Sei anni fa (luglio 1998) un articolo in questa rubrica era
intitolato Balie, bavaglini e bavagli.
Il tempo è passato, le dimensioni della rete sono quintuplicate
nel mondo, sestuplicate in Italia (vedi i dati
internazionali ed
europei) ma i tentativi di tenerla
a balia, e così imbavagliarla, continuano a proliferare.
Dicevo allora: «LItalia è uno strano paese.
Continuiamo a ripeterci che abbiamo troppi lacci e
lacciuoli, che laccumulo di norme mal concepite e
indecifrabili fabbrica solo inefficienza e corruzione; ma si
continuano ad ammucchiare norme su norme, leggi e
regolamenti, che raramente risolvono i problemi e più
spesso creano impicci».
Che cosa è cambiato? Praticamente nulla. Continua
labitudine di ammucchiare norme e leggi complesse, mal
congegnate, difficilmente interpretabili e spesso motivate
da intenzioni diverse da ciò che si vuol fare
apparire.
Dicevo anche: «Non è mai il caso di fidarsi
di chi vuole tenerci a balia. Agli occhi di costoro siamo
masse di bambini goffi e bavosi, cui occorre mettere
bavaglini che spesso si trasformano in bavagli».
Anche da questo punto di vista le cattive abitudini (e le
ambigue intenzioni) continuano anzi tendono a peggiorare.
Non si tratta solo della diffusione, spesso grottesca, di falsi allarmi
e di ingiustificate paure (vedi Bufale,
piagnistei e demonizzazioni). Ma anche di infiniti
tentativi di imbrigliare, censurare, limitare la
libertà nelluso della rete.
Il problema, naturalmente, non è solo italiano. Ci
sono, come sappiamo, situazioni peggiori della nostra. In una
larga parte del mondo la libertà di opinione e di
informazione è fortemente repressa in tutte le sue
forme compreso luso della rete. (Vedi
La
Cina e altri problemi).
Ma anche dove la libertà è una garanzia
costituzionale non mancano i tentativi di controllare
con la scusa di proteggere. Per esempio il 6 luglio
2004 la Supreme Court degli Stati Uniti ha dichiarato, per la
seconda volta, incostituzionale il Child Online Protection Act
del 1998 (che non era mai entrato in vigore). Si ripete, anche se in
modo diverso, ciò che era accaduto il 26 giugno 1997 con
labrogazione del famigerato Decency Act del 1995.
Che le garanzie costituzionali pongano un limite agli abusi
può essere confortante, ma è preoccupante
che i tentativi di repressione continuino a moltiplicarsi. Ed
è evidente che la vicenda non è conclusa. In
molti paesi, compresa lItalia, ci sono in atto e in progetto
altre iniziative di quel genere.
Il problema è sempre lo stesso: che cosa si
intende per decente? Quando si stabilisce il
principio che può essere vietato o censurato
ciò che qualcuno considera indecente, si
apre la strada a ogni sorta di repressioni culturali. Dalle
foglie di fico è facile passare allabolizione di
opinioni sgradite o di informazioni sconvenienti
per chi esercita (o ispira) una funzione di filtro o di
censura. Così è stato in tutta la storia
dellumanità e così è ancora oggi,
nonostante la moltiplicazione dei mezzi di informazione e di
comunicazione. (Vedi Cenni
di storia dei sistemi di informazione e in particolare
il capitolo in cui si parla di
libertà di stampa).
Il concetto di pornografia è,
ovviamente e notoriamente, molto discutibile. Ciò che
per una cultura o una persona è osceno, per unaltra
può essere accettabile. Il risultato, nelle
società dove cè libertà di opinione e
di comunicazione, è che ognuno è libero di
guardare o leggere ciò che vuole. Ma cè il
problema di evitare che cose inadatte siano
disponibili a persone troppo giovani. Un divieto totale non
è praticamente possibile, ma ci sono cose
vietate ai minori.
In generale cè molta ipocrisia in quelle norme e
nella loro applicazione. E ci sono seri problemi nella
delega a una tutela generale di
ciò che deve essere una precisa responsabilità
delle famiglie e degli educatori. Se una famiglia, o una
scuola, scelgono di insegnare che i bambini nascono sotto i
cavoli o sono portati dalle cicogne, è una loro
responsabilità decidere come, e quando, dire la
verità (e spiegare perché prima lavevano
nascosta).
Cè, in tutto questo, una profonda differenza fra
i bambini, che vivono sotto il controllo delle
famiglie e delle organizzazioni didattiche, e i
ragazzi o adolescenti, che hanno
maggiore libertà e iniziativa personale. Per i
più piccoli ciò che conta è lattenzione
degli adulti, che sappiano seguirli con la necessaria
attenzione e non abbandonarli da soli a esperienze, anche
solo di spettacolo o di lettura, che possono turbarli o
confonderli. Peri i più grandicelli conta
leducazione, fin dallinfanzia, a saper scegliere e capire
(i divieti hanno spesso leffetto contrario: stimolano alla
ricerca di ciò che è proibito).
È illusorio, e pericoloso, pensare che un sistema
di divieti imposto dallesterno possa sostituire il delicato
e fondamentale compito delle famiglie e degli educatori.
