Sequestri di computer:
gli abusi continuano
e (quasi) nessuno ne parla



È clamoroso e colpevole il silenzio deigrandi mezzi d’informazione
sul perpetuarsi di queste ingiustificate violenze;
come delle autorità politiche e dei legislatori
che non solo non fanno nulla per porre termine agli abusi
ma continuano ad aggravare la situazione


Giancarlo Livraghi gian@gandalf.it – 26 luglio 1999





Si parla tanto di diritti civili, di malfunzionamento della giustizia; e anche di sottosviluppo italiano in fatto di informatica e telematica. Ma c’è un problema grave che continua a essere ignorato dai grandi mezzi di informazione e dal mondo politico – e non seguito neppure nel mondo della rete con l’attenzione che merita. Il ricorrente, intollerabile abuso dei sequestri di computer. Si parla ogni tanto di un singolo episodio, ma poi tutto cade nel dimenticatoio; e intanto la persecuzione continua.

Credo che pochi ormai ricordino l’ondata di sequestri che afflisse le reti telematiche in Italia nel 1994. Ma è ancor meno capito e percepito il fatto che quell’assurda e ingiustificabile violenza continua a ripetersi, nel disinteresse generale; sembra che l’unica ad occuparsene sia ALCEI.

Il crackdown del 1994 ebbe una certa eco internazionale, per la sua insolita dimensione e violenza. Bruce Sterling, autore di un classico sull’argomento (Hacker Crackdown, 1992) osservò che quella italiana era la più grande e scatenata operazione del genere in tutto il mondo, più grave e più estesa anche della famosa repressione del 1990 negli Stati Uniti. Le due operazioni erano molto diverse. Mentre quella americana si basava sulle (vere o presunte) attività di hacker, e su un immaginario rischio di attività politico-terroristiche (compreso il caso clamoroso della persecuzione giudiziaria di un editore di giochi di strategia) quella italiana partiva da un tema più pedestre: l’uso di software non registrato. Naturalmente c’erano davvero alcuni BBS che trafficavano in software copiato; sarebbe stato facile identificarli senza perseguitare mezzo mondo, ma alcuni pretori (partendo da Pesaro e Torino) pensarono che fosse un’interessante occasione di protagonismo occuparsi di questa cosa strana e sconosciuta – la comunicazione elettronica. Il risultato fu un’ondata di sequestri e di persecuzioni poliziesche, che sparse il terrore nell’allora ristretto mondo della telematica italiana (benché fosse piccolo rispetto all’attuale diffusione dell’internet, aveva una dimensione non trascurabile: in Italia c’erano duemila BBS). Una delle conseguenze di quella malaugurata operazione è la convinzione, ancora diffusa in alcuni ambienti internazionali, che si trattasse di censura; l’Italia è citata qua e là fra i paesi in cui il governo censura la rete, mentre la mega-repressione del 1994 aveva tutt’altri motivi.

Perché riparlarne oggi? Perché il sopruso continua, su scala ancora più estesa; e mentre corrono fiumi d’inchiostro sulla rete, spesso dedicati ad argomenti irrilevanti, questa grave situazione continua a sfuggire sia ai grandi mezzi d’informazione, sia alle autorità che dicono di voler favorire la diffusione dell’informatica e della rete ma, in questo come in altri casi, fanno il contrario.

Una delle radici del male sta in un’assurda legislazione che considera il possesso e l’uso di software non registrato come un reato penale, perseguibile d’ufficio. Alcune sentenze avevano interpretato la legge in modo più sensato, di fatto considerando perseguibile il commercio di software copiato ma non il puro e semplice possesso; i nostri legislatori anziché agire in questa sensata direzione hanno fatto l’opposto, cioè hanno inasprito i rigori. Inoltre, quando si è deciso di “depenalizzare” una serie di “reati minori”, ci si è “dimenticati” di eliminare la stortura che sottopone a regime penale ciò che al massimo è la violazione di un contratto privato. Mi sembra fondato il sospetto che queste anomalie siano dovute alle potenti lobby dei discografici, dei produttori di film e dei produttori di software, mentre nessuno si preoccupa di proteggere da inaudite persecuzioni cittadini innocenti (o tutt’al più “colpevoli” di non aver rispettato tutte le clausole di un contratto di licenza)

Ma il problema di cui parlo qui è un altro. Indipendentemente dal motivo per cui viene condotta un’indagine, è illegittimo e ingiustificato sequestrare computer o hard disk; o addirittura stampanti, modem e altre “periferiche”... dischetti e cd (anche di cose perfettamente legittime)... talvolta perfino i tappetini dei mouse.

