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timone Il Mercante in Rete
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Marketing nei new media e nelle tecnologie elettroniche


di Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it

 

Numero 23 - 10 agosto 1998

  1. Editoriale: Sopravvivere o vincere?
  2. Il nuovo stile del "trionfalismo"
  3. Numeri e leggende
  4. A proposito di profezie
  5. Piccole luci in fatto di tecnologia
  6. Le donne in rete
  7. Nuovi utenti un po' confusi
  8. L'Italia dà segni di crescita

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loghino.gif (1071 byte) 1. Editoriale: Sopravvivere o vincere?
Nella serie interminabile di convegni e dibattiti sulle nuove tecnologie, e in particolare sulla rete, corrono spesso affermazioni un po’ crudeli e preoccupanti, come il concetto di killer di cui si parlava un mese fa.

Per esempio, si parla di "sopravvivenza". Un’impresa, si dice, non potrà sopravvivere se non si "adegua" alle nuove tecnologie. Nella sostanza, l’affermazione non è priva si senso; e oltre alle imprese riguarda qualsiasi organizzazione umana, dalla scuola alla pubblica amministrazione e all’intero "sistema paese". Ma il modo in cui la si esprime, secondo me, è sbagliato e pericoloso. Per due motivi.

Il primo è che "adeguarsi" significa quasi sempre subire passivamente, spesso in modo ansioso e traumatico, l’urto sgradevole di tecnologie e metodologie "imposte" e mal capite. Il disagio che ne deriva può fare più danni di quanto bene ci si aspettava dall’amara medicina; il processo è spesso esageratamente costoso sia per l’uso di tecnologie mal scelte e peggio applicate, sia per il malessere delle persone e di tutta l’organizzazione.

Il secondo (ma non secondario) è che il concetto di "sopravvivenza" è sostanzialmente negativo; le scelte nascono dalla paura, dalla passività, dal sentimento sgradevole e deprimente di essere "sorpassati", inadeguati, incapaci di competere in un territorio estraneo, inesplorato e difficile.

Credo che l’approccio alle tecnologie (e alla comunicazione in rete, che è un sistema di relazioni umane di cui le tecniche sono solo strumenti) sia più efficace (e meno snervante) se affrontato in una prospettiva completamente diversa.

Come vincere con i nuovi strumenti? Come conquistare un più forte vantaggio competitivo? Come migliorare le proprie risorse e valorizzare la propria diversità?

Non è solo un problema di atteggiamento. È anche una questione di metodo. Un’impostazione difensiva porta a soluzioni imitate, timide e deboli. Una strategia dinamica si basa sulla valorizzazione dei punti di forza, sul potenziamento di qualità e servizio, sulle caratteristiche che distinguono l’impresa dalle altre (e in particolare dai concorrenti).

Insomma, secondo me, la "sopravvivenza" non è un obiettivo. Tutti gli strumenti possono (e devono) essere usati per migliorare, non soltanto difendere, la posizione di un’impresa sul mercato. Un’impostazione aggressiva e ambiziosa non è più difficile, né sostanzialmente più complessa, di un "adeguamento" difensivo; ed è molto più efficace.

Il problema è che occorre un impegno attivo di tutta l’impresa. Un aggiornamento tecnico può essere delegato a una o poche funzioni aziendali; può essere in parte basato sulle offerte standardizzate proposte dai fornitori di hardware, software o servizi. L’uso attivo delle nuove possibilità di organizzazione, servizio e comunicazione rese possibili dalle tecnologie richiede il coinvolgimento di tutt’altra natura. Forte volontà strategica; collaborazione armoniosa di funzioni e competenze diverse; tempo e attenzione da parte di tutti, cominciando dai "vertici" dell’organizzazione. Ma l’innovazione non è un accessorio – e credo che meriti questo livello di impegno.

