Finalmente la verità comincia a venire a galla.
Per esempio Jurgen Hubbert, il responsabile della Mercedes
nel gruppo Daimler-Chrysler, ha ammesso pubblicamente che
lindustria automobilistica ha molte difficoltà con le
applicazioni elettroniche. E che quando unimpresa, come la
sua, cerca di essere innovativa incontra problemi ancora peggiori.
Tanto è vero che si sta parlando di costituire un consorzio
di case automobilistiche per razionalizzare i sistemi e condurre
insieme sperimentazioni più affidabili.
Chissà perché nessuno ci ha pensato prima.
Che il problema ci sia è cosa nota da parecchi anni.
Ma si è continuato ad ammucchiare elettronica nelle
automobili, come in tante altre cose, senza verificare con
sufficiente attenzione che cosa funziona e che cosa no e
quante applicazioni creano più problemi di quanti ne
sperassero di risolvere.
Le tecnologie di base dellautomobile sono le stesse da
centanni. Si è parlato di turbine, di pistoni rotanti
e di altri possibili sistemi, ma il propulsore è ancora
lantico motore a scoppio o lo storico e robusto diesel. (Vedi
La congestione tecnologica).
Ci sono applicazioni verificate e funzionanti con altre risorse
energetiche, ma si continua sciaguratamente a bruciare petrolio.
(Vedi Lidrogeno e linternet).
Ci sono soluzioni migliori delloriginaria trazione posteriore
(che era come mettere il carro davanti ai buoi) ma si tratta sempre degli
stessi veicoli a quattro ruote e i pneumatici esistono dal 1888.
Quelle vecchie tecnologie sono state progressivamente
raffinate e perfezionate. Guidare è diventato
più facile. Le macchine sono più affidabili e
sicure. Anche lelettronica funziona ragionevolmente
bene in applicazioni specifiche e seriamente sperimentate, come il
controllo dellaccensione o dei sistemi frenanti. Insomma
(anche se tutti, qualche volta, sbagliano) lindustria sa come fare
fin che rimane nel suo terreno di competenza e di esperienza.
La progettazione su computer permette di ottenere
avanzamenti importanti. Ma nessuna casa seria si sogna di
mettere una nuova macchina sul mercato senza averla
estesamente provata su strada. Nonostante questo può
accadere che un veicolo si rovesci per un abbinamento
sbagliato del suo sistema di trazione con un pneumatico
inadatto. Ma sono casi relativamente rari.
Il problema nasce quando, nella corsa concorrenziale
verso una non sempre desiderabile ricchezza di accessori, si
accumulano su unautomobile tecnologie dellinformazione che
non sono progettate dagli ingegneri della fabbrica, ma da
fornitori esterni che hanno uninguaribile tendenza a
promettere miracoli e a proporre soluzioni avanzate
senza badare a quanto siano utili, verificate o funzionali.
Dopo unimprudente corsa in avanti le case
automobilistiche (come molte altre imprese industriali) hanno
capito che è meglio fare un
passo indietro e riscoprire i valori
dellergonomia.
Un vecchio ritornello dice «se le automobili
funzionassero come i computer andrebbero a mille allora e
farebbero cinquecento chilometri con un litro». Ma
è spesso trascurata la seconda parte: «...ed
esploderebbero cinque volte al giorno». Purtroppo
non si tratta solo di una battuta ironica. Ci sono stati molti
incidenti, di cui alcuni mortali, provocati da unincauta
applicazione dellelettronica in unautomobile.
Naturalmente è possibile fare automobili che vanno
a cinquecento chilometri allora. Ma sarebbe demenziale
metterle sul mercato, perché non ci sono strade
percorribili a quella velocità e solo piloti molto
specializzati sarebbero in grado di guidarle.
Nelle applicazioni industriali si tende a procedere con obiettivi
di efficienza e quando gli automatismi di una macchina
utensile sono eccessivi o vanno fuori controllo ci si accorge
che è meglio tornare a sistemi più collaudati.
Ma quando si tratta di tecnologie dellinformazione e
della comunicazione limpresa non si trova più sul
terreno delle sue competenze e rischia di smarrirsi nella
complessità delle risorse disponibili.