Qual è il problema? La sostanza è semplice. Una persona, sospettata di qualcosa o anche solo coinvolta per caso o per sbaglio in un’indagine, si vede privare di strumenti di lavoro e di vita. (Ci sono addirittura situazioni in cui qualcuno si è trovato con un computer sequestrato solo perché l’aveva portato a riparare in un negozio coinvolto in qualche indagine – e poi si è visto anche arrivare la polizia in casa). Per motivi che variano dalle accuse più gravi (ma spesso risulta che gli indagati sono innocenti) al banale acquisto sul mercato di un gioco o di un piccolo software che qualcuno vendeva senza autorizzazione. Il danno è enorme. Le vittime sono terrorizzate, non capiscono quale sciagura o persecuzione si stia abbattendo su di loro, né perché. Spesso i legali cui si affidano sono impreparati e non sanno come difendere i perseguitati, né come ottenere un sollecito dissequestro. (Di questo argomento si è già parato altre volte: vedi per esempio la lista di link alla fine di questo articolo). Questi sequestri sono necessari per il corretto svolgimento delle indagini? Certamente no. Come dimostrato dal fatto che ci sono alcuni magistrati “illuminati” che conducono le loro indagini senza mai disporre un sequestro.

Sono accettabili e giustificabili? Decisamente no. Sono un’assurda violazione dei diritti dei cittadini e anche di alcune leggi fondamentali: per esempio degli articoli 4, 14, 15, 35 e 41 della Costituzione italiana, della convenzione internazionale per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e del codice di procedura penale (come fu chiarito già quattro anni fa in un comunicato di ALCEI).

Nonostante questi evidenti fatti, l’abuso continua, e le dimensioni del fenomeno sono impressionanti. Una recente dichiarazione della Guardia di Finanza ha parlato di 2000 sequestri nel corso di una sola indagine – e ce ne sono molte altre. Un fatto sconcertante è che non solo le “forze dell’ordine” continuano in questo comportamento assurdo e incivile, ma addirittura se ne vantano.

Altrettanto impressionante è il silenzio dei “mass media”. Di sequestri si parla solo in occasione di qualche inchiesta che suscita la curiosità della stampa (perché si tratta di più o meno immaginari o sopravvalutati casi di “intrusione” – o di temi ad alto contenuto emozionale, come la “pedofilia”) – e senza mai chiedersi se sono legittimi o giustificati. Uno dei fenomeni più clamorosi di disinformazione fu la spudorata vanteria, nel settembre 1998, di un ufficio di polizia che volle far credere di aver debellato la pedofilia quando furono incriminate quattro (letteralmente quattro) persone accusate di fare collezione di fotografie più o meno disgustose di bambini e minorenni – e di usare l’internet per scambiarsi quel sordido materiale. Si è già parlato dell’incredibile clamore suscitato da quella minuscola indagine (vedi Storia della crociata infameAlice nel paese delle ipocrisieLa crociata, il macigno e il venticelloDagli all’untoreInternet, il bambino e l’acqua sporcaQuel simpaticone di Zio Luigi). Fra l’altro di quella, come di tante altre vicende, non si conosce il seguito: nessuno ha pubblicato notizie sull’esito dei processi.

Sul problema dei sequestri continua a esserci una coltre di silenzio – e non è facile capire perché. Paura, ignoranza, connivenza? Davvero la nostra stampa è così asservita ai grandi interessi economici, o così spaventata all’idea di criticare un magistrato o un poliziotto, che lo fa solo quando gli interessi “lesi” sono quelli di persone potenti o famose? Perché un dettaglio in un’indagine a carico di un parlamentare o di un’altra persona “in vista” scatena crisi politiche e fiumi d’inchiostro, mentre di migliaia di cittadini ingiustamente perseguitati non si occupa nessuno? Può essere considerato civile e “avanzato” un paese in cui il semplice fatto di possedere un computer, e di essere collegati alla rete, può portarci ad essere svegliati alle sei di mattina da bande di uomini armati, trattati come pericolosi assassini e privati senza motivo di strumenti fondamentali di vita e di lavoro?

Sarebbe interessante se qualcuno, nel mondo politico o giudiziario o nei grandi mezzi di informazione, ci desse una risposta che stiamo aspettando da cinque anni.





Alcuni link su questo argomento

Oltre a vari comunicati di ALCEI

J’accuse
http://gandalf.it/garbugli/garb22.htm

Pericolo: sequestratori in agguato
http://gandalf.it/free/sequest.htm

Mamma, li Turchi
http://gandalf.it/free/turchi.htm

Le vittime silenziose
http://gandalf.it/free/vittime.htm

Tre facce della barbarie
http://gandalf.it/free/trefacce.htm




indice
indice della sezione


Homepage Gandalf
home