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loghino.gif (1071 byte) 2. Il nuovo stile del "trionfalismo"
Da qualche tempo gli apologeti del "commercio elettronico" hanno cambiato stile. Sembrano essersi accorti (con qualche anno di ritardo) che finora non c’è stato alcun "decollo" e che c’è qualche sostanziale differenza fra la situazione italiana e quella degli Stati Uniti. Probabilmente la recente chiusura della Postalmarket in Italia ha portato anche gli osservatori più superficiali a capire che nel nostro paese (per molti motivi, di cui il più ovvio e rilevante è la densità di popolazione) non c’è una lunga e consolidata storia di vendite per corrispondenza. L’attività delle imprese in rete (compreso il "commercio elettronico") può svilupparsi anche da noi, ma deve partire da premesse diverse.

Ma sembra che al trionfalismo non vogliano rinunciare; e così si dedicano alle profezie. È vero, ammettono, che in Italia finora il fenomeno è irrilevante; ma, dicono, il "decollo" è vicino. Entro la fine del 1998 la vendita di prodotti e servizi in rete avrà assunto anche da noi dimensioni gigantesche. Entro pochi anni saremo agli stessi livelli degli Stati Uniti (dove nel frattempo il mercato sarà decuplicato). Su che cosa siano basate queste profezie nessuno dice – e probabilmente nessuno sa.

Si avvereranno queste profezie? Credo che sia impossibile saperlo. Ma credo che sia pericoloso aspettarsi che succeda spontaneamente qualcosa di straordinario.

Sono, come sempre, convinto che ci siano possibilità reali di successo con un uso intelligente e funzionale della rete. Il numero delle persone che usano l’internet (per quanto contraddittorie e poco credibili siano le statistiche diffuse) è cresciuto molto rispetto a due o tre anni fa. Proposte di reale valore potrebbero raggiungere un "mercato" anche più ampio del numero totale di "utenti" internet.

Ma non credo che il "trionfalismo" sia la strada giusta. La assordanti fanfare di chi promette miracoli possono ancora una volta indurre in errore, far credere che immensi e redditizi mercati  siano raggiungibili con istantanea facilità, con pochi soldi e scarso impegno.

In articoli pubblicati da vari giornali si dice che negli Stati Uniti ci sono 400.000 imprese che vendono prodotti e servizi in rete, in Italia 400. Non so quali siano le fonti di questi numeri, ma sembrano credibili. Per esempio una ricerca presentata a Piacenza il 6 luglio 1998, realizzata da Efeso per la regione Emilia-Romagna e per il Fondo Sociale Europeo, aveva inizialmente l’obiettivo di studiare l’attività in rete delle imprese su scala regionale ma ha portato alla constatazione che per poter rilevare "qualcosa" occorreva estenderla su una scala geografica più ampia. In questo studio sono state identificate 117 "piccole e medie imprese" nell’Italia centro-settentrionale che offrono prodotti o servizi su siti web. Di queste 37 sono risultate irreperibili; solo 35 hanno aderito alla ricerca e 21 hanno risposto a un questionario. La maggior parte delle imprese ha dimostrato uno scarso interesse per la presenza in rete e rileva uno scarsissimo contributo dell’internet alla propria attività. Ricerche analoghe, svolte da altre organizzazioni nel 1997, hanno dato risultati paragonabili sia per dimensioni, sia per qualità. Insomma il quadro è desolante; il problema non è solo che le presenze sono poche, ma anche che l’impegno è molto scarso. Credo che quest’anno il numero delle imprese che "hanno un sito web" stia aumentando; ma non sarà facile capire quanti siano gli "atti di presenza" non sostenuti da una strategia chiara e da un impegno sistematico – e quante invece le iniziative davvero capaci di contribuire a uno sviluppo non solo del "commercio elettronico" ma di un più ampio quadro di attività e servizio delle imprese in rete.

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3. Numeri e leggende
Fra qualche tempo riprenderemo, in questa rubrica, il tema dei dati, delle statistiche e in generale delle analisi sullo sviluppo della rete. Perché ci saranno nuove informazioni e spero che rivelino qualcosa di interessante. Ma intanto vorrei parlare brevemente del significato dei dati e delle notizie – e del meccanismo per cui informazioni prive di basi attendibili vengono ripetute senza verificarle.

