1994, 2004... “1984”
la storia continua

Un articolo su InterLex di Giancarlo Livraghigian@gandalf.it

12 maggio 2004



L’onda anomala che precipitò sulle reti telematiche in Italia nel maggio 1994 ebbe un’eco nel mondo di cui ci dobbiamo ancora vergognare. Ma da quell’assurda vicenda non si è tratta, a distanza di dieci anni, una sufficiente lezione. Continuano a ripetersi, con imperdonabile assiduità, ogni sorta di persecuzioni e di “demonizzazioni” della rete.

Dieci anni fa (verso la metà del 1994) c’erano tre milioni di host internet nel mondo, 700.000 in Europa, 20.000 in Italia. Una parte rilevante dell’attività in rete si basava su un altro sistema – quello dei BBS. Nel mondo c’erano alcune decine di migliaia di bulletin board system, in Italia duemila (che, per l’epoca, non erano pochi). L’internet c’era da 25 anni, ma da poco l’opinione diffusa e i grandi mezzi di informazione si erano vagamente accorti della sua esistenza. Il sistema web, che aveva mosso i primi passi nel 1989, stava appena cominciando a diffondersi.

Oggi ci sono 233 milioni di host internet nel mondo, 33 milioni in Europa, cinque milioni in Italia. (Per un’analisi dell’evoluzione, nazionale e internazionale, vedi la sezione dati).

Nessuno è in grado di calcolare in modo preciso quante fossero le persone online in Italia nel 1994, ma sappiamo che erano poche decine di migliaia. Oggi sono, secondo i diversi criteri con cui se ne può stimare il numero, fra 9 e 13 milioni.

Dieci anni fa la Finlandia aveva una presenza in rete molto superiore a quella italiana. Per densità rispetto alla popolazione i paesi scandinavi sono tuttora molto più avanti di noi. Ma “in cifra assoluta” oggi l’Italia è fra i primi dieci, se non fra i primi cinque, paesi del mondo per attività nell’internet.

Insomma... sembra che sia tutto cambiato, che gli eventi di dieci anni fa siano antiche storie di pionieri, senza alcun riflesso o continuità nella situazione di oggi. Invece c’è un chiaro filo di connessione – in due sensi contrapposti. Nei valori sostanziali della rete, che rimangono vivi e vitali nonostante le molteplici incrostazioni che tendono a nasconderne la vera identità. Ma anche nei pregiudizi e nelle persecuzioni.

Dieci anni fa Bruce Sterling, che nel 1992 aveva pubblicato Hacker Crackdown, descrisse così la situazione in Italia.

Nel maggio 1994 la polizia ha sferrato un attacco contro i BBS italiani con uno spiegamento di forze che era almeno il doppio di quelle impiegate nella “Operation Sundevil” negli Stati Uniti – probabilmente cinque volte più grande. Questa è la più massiccia operazione di sequestri di servizi telematici nella storia mondiale. La polizia italiana non è stata la prima a organizzare un attacco su larga scala contro i servizi di rete, ma lo ha fatto con più energia e violenza di chiunque altro al mondo.

L’attacco americano del 1990, di cui Bruce Sterling nel suo libro aveva spiegato l’assurda imbecillità, era diretto contro cosiddetti hacker e presunti terroristi. Invece il crackdown italiano del 1994 ebbe origine da un’indagine relativa a software non registrato richiesta dalla Microsoft e dalla BSA (Business Software Alliance) che andò perfino oltre le intenzioni dei suoi primi istigatori.

Lascio a chi è più esperto di me in materia di legge (vedi i link alla fine) il compito di spiegare com’era nata e come si era svolta quell’assurda operazione. In sostanza – un’indagine iniziata da un procuratore di Pesaro fu ripresa in varie località da altri magistrati, tecnicamente ignoranti, in preda a un eccesso di zelo e sedotti dalla speranza di mettersi in luce occupandosi di qualcosa di nuovo che potesse “fare notizia”. Scatenarono una “caccia alle streghe” su scala nazionale coinvolgendo (e spaventando) un gran numero di persone innocenti. E rendendoci ridicoli agli occhi del mondo, oltre che sospetti di repressione e censura.

