa. C’è qualcosa di bizzarro, e probabilmente perverso, in questa connessione. Gli intricati e ambigui rapporti fra finanza e repressione, censura e terrorismo, compromessi e manipolazioni, potrebbero meritare un approfondimento.

Dobbiamo temere che Google, travolto dalla sete di guadagno, si lasci trascinare in quei troppi compromessi che avevano portato alla catastrofe i suoi concorrenti? Speriamo di no. Ma se ci fossero altri sintomi di deformazione dovemmo essere pronti ad abbandonare Google (come abbiamo fatto con i motori di ricerca che l’avevano preceduto) per cercare risorse più libere e affidabili.


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loghino.gif (1071 byte) 3. I grandi paesi a bassa densità


Sono passati cinque anni da quando, nel numero 31 di questa rubrica, avevo aggiornato un’analisi, cominciata due anni prima, riguardante i “grandi paesi a bassa densità”. Non l’avevo poi “rivisitata” perché il quadro generale risultava evidente dall’analisi complessiva dei dati internazionali – e perché su “piccoli numeri” la significatività dei dati è incerta e i cambiamenti (quando ci sono) non danno, in tempi brevi, segnali rilevanti. Ma può essere interessante, a distanza di tempo, vedere come si è evoluta la situazione.

È arbitrario, oggi come allora, definire “grandi paesi” quelli con più di 50 milioni di abitanti. Ed è evidente che i problemi non sono meno gravi (o le soluzioni meno interessanti) quando riguardano una moltitudine di paesi più “piccoli”. Ma si tratta di usare alcuni esempi per constatare quanto siano forti le differenze.

Vediamo in una tabella come è cambiata la situazione dal 1998 al 2003 per i 18 paesi considerati in questa analisi. (I primi quattro non sono più definibili “a bassa densità”, ma sono compresi per un confronto con cinque anni fa).


  Numero di
host 2003
Crescita x
in 5 anni
Per 1000
abitanti
Brasile 3.163.349 x 14,7 18,6
Messico 1.333.406 x 11,8 13,7
Russia 800.277 x 4,8 5,5
Turchia 359.500 x 11,1 5,7
Cina * 160.241 x 9,3 0,12
Ucraina 130.596 x 8,3 2,6
Tailandia 103.700 x 5,0 1,7
India 86.871 x 6,6 0,09
Indonesia 62.035 x 4,0 1,0
Filippine 27.996 x 3,0 0.4
Egitto 22.452 x 10,7 0,3
Pakistan 15.124 x 4,9 0,1
Nigeria 1.172 x 2,9 0,01
Iran 496 x 2,0 0,008
Vietnam 340 x 10,0 0,004
Congo 153 n.a.   0,003
Etiopia 9 n.a.   n.a.  
Bangladesh 2 n.a.   n.a.  

* Cina esclusa Hong Kong  (vedi area cinese)

Come risulta dai dati internazionali il numero di host
nel mondo è aumentato di 5,4 volte dal 1998 al 2003.
La desnità media si avvicina a 15 per mille abitanti.
In sette di questi paesi la crescita è superiore
alla media, in sei è più lenta e in cinque i numeri
sono troppo piccoli per essere confrontabili.


In molti paesi c’è stato un forte aumento, rispetto al passato, ma solo due (Brasile e Messico) hanno raggiunto un livello che li porta molto lontano dalla “bassa densità” (nella “sezione dati” c’è un documento sulle grandi comunità linguistiche in cui è analizzato lo sviluppo dell’internet nell’America Latina).

Altri due, la Russia e la Turchia, sono ancora al di sotto della media mondiale, ma in una situazione molto più evoluta rispetto alle aree più arretrate (vedi i dati europei e internazionali).

In altri casi, invece, c’è una scarsa evoluzione. O, anche se “in proporzione” ci sono cambiamenti di qualche rilievo, le quantità rimangono molto piccoile.

Nei grafici che seguono sono considerati i 12, fra quei 18 paesi, che cinque anni fa avevano più di mille host internet e oggi ne hanno più di ventimila.

Non è possibile raggrupparli tutti in un grafico, perché le differenze sono così grandi che lo renderebbero illeggibile. Vediamo, per cominciare, quattro paesi con densità più alta degli altri – fra 5 e 20 host per mille abitanti.


Quattro paesi
(migliaia di host internet)

4 paesi
La parte rossa delle barre rappresenta la crescita in cinque anni (dal 1998 al 2003)

C’è una forte crescita. La più veloce è quella del Brasile, che oggi è fra i primi otto paesi del mondo per attività nell’internet. Il Messico ha superato la Russia (e anche alcuni paesi tradizionalmente forti nell’uso della rete – vedi dati internazionali).