Il problema è antico. Fin dai tempi, ormai, lontani, in cui studiavo all’università ho avuto modo di controllare il fenomeno della ripetizione di informazioni sbagliate (ben noto agli studiosi di storia e agli analisti dei sistemi di conoscenza, compresi quelli che si definiscono "scientifici"). Spesso accade che un’affermazione, fatta da un autore considerato attendibile, sia ripetuta da altri (talvolta per secoli) senza mai controllare o risalire alla "fonte". Un esempio fra mille... non solo Ettore Petrolini, ma anche storici considerati "seri" ripetono da quasi duemila anni che Nerone bruciò Roma. Nel 1562 Gerolamo Cardano fece un’analisi critica delle fonti e arrivò alla molto plausibile deduzione che non fu Nerone a far appiccare il fuoco. Non è storicamente dimostrato, né molto credibile, che l’imperatore (meno perverso di come lo descrissero Tacito e Svetonio) fosse responsabile dell’incendio, né di persecuzioni contro i cristiani. Eppure ancora oggi si continua a ripetere quella calunnia come se fosse vera.

Un esempio recente: pochi giorni fa uscì con grande evidenza sui giornali la "notizia" che il luglio 1998 era "il più caldo degli ultimi 600 anni". Contemporaneamente in altri articoli si dicevano cose molto diverse (per esempio che un luglio più caldo di questo c’era stato dieci o quindici anni fa). Ma la notizia più "pittoresca" fu la più diffusa; e quasi nessuno si fermò a chiedersi come potesse esserci una verifica continua, attendibile e coerente delle temperature dal 1398 ai nostri giorni (la scala dei gradi "centigradi" fu definita da Celsius nel 1742; la scala Fahrenheit pochi anni prima; la scala Kelvin nell’Ottocento; i termometri di oggi sono molto diversi da qualsiasi strumento che potesse essere un uso alla fine del quattordicesimo secolo).

Vogliamo parlare specificamente dell’internet? Ecco un ennesimo esempio. Mentre la maggior parte degli osservatori pensa che l’uso dell’internet negli Stati Uniti rimarrà per parecchi anni più alto che nel resto del mondo, c’è chi è di opinione diversa. Secondo alcune fonti americane, gli utenti internet sarebbero 28 milioni negli Stati Uniti (non 50 o più come dicono altri) e 23 milioni nel resto del mondo, con una crescita annua del 70 per cento (rispetto al 43 negli USA); di conseguenza il numero di utenti fuori dagli Stati Uniti dovrebbe superare la metà del totale intorno all’anno 2000 – e il totale mondiale sarebbe circa 50 milioni di persone, non 100 o più come dicono quasi tutte le altre analisi. È difficile capire se questi calcoli siano più attendibili di altri, ma ciò che ancora una volta si conferma è che le valutazioni e le statistiche (non solo in Italia) sono contraddittorie e confuse.

Finché di queste cose si chiacchiera, il danno è trascurabile. Ma quando si tratta di investire risorse e definire strategie d’impresa è molto pericoloso affidarsi ai "si dice", anche se ripetuti da fonti considerate "autorevoli". Sarebbe inaffidabile un sistema antincendio basato sul criterio di tenere a bada Nerone o chi altro vuole ricostruire un palazzo "più bello e più splendente che pria". Sono altrettanto inaffidabili strategie nell’uso della rete basate sull’ipotesi che basti aprire un sito web per avere una folla di clienti o che (come sentiamo ripetere un po’ troppo spesso) fra poco il "commercio elettronico" soppianterà tutte le forme di vendita tradizionali.