Sembrava che la rete in Italia avesse ricevuto un colpo mortale. Molti BBS, che non avevano mai fatto commercio di software né commesso alcuna scorrettezza, chiusero terrorizzati. Ma altri, non colpiti dall’uragano o sopravvissuti senza eccessivi danni, continuarono la loro attività. Alla fine del 1994 cominciarono a essere più largamente disponibili gli accessi all’internet. Insomma sembra che sia acqua passata. Ma la storia continua.

Nel 1994, qualche mese più tardi, nacque ALCEI. Molti allora pensarono che l’associazione fosse stata costituita in seguito al crackdown. Ma non è così. Si stava già lavorando, prima del maggio 1994, sul progetto che poi prese forma come ALCEI.

L’associazione, fin dalle sue origini, fu concepita con una visione “di lungo periodo”. Per non limitarsi a reazioni estemporanee su questo o quell’episodio, ma sviluppare una sorveglianza e un’attività costante. Le assurde vicende del maggio 1994 possono aver contribuito a “tenere a battesimo” la nascitura associazione, ma non ne sono l’origine, né la causa.

ALCEI era allora, e rimane oggi, l’unica associazione italiana dedicata con metodo e continuità alla libertà e alla cultura della rete. Con dieci anni di attività, è fra le più “storiche” del suo genere nel mondo. Soffre cronicamente della ristrettezza delle sue risorse, ma non è mai scesa a compromessi, non ha mai derogato dai suoi princìpi, e continua a svolgere un’attività tutt’altro che irrilevante – e spesso più incisiva di quanto può sembrare.

Di sorveglianza e di attenzione c’è più che mai bisogno, perché varie forme di persecuzione dell’internet erano cominciate anche prima del 1994 – e continuano ancora oggi. C’è un filo riconoscibile di continuità fra l’assurda ondata di sequestri di dieci anni fa e varie vicende recenti, dai decreti governativi alle ricorrenti demonizzazioni e criminalizzazioni – che continuano a imperversare anche quando sono ipocritamente travestite da benevolenza o incoraggiamento delle “nuove tecnologie”.

Non è solo un problema italiano la continua diffusione di notizie sballate sull’internet (vedi Bufale, piagnistei e demonizzazioni). Un esempio fra tanti, proprio in questi giorni... l’ennesimo insensato fracasso su un virus. Esistono circa 90 mila virus. Il primo worm “replicante” fu identificato nel 1988 – e da allora hanno continuato a moltiplicarsi.

Quello che nel maggio 2004 è “salito all’onore delle cronache” non è diverso da tanti altri, né particolarmente nocivo. Ma, come era accaduto altre volte in passato, è stato improvvisamente e insensatamente scelto come esempio catastrofico. Importanti giornali e telegiornali ne hanno parlato (con un’incredibile mescolanza di incompetenza e di superficialità) come se fosse chissà quale insolito cataclisma. E naturalmente hanno trascurato di rilevare quanto fossero inadeguate le difese – nonché il fatto che quel virus circola solo grazie ai difetti dei sistemi Microsoft (guarda un po’... lo stesso monopolista del software che aveva scatenato il crackdown del 1994... e questa è tutt’altro che una coincidenza).

L’assurda impostazione della legge italiana, che tratta l’uso di software non registrato come se fosse un crimine da perseguire secondo il codice penale, è uno dei pilastri su cui si basano, oggi come dieci anni fa, ogni sorta di persecuzioni e di abusi. L’insensata abitudine di sequestrare computer e accessori (vedi Pericolo: sequestratori in agguato e Sequestri di computer: gli abusi continuano) è stata un po’ ridotta dal buon senso di alcuni magistrati e di una parte delle forze dell’ordine. Ma è tutt’altro che scomparsa.

Il fatto che molti siano assolti dimostra quanto siano insensate le procedure, ma non risolve il problema. Un lungo percorso giudiziario, accompagnato dalla privazione di risorse essenziali di vita e di lavoro, può procurare gravi sofferenze ai cittadini senza alcun giustificato o accettabile motivo.