È evidente che, in alcuni casi, la numerosità della popolazione “presto o tardi” si fa sentire. Così come l’Italia, nel corso degli anni, ha superato (in “cifra assoluta” ma non in densità) il tradizionale predominio della Scandinavia, era prevedibile che il Brasile superasse l’Australia (e, se continuerà con questa andatura, probabilmente sorpasserà anche il Canada).

Ma in altre parti del mondo ci sono situazioni molto diverse. Il secondo grafico riguarda i tre “grandi paesi” con densità fra 1 e 3 host per 1000 abitanti. Uno europeo e due asiatici.

Tre paesi
(migliaia di host internet)

3 paesi
La parte rossa delle barre rappresenta la crescita in cinque anni (dal 1998 al 2003)

Le velocità di crescita sono diverse. Tutte relativamente elevate in percentuale, ma con livelli ancora molto modesti rispetto alla popolazione.

Infine, nel terzo grafico, vediamo cinque paesi con densità “bassissime” – fra 0,09 e 0,5 host per mille abitanti. Quattro in Asia e uno in Africa.

Cinque paesi
(migliaia di host internet)

5 paesi
La parte rossa delle barre rappresenta la crescita in cinque anni (dal 1998 al 2003)
Il dato della Cina non comprende Hong Kong

La crescita più forte, in percentuale, è quella dell’Egitto – seguito da Cina e India. I fattori che limitano lo sviluppo della rete nei due più grandi paesi del mondo sono molto diversi. (Nel documento sulle comunità linguistiche c’è anche un’analisi dell’attività online in diversi paesi di cultura cinese – e alla fine c’è una mappa geografica della situazione in Asia).

Mentre in Cina, come abbiamo visto, c’è una forte repressione, il problema dell’India è di altra natura (non si tratta solo di povertà, ma anche di difficoltà organizzative e burocratiche che frenano il notevole potenziale di espansione dell’internet in India). La situazione, ovviamente, è molto complessa, ma rimane sconcertante che un paese con un miliardo di abitanti, con più persone che sano l’inglese di quante ne abbiano le isole britanniche (e con una rilevante presenza di livelli culturali elevati e di notevole competenza tecnica) abbia meno host internet di quanti ne ha l’Islanda, con meno di 300.000 abitanti. L’intero “subcontinente” indiano supera di poco i 100.000 host.


Negli altri sei “grandi paesi” l’arretratezza è ancora più grave. In Nigeria il numero di host internet è cresciuto da 419 nel 1998 a 1172 nel 2003, ma la densità rimane estremamente bassa (0,01 per mille della popolazione). In gran parte dell’Africa la situazione non è migliore, ma (come vedremo poco più avanti) la Nigeria, con più di 100 milioni di abitanti, ha un’attività online inferiore a quella di paesi africani molto più piccoli.

In Vietnam il numero di host è cresciuto, in cinque anni, da 34 a 340, in Iran da 244 a 496. Non solo si tratta di numeri che sarebbero molto piccoli anche in paesi con una popolazione assai inferiore, ma in quei due paesi (come in parecchi altri) c’è una forte censura e repressione di tutti i sistemi di informazione, compresa la rete.

La situazione del Congo è particolarmente arretrata, ma è ancora peggio quella dell’Etiopia, dove l’internet è quasi inesistente – dal 1998 al 2003 il numero di host appare diminuito da 78 a 9.

In Bangladesh cinque anni fa non si riusciva a rilevare alcuna attività online – e ora pare che si trovino solo due host internet.


Questi, naturalmente, sono solo alcuni esempi della grande varietà e diversità di situazioni nel mondo. In un quadro complessivo di vigoroso sviluppo dell’internet, ci sono paesi che stanno crescendo molto più velocemente della media, mentre altri rallentano – o rimangono imprigionati in condizioni di arretratezza e isolamento (vedi dati internazionali).


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loghino.gif (1071 byte) 4. L’internet in Africa


In dieci anni di ragionamenti e verifiche sullo sviluppo della rete non ho mai pubblicato un’analisi della situazione nei paesi africani. Ho tentato varie volte di ricavare qualche segnale dai dati dispopnibili, ma poi ho rinunciato, perché (all’infuori del Sudafrica) i numeri sono così piccoli che la significatività è molto scarsa. Ancora oggi queste informazioni devono essere valutate con prudenza, perché i dati sono probabilmente imprecisi. Ma forse si può tentare qualche approfondimento.