Per fortuna non c’è alcun bisogno di seguire questa strada; i criteri che possono determinare (e misurare) il successo in rete hanno poco o nulla a che fare con le statistiche sul numero totale di "utenti" e con qualsiasi dato, proiezione o previsione sull’andamento "generale" del mercato. La rete permette investimenti graduali e sperimentazione continua. Ognuno può provare e verificare concretamente se, come e quando la rete possa essere utile per la sua specifica attività; e valutare continuamente se e come si sta avvicinando ai suoi obiettivi. Credo che in tutte le cose, ma specialmente in un territorio nuovo e mutevole come questo, l’esperienza pratica abbia molto più valore di qualsiasi teoria generale (specialmente se basata su ipotesi e proiezioni poco attendibili).

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4.  A proposito di profezie
Oltre alle proiezioni miracolistiche sullo sviluppo del "commercio elettronico", continua la serie delle "profezie" su tutto ciò che riguarda la rete – e in generale le tecnologie di comunicazione.

Potrei riempire dieci numeri di questa rubrica con esempi di profezie che non si sono mai avverate – e di fatti accaduti che nessuno aveva previsto. Non meno estesa potrebbe essere la serie di citazioni di studiosi che hanno dimostrato come sia difficile fare previsioni su qualsiasi cosa, ma specialmente sull’economia e sulla società. Mi limiterò a due esempi molto vistosi. Non era difficile capire che la situazione nell’Unione Sovietica avrebbe subito un cambiamento profondo, ma chi sarebbe stato disposto a scommettere, dieci anni fa, che Leningrado avrebbe ripreso l’antico nome di San Pietroburgo? Era abbastanza ovvio che c’erano forti tensioni sociali ed economiche in tutta l’Asia, e in particolare nelle economie "miracolose" del sud-est asiatico; ma il crollo delle "tigri" ha colto tutti di sorpresa (a cominciare dalla comunità finanziaria). Eccetera, eccetera...

Per quanto riguarda le tecnologie... sembra che il famoso millennium bug sia più pericoloso di quanto si pensasse e che siano molti i sistemi che potrebbero andare in crisi. Eppure si tratta di una delle poche cose che erano certamente e facilmente prevedibili (con precisione matematica – e da più di 400 anni). Se mi azzardassi in profezie (cosa che preferisco non fare) direi che fra non molto potrebbe esserci un improvviso aumento di richiesta di buoni tecnici EDP, da parte di imprese e organizzazioni che a sedici mesi dalla scadenza non hanno ancora capito di avere un problema o non hanno ancora capito come affrontarlo.

Spero di non annoiare chi legge con una breve digressione "filosofica". È possibile fare profezie? Credo di si. Non parlo di indovini e veggenti, aruspici e cartomanti. Ma un’intuizione può cogliere i nessi nella realtà per fare una "previsione" che poi si avvera. In realtà non si tratta di una "profezia" ma di una migliore comprensione della realtà. Cioè il fatto "in nuce" è già avvenuto, ma l’opinione generale e diffusa ancora non se n’è accorta. Per esempio la meteorologia (come insegnano i migliori docenti della materia) è una scienza che non ha il compito di prevedere i fenomeni atmosferici ma di interpretarli e capirli dopo che sono avvenuti. Quando un meteorologo di dice che fra alcune ore probabilmente pioverà a Roma o che probabilmente ci sarà burrasca forza 7 sul Tirreno centrale sta osservando l’andamento di movimenti già in atto da tempo e quindi facendo (in modo più raffinato e complesso) la stessa "profezia" che potrebbe fare ognuno di noi dicendo che un treno in corsa su un tratto rettilineo a 100 chilometri all’ora fra un minuto sarà 1667 metri più avanti. Il che non è "certo", ma è molto probabile.

Ci sono due problemi. Uno è che (se non si tratta di situazioni note, omogenee e facilmente prevedibili) queste sintesi intuitive sono rare. L’altro è che non è facile capire chi ha colto davvero un "nesso invisibile" e chi invece sta vaneggiando o traendo conclusioni sbagliate da un’analisi imperfetta.