Questo barbaro modo di agire non si è concluso con l’assurda vicenda del maggio 1994. È continuato e continua, spesso incoraggiato da campagne di disinformazione e da perversi provvedimenti legislativi. (La continuità e l’interconnessione di questo genere di abusi sono spiegate nel comunicato ALCEI del 24 gennaio 2004 Ambiguità e pericoli della prevenzione).

Ma c’è dell’altro – e di peggio. Contrariamente all’opinione diffusa, che ha sempre descritto la rete come un giocattolo per ragazzini maniaci, erano pochi gli adolescenti online nel 1994 – e anche quando, qualche anno più tardi, si sono scatenate con sconsiderata violenza le “crociate” contro l’internet. Non c’erano bambini in rete (anche oggi non sono molti). Ma con il pretesto di “proteggere i minori” si è fatto di tutto.

Non è il caso si ripetere qui cose già dette tante volte (vedi per esempio  Storia della crociata infameAlice nel paese delle ipocrisieDagli all’untoreIl coro dei bugiardi alla seconda crociataDalla parte dell’InquisitoreLa strage degli innocenti  e recentemente  Perseverare diabolicum).  Ma due fatti sono chiari.

Il primo è che le sconsiderate aggressioni contro la rete hanno colpito gravemente molti innocenti, hanno perseguitato oltre ogni limite di civiltà e buon senso alcuni che innocenti non erano, ma erano colpevoli solo di “malsana” curiosità – e non hanno ottenuto alcun risultato nell’individuare i veri criminali e metterli in condizione di non nuocere.

Ci sono fatti gravissimi, come l’assassinio (dieci anni dopo) di una signora che aveva avuto il coraggio di denunciare i violentatori di bambini e le loro connessioni con la criminalità organizzata. O i molti casi di abusi fra le mura domestiche, di cui pochi scoperti e denunciati. Contro quell’orrenda criminalità gli interventi sono scarsi e inadeguati. Mentre si disperdono risorse (e clamore) nell’inutile e perversa persecuzione della rete.

L’altro problema è che si tenta continuamente di instaurare, con il pretesto di “proteggere i minori”, sistemi di filtri e di censura. Che per quel “finto scopo” sono inefficaci, se non nocivi – mentre sono, fin troppo palesemente, tentativi di assoggettare la rete alla volontà di ristretti e repressivi interessi politici o commerciali.

Può sembrare banale, ma se è vero che c’è una perversa continuità fra il 1994 e il 2004 è difficile non pensare a un’altra data – anche se immaginaria. Come sappiamo, “1984” di George Orwell non era un libro di profezie, ma una descrizione di ciò che accadeva nel 1948. Avevamo sperato, nei “veri” anni ’80, che fosse finalmente arrivata la stagione della libertà e dell’informazione aperta a tutti. Ma le cronache di ogni giorno ci confermano che non siamo in quell’era della ragione che avevano immaginato, più di duecento anni fa, gli illuministi – né in quella liberazione dall’oscurantismo che ingenuamente celebrava, cent’anni fa, il Ballo Excelsior.

Nel 1996 in una nota intitolata Cassandra (che aveva avuto anche diffusione internazionale) spiegavo le ragioni per cui è meglio stare in guardia, perché sono molte le forze ostili che hanno voglia di reprimere la rete – comprese le oligarchie politiche, economiche, culturali e dei sistemi di comunicazione.

I fatti confermano ogni giorno che la situazione non è cambiata. Anzi tende a peggiorare, anche per effetto di varie strumentalizzazioni che non servono a combattere il terrorismo, ma ne fanno un pretesto per ridurre i nostri spazi di libertà. I rischi di repressione e censura non sono diminuiti, anzi continuano ad aumentare.






Su questo argomento vedi anche:

L’indignazione di allora, l’indignazione di oggi
di Manlio Cammarata

Quando sequestrarono i tappetini dei mouse
di Daniele Coliva

La lezione dell’Italian Crackdown
di Andrea Monti

Bavaglini e bavagli (sei anni dopo)

I “decennali” del 2004

La sindrome cinese

Scandali e sequestri




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