Due fatti sono chiari. Uno è che quasi tutta l’Africa, insieme a una larga parte dell’Asia, rimane fortemente arretrata. L’altro è che, come rilevato nell’analisi dei dati internazionali, otto decimi dell’attività online di tutto il continente si trovano in un solo paese: il Sudafrica (che ha il 5 % della popolazione).

In questa tabella vediamo la situazione nei 13 paesi africani con più di un milione di abitanti e più di mille host internet.

  Numero di
host 2003
Crescita %
in due anni
Per 1000
abitanti
Sudafrica 288.633 + 21 6,7
Egitto 22.452 + 284 0,34
Kenya 8.325 + 277 0,28
Marocco 6.517 + 378 0,26
Tanzania 5.534 + 272 0,16
Zimbabwe 4.501 + 29 0,43
Mozambico 3.249 n.a.   0,18
Namibia 3.164 n.a.   2,09
Botswana 1.920 + 51 1,14
Zambia 1.880 + 72 0,20
Ruanda 1.495 + 32 0,20
Swaziland 1.495 + 23 1,36
Nigeria 1.172 + 24 0,01

Come risulta dai dati internazionali la crescita
su scala mondiale è del 58 % negli ultimi due anni
e la densità media è vicina a 15 host per 1000 abitanti


In una situazione generale di scarsissima densità vediamo che ci sono differenze rilevanti. L’Egitto, anche se ancora molto lontano dal Sudafrica, sembra consolidare una presenza online nettamente superiore a quella degli altri paesi africani. Nell’Africa settentrionale c’è una crescita percentualmente forte anche in Marocco, mentre negli altri paesi l’attività online rimane a livelli estremamente bassi. La Libia, in rapporto alla popolazione, è paragonabile alla Nigeria. La Tunisia non è in una situazione molto migliore. L’Algeria è notevolmente più arretrata.

Nell’Africa sub-sahariana sembra esserci qualche segnale di crescita in alcuni paesi, come il Kenya e la Tanzania, e c’è una densità relativamente elevata (rispetto al basso livello del continente) in alcuni piccoli paesi come la Namibia.

Nel prossimo grafico vediamo la densità (host per mille abitanti) negli stessi paesi (escluso il Sudafrica).


Host internet per 1000 abitanti
in 12 paesi africani

12 paesi


Questo grafico non è da prendere troppo sul serio perché, come già osservato, l’attendibilità dei dati è incerta. E questi sono solo alcuni esempi fra le molte e complesse situazioni che si trovano nel continente. Ma un fatto è evidente: anche in aree di scarso sviluppo, come l’Africa, ci sono notevoli differenze fra i diversi paesi.

Può non essere matematicamente esatto che la Namibia, con un milione e mezzo di abitanti, abbia quasi il triplo dei host internet rispetto a un paese otto volte più grande, come la Nigeria. O che in Egitto l’attività online sia quasi quadruplicata in due anni, e cresciuta ancora di più in Marocco, mentre altri paesi, anche sulle coste del Mediterraneo, rimangono molto più arretrati. Ma è palesemente vero che anche in Africa, come in tutto il mondo, ci sono forti disparità.

Nell’analisi dei “grandi paesi a bassa densità” abbiamo visto la scarsissima presenza dell’internet nel Congo e le condizioni disastrose dell’Etiopia. Non è migliore la situazione in Somalia e in Eritrea. In Sudan e nello Zaire non risulta rilevata alcuna attività online. Ci sono molti paesi africani con una densità inferiore a quella della Nigeria – come Uganda, Camerun, Ciad, Burundi... e parecchi altri.

Vediamo la situazione anche sotto forma di carta geografica.


Host internet per 1000 abitanti

Africa

Due “punti” blu comparirebbero al largo delle coste africane
se in questa carta fossero comprese le Maritius e le Seychelles,
che hanno più di tre host internet per 1000 abitanti.
La densità nelle isole São Tomé e Principe
è simile a quella del Sudafrica. Ma naturalmente
su numeri molto piccoli la sifnificatività è incerta.
 

Rispetto alle altre mappe che si trovano alla fine di tre documenti nella sezione dati (mondo, Europa e Asia) questa usa una scala diversa, con valori molto più bassi.

Come si nota anche in altre parti del mondo, ci sono alcuni effetti di “contiguità” – per esempio nel caso di paesi confinanti con il Sudafrica. Ma le aree di (relativo) svilippo riguardano solo una parte limitata del continente.

Insomma in alcuni paesi c’è qualche sintomo di crescita, ma la situazione dell’Africa rimane molto arretrata.

 

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