Ma credo che sia utile farci un’altra domanda. È importante fare previsioni? Molto meno, secondo me, di quanto possa sembrare. La vita è piena di imprevisti. È più utile saper reagire bene all’imprevisto che illudersi di poter prevedere. Un brillante professore israeliano, di cui purtroppo non ricordo il nome, in un convegno a Milano sette o otto anni fa fece un’osservazione molto interessante. Le scelte delle imprese sono fatte quasi sempre in base allo "scenario più probabile". In un sistema complesso, il caso "più probabile" può avere una probabilità del 30 o 40 per cento. Se ne deduce che abbiamo il 60 o 70 per cento di probabilità di trovarci un uno degli "scenari improbabili" – anzi di più, perché sono possibili evoluzioni che nessuno "scenario" ha previsto. Qual è la soluzione? Concettualmente, è semplice (in pratica un po’ meno). Basta impostare le proprie strategie non su uno schema fisso ma sulla base del "what if?" cioè della capacità di reagire a con efficacia a situazioni "improbabili" o impreviste. Cosa che viene insegnata nelle scuole militari, ma trascurata dove si insegna quella "guerra" incruenta che è la competizione d’impresa. Tutto questo ci riporta alla teoria della complessità e del caos, di cui si parlava in questa rubrica dieci mesi fa.

Le previsioni, come spesso notano gli osservatori più attenti, hanno una strana caratteristica. La tendenza proiettata subisce un improvviso cambiamento (generalmente in salita) in un punto preciso, che è tipicamente il momento in cui viene fatta la previsione. Di solito le previsioni "passate" vengono prudentemente rimosse.... ma se qualcuno le conserva scopre quasi sempre che l’andamento è stato diverso e che una nuova forte differenza (talvolta la stessa, talvolta no) viene proiettata nel futuro. Uno dei misteri del mondo dell’informazione è perché queste cose vengano prese sul serio.

Un’altra caratteristica diffusa delle previsioni è che tutto è sempre in crescita. Accade abbastanza spesso, nella realtà, che qualcosa diminuisca; ma questo non viene quasi mai preso in considerazione dai "profeti".

Vorrei chiarire che non sto affermando che le previsioni di X a proposito di Y non si avvereranno; perché questa sarebbe, a suo modo, una profezia. Sto semplicemente dicendo che non lo so, e che secondo me è molto difficile che qualcuno lo sappia; che quello è solo uno fra tanti "scenari" possibili, e non necessariamente il più probabile. Non sto neppure dicendo che se qualcuno prevede che una certa cosa avrà una certa dimensione nell’anno 2005 la dimensione reale sarà minore. Così è accaduto quasi sempre finora, specialmente quando si tratta di nuove tecnologie. Ma può accadere anche il contrario. Ci sono cose che sono cresciute molto più del previsto (ma nella maggior parte dei casi i "profeti" non ne parlavano).

Sto semplicemente dicendo che giocare alla lotteria è diverso dall’investire risorse e strategie d’impresa. La logica della lotteria è che il rischio è alto ma l’investimento è basso rispetto alla possibile vincita. Un’altra logica basata sulle basse probabilità è la "moltiplicazione del rischio": seguita (almeno finora) dalla borsa americana (e dal venture capital) per quanto riguarda il mondo delle nuove tecnologie. Non sanno quale sarà la tecnologia (o soluzione commerciale, o servizio) vincente e quindi investono su tante cose diverse, sapendo che molte deluderanno – ma le poche che avranno successo daranno risultati così alti da compensare le perdite sulle altre. Nessuno sa quanto durerà questo gioco d’azzardo, ma sembra che la tendenza, per ora, continui.

Valgono ragionamenti come questi per un’impresa che voglia usare la rete per sviluppare la propria attività? Secondo me, no. È utile tenersi flessibili e non investire troppo all’inizio, per poter correggere gli errori e (ancora più importante) approfittare di occasioni impreviste. Ma ciò non significa che si debba operare senza una strategia precisa. Potranno cambiare le situazioni di mercato e le tecnologie; ma ci sono valori costruiti nel tempo (cultura d’impresa, capacità competitiva, relazioni, qualità di servizio) che sono molto meno labili; e soprattutto molto meglio controllabili da parte di un’impresa che conosca bene il suo specifico territorio. Su questi valori conviene investire, usando strumenti (come la rete) che possono contribuire ad accrescerne in modo importante la qualità e l’efficacia