È verificato e documentato che linstallazione e
luso di tecnologie di cui non si è precisata con
sufficiente chiarezza la funzione e che non sono al
servizio di un ben definito processo non solo provocano
enormi sprechi di denaro, ma sono dannose allorganizzazione
e alla qualità del lavoro. (Vedi Il
paradosso della tecnologia).
Naturalmente è possibile fare computer e reti
affidabili. Nella maggior parte dei casi i sistemi di guida
degli aeroplani, gli impianti elettronici di chirurgia, come
altri che mettono direttamente in gioco la vita delle
persone, hanno buoni livelli di efficienza (e adeguati backup
nel caso di un guasto imprevisto). Ma ci sono grandi sistemi
che funzionano male. Come per esempio, notoriamente, i
servizi elettronici delle banche male impostati parecchi
anni fa e oggi così intricati da essere quasi irrimediabili.
Per quanto assurdo possa sembrare, anche in forme molto
avanzate di tecnologia (come le esplorazioni spaziali) ci
sono fallimenti dovuti a errori, talvolta banali, che
sarebbero stati evitabili con una progettazione più
attenta e funzionale.
Una bomba intelligente è una macchina
estremamente stupida. Usa i suoi raffinati sistemi di
navigazione per andare in un certo posto e poi attiva un
certo congegno. Non ha alcuna nozione del fatto che
così distruggerà se stessa e molte cose
lì intorno compreso un numero imprecisato di vite
umane. Dipende da chi lha progettata, e ancora di più
da chi la usa, fare in modo che ottenga il massimo risultato
possibile con il minimo possibile di danni collaterali.
Nelluso quotidiano e diffuso dellelettronica i problemi
sono molto meno drammatici, ma creano continuamente ogni sorta
di pasticci. Cè una strana assuefazione, come se
il cattivo funzionamento dei computer fosse inevitabile.
Un robot industriale funziona meglio di un essere umano
quando deve svolgere con ripetitiva precisione un compito
molto specifico. Ma quando si tratta di gestire procedure
complesse le macchine diventano molto meno affidabili.
Ormai quasi nessuno, che non sia del tutto incompetente
in materia, usa espressioni come cervello
elettronico. Ma sembra ancora un po troppo diffusa la
percezione che si possa delegare alle macchine il compito di pensare.
Limportante è capire che le
tecnologie sono stupide. O almeno non aspettarci che siano
capaci, per chissà quale ispirazione esoterica, di funzionare
bene per conto loro.
Il motivo per cui tante tecnologie funzionano male, e tendono
a diventare ancora peggio, non è (come spesso sembra)
il frutto di una volontà perversa delle macchine o degli
astrusi codici che le gestiscono. È la
stupidità umana
di chi le progetta e di chi le applica. Resa ancora più
perversa dalla diffusa tendenza a trattare da stupido chi le usa,
inducendolo allobbedienza cieca e passiva invece di
incoraggiarlo a capire come può adattare macchine e
software alle sue esigenze.
Una tecnologia funziona bene quando è concepita,
con la massima possibile semplicità, per svolgere un
compito preciso.
Anche una macchina che serve per fare varie cose diverse,
come un personal computer, funzionerebbe
molto meglio se ognuna delle funzioni fosse separata, con
condivisione di risorse solo quando è indispensabile
o davvero utile e vantaggioso. E se a ognuno fosse consentito
di installare solo ciò che davvero gli serve. (Vedi
Come ridurre il computer
allobbedienza).
Le tecnologie di base dellinternet trentanni fa,
e quindici anni fa del sistema world wide web, sono
nate solide, affidabili, aperte, trasparenti ed efficienti. Lo
sono ancora oggi. Ma su quelle fondamenta robuste si sono
costruite smisurate cattedrali di cartapesta, fragili e
intricate, che soffrono degli stessi malanni di cui è
infetto il più diffuso sistema operativo dei personal
computer, con tutte le sue farraginose applicazioni.
Per demolire quella proliferazione di inutili ingombri,
di fastidiose complicazioni e di inaccettabili inefficienze
non cè bisogno di un bulldozer o di un diserbante.
Basta unenergica dose di buon senso applicato. E un severo
rigore nel mettere le macchine al servizio delle esigenze umane.
La lunga notte dellelettronica, come lha
definita un titolo insolitamente azzeccato su Repubblica del 14 aprile
2004, è durata troppi anni. Siamo finalmente arrivati al risveglio?
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