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loghino.gif (1071 byte) 5. Piccole luci in fatto di tecnologie
Si sta diffondendo nella rete una notizia interessante. Da quando Netscape ha reso disponibili i "codici sorgenti" del suo software, sembra che i suoi tecnici e programmatori stiano facendo i salti di gioia. Non perché (almeno finora) questo fatto abbia dato un contributo rilevante alla diffusione del loro browser, ma perché i contributi "spontanei" di programmatori di mezzo mondo portano a un sostanziale miglioramento della qualità.

Altre notizie riguardano l’uso di software leggeri e di computer poco impegnativi. Il 2 luglio la Sun ha dichiarato "morto" il concetto di "network computer" (che perfino la Oracle non sostiene più) e ha affermato che è molto meglio recuperare i vecchi 486, 386 o 286 che, se non sono stati buttati via, giacciono inutilizzati. La Sun, naturalmente, offre per questo scopo una piattaforma Java (una tecnologia su cui altri non sono molto ottimisti); ma ci sono tanti diversi sistemi che permettono di usare efficacemente computer molto meno potenti (e meno costosi) di quelli oggi in commercio.

Sembra che Linux stia facendo passi avanti non solo nella sua diffusione come tecnologia affidabile ed efficiente ma anche nell’evoluzione verso un’interfaccia accessibile anche ai "non tecnici". La Iact (International Alliance for Compatible Tecnhnology) dice che l’esperienza ha dimostrato come gli utenti siano più disposti a soffrire per l’incompatibilità, finché quella sofferenza è sostenibile, che ad affermare i propri diritti abolendo le restrizioni imposte. Ma i limiti della pazienza sono stati superati, la sofferenza non è più sostenibile; è diventato necessario liberarsi dal giogo dell’incompatibilità. Parole al vento? Per ora, temo di si. Ma il problema è reale e presto o tardi qualcuno dovrà affrontarlo.

Siamo ancora molto lontani da una inversione di tendenza o dall’applicazione pratica di tecnologie più efficienti e funzionali. Per ora, sono barlumi. Ma è incoraggiante che si cominci a diffondere la coscienza del fatto che la perenne rincorsa verso tecnologie sempre più ingombranti e farraginose non è l’unico percorso possibile.

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6. Le donne in rete
Da molto tempo sono convinto che la presenza femminile sia un fattore importante per la crescita della rete – e un sintomo rilevante della "maturità" raggiunta nell’uso delle nuove tecnologie di comunicazione. Secondo una recente indagine Eurisko la percentuale di donne fra gli "utenti" della rete in Italia è ancora relativamente bassa (33 %) anche se nettamente superiore a qualche anno fa e in costante aumento. Si notano ancora segni di relativa immaturità nella componente femminile, che è più bassa fra gli utenti più esperti e sicuri e relativamente più alta (circa 50 %) fra le persone che hanno meno famigliarità con la rete e ne fanno un uso sporadico. Non è facile, tuttavia, in questi casi capire quanto si tratti di comportamenti reali e quanto di atteggiamenti dichiarati. Un’ipotesi non improbabile (ma difficilmente verificabile) è che le donne siano più concrete e più sincere: cioè più facilmente disposte ad ammettere qualche imbarazzo nell’uso delle nuove tecnologie o un utilizzo abbastanza infrequente della rete.

Anche negli Stati Uniti la presenza femminile cresce con relativa lentezza (sembra che oggi sia circa il 44 %); ma secondo uno studio della Georgia Tech sono donne il 52 per cento dei nuovi utenti. Secondo questa fonte, le donne in rete sarebbero il 38 % negli Stati Uniti, 16 % in Europa e 30 % in Canada e Australia. Questo dato contrasta con alcune fonti europee, che danno (almeno nei paesi più avanzati nell’uso della rete) percentuali più alte di presenza femminile.

Se i dati provenienti da fonti diverse fossero confrontabili (ma spesso non lo sono) l’Italia sarebbe fra i paesi meno arretrati, al di fuori degli Stati Uniti, per quanto riguarda la percentuale di donne in rete.

Una verifica fatta da MCI sul livello di competenza e capacità nell’uso della rete in America ha dato un risultato medio piuttosto alto (e in aumento) con un indice leggermente migliore per le donne (82) che per gli uomini (80).

Anche in un paese come la Russia, dove uno dei sintomi di arretratezza in rete è l’ancora forte prevalenza maschile, sembra che la presenza femminile sia in aumento. Secondo Eugenia Volynkina, redattrice di InfoArt, la percentuale delle donne online in Russia è raddoppiata in un anno, passando dal 7 % nell’aprile 1997 al 15 % nel marzo 1998.

 

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7. Nuovi utenti un po' confusi
Quasi metà delle persone che oggi sono (o dicono di essere) in rete sta usando questo strumento da meno di un anno. La conseguenza è che abbiamo a che fare con un mondo di persone inesperte e che occorrerebbe un serio impegno per aiutarle a orientarsi nella rete.

Molte di queste persone si trovano in imbarazzo. Purtroppo non posso confermare questa affermazione con dati "numerici" di ricerca, perché le informazioni disponibili su questo argomento sono poche e perché nei questionari "strutturati" si ottengono risposte che sembrano indicare il contrario: la maggior parte delle persone dice di essere a suo agio e soddisfatta. Solo in approfondimenti qualitativi, meno chiaramente documentabili e "quantificabili", emerge una realtà diversa. C’è un disagio diffuso; una percezione di incompetenza (molte persone tendono a "colpevolizzarsi", cioè attribuire a una propria incapacità tutti quegli inconvenienti che sono causati da problemi tecnici o difficoltà di apprendimento). Naturalmente questo è un problema che tende ad attenuarsi col tempo e con l’esperienza, ma non credo che sia giusto sottovalutarlo.

A parte le carenze delle tecnologie, che sono tutt’altro che "amichevoli", ciò che manca ancora è la diffusione di una cultura umana e concreta dei valori della rete, che stia lontana dagli inutili tecnicismi e dalle esagerazioni fantatecniche quanto dai diffusi "terrorismi" sui pericoli (reali o immaginari) di ciò che viene presentato come un territorio misterioso e sconosciuto anziché semplicemente come uno strumento di comunicazione.

Come tutti i problemi, anche questo può essere trasformato in una risorsa. Chi saprà aiutare le persone a capire meglio i valori e l’utilità della rete, a uscire dall’imbarazzo, a gestire meglio gli strumenti, probabilmente non solo avrà dato un contributo allo sviluppo generale della rete ma potrà anche sviluppare e consolidare il proprio sistema di relazioni.

 

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8. L'Italia dà segni di crescita
Vedremo nei prossimi numeri analisi "quantitative" più estese. Intanto ecco un piccolo segnale, dai dati RIPE del 6 agosto 1998. Con 357.919 host internet l’Italia è al settimo posto in Europa in "cifra assoluta" (dopo Gran Bretagna, Germania, Francia, Olanda, Finlandia e Svezia) benché ancora molto arretrata per densità rispetto alla popolazione e al reddito. La percentuale sul totale europeo è salita (5,13 %) ma è ancora leggermente inferiore al "massimo storico" dell’agosto 1997 (5,21 %).

In luglio il numero di host italiani è cresciuto del 7,7 % rispetto al mese precedente (media europea 2,7 %) e del 40 % rispetto al dicembre 1997 (media europea 20 %). Ma la crescita è del 40 % anche rispetto al luglio 1997 (in dodici mesi il hostcount europeo è cresciuto del 44 %). Siamo ancora molto lontani da livelli adeguati al nostro ruolo economico, ma anche questi dati confermano che (dopo una fase statica fra la seconda metà del 1997 e l’inizio di quest’anno) lo sviluppo della rete in Italia sta dando qualche segno di accelerazione.


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