Nel caso specifico della rete, i bambini di solito non
sono interessati a usarla. Se lo sono, non possono essere
abbandonati da soli online così come non è
ragionevole che vadano in giro incustoditi, in città
in campagna. Anche indipendentemente dalla possibilità
che facciano brutti incontri, o che vedano o
leggano cose inadatte alla loro età, linfinita
varietà della rete è un sistema troppo
complesso per un bambino lasciato a esplorarlo da solo.
Lintroduzione di filtri non solo
è inutile, ma è pericolosa: perché
può indurre famiglie ed educatori ad affidare a
tate elettroniche un compito per cui sono
inadatte e inadeguate. Passata linfanzia, il problema si
aggrava, perché il divieto diventa un incentivo ad
andare a cercare ciò che è proibito.
(È ovvio che se un ragazzo di 12 anni ha la
possibilità di vedere un film vietato ai minori
di 13 si precipita a farlo, non tanto perché
è interessato a ciò che vedrà, ma
soprattutto perché vuole scoprire che cosa gli hanno
proibito. In rete è ancora più facile trovare
un modo per aggirare eventuali blocchi o
divieti).
Se qualcuno vuole mettere un ostacolo nel computer di
casa sua, per impedire laccesso non autorizzato
alla rete, o limitarlo ad alcuni percorsi di sua scelta,
naturalmente è libero di farlo. Così come
può mettere un blocco al telefono, chiudere a chiave
il televisore o tenere in scaffali chiusi libri, giornali o
riviste di cui non vuole condividere la lettura. Resta un
problema suo come governare la curiosità di chi si chiede
perché quelle cose siano rinchiuse o nascoste.
Ma quando i controlli sono centralizzati il
quadro cambia profondamente. Non solo si arriva
inevitabilmente alla censura e al controllo delle
informazioni e delle opinioni. Ma cè anche il fatto
che le risorse offerte sono spesso legate a interessi privati
e sarebbe ingenuo immaginare che non ne approfittino per
favorire ciò che conviene a loro e per ostacolare la
concorrenza.
Una vicenda diversa, e non meno ambigua, è quella
che riguarda la cosiddetta pedofilia. Sono
mancate, e continuano a essere scarse, le attività
serie e approfondite per colpire alle radici il grave
problema delle violenze contro bambini e minorenni e le
molteplici forme di aggressione e sfruttamento sessuale, di
cui sono vittima anche persone adulte. Cè stata,
invece, uninsistente demonizzazione
dellinternet, di cui sono vittima molti innocenti e ancora
oggi, benché siano meno frequenti i grandi clamori
sullargomento, le persecuzioni continuano.
(Ci sono parecchi articoli su questo argomento nella sezione
libertà
e censura vedi per esempio i link che si trovano in
Perseverare diabolicum).
Un altro pretesto, non meno preoccupante, riguarda le
prevenzione e la repressione del crimine con una
particolare accentuazione nel caso del terrorismo
internazionale. La storia non è nuova. Ma ovviamente
si aggrava nella preoccupante situazione di oggi.
Il problema esiste fin dalle origini della rete. È
ovvio che tutti i sistemi di comunicazione, compresa linternet
e altre forme di networking, possono essere usati da criminali
di ogni specie. Ed è altrettanto evidente che se ne servono
abitualmente, fin dallinizio, le organizzazioni (legittime
o non) di indagine, di intelligence e di spionaggio.
Non è facile stabilire dove sia il limite fra la
necessaria azione contro ogni genere di criminalità e
le violazioni dei diritti dei cittadini onesti. Ma è
evidente che quel limite viene troppo spesso superato
in modi, e con intenzioni, che nulla hanno a che fare con la
prevenzione o repressione del crimine. (Vedi
Ambiguità
e pericoli della prevenzione).
Tutto questo si aggrava con la crescita del terrorismo.
Ovviamente non si tratta solo dellinternet. Le
mistificazioni e le strumentalizzazioni invadono in mille
modi la cultura e la società civile. Il problema
è noto e grave in tutti i suoi molteplici aspetti. Ma
è necessario ribadire, anche nel caso della rete, che
ogni invasività o distorta repressione non solo
è inutile per la lotta contro i terroristi, ma spesso
ottiene leffetto contrario.
Mentre si accumulano leggi e norme mal concepite, che con
ogni sorta di pretesti si accaniscono contro la rete,
è scarsa e inefficace lazione contro londata
crescente dello spamming cui si associano spesso attività
truffaldine (vedi Spam e scam).
Insomma cè chi infetta la rete dallinterno, con
comportamenti scorretti o fastidiose invasività. E cè
chi, senza tentare seriamente di risolvere quei problemi, si affanna a cercare
in tutti i modi di condizionarne luso, restringerne lorizzonte,
limitarne la libertà e lapertura.
Un altro abuso, di cui si era parlato sei anni fa, è
lassurda pratica di sequestrare
computer nel corso delle più svariate indagini o liti giudiziarie.
Il problema non era nuovo allora (vedi 1994,
2004... 1984 la storia continua) e non è risolto
oggi. Anche se alcuni magistrati, e una parte delle forze
dellordine, hanno capito che possono svolgere efficacemente
il proprio compito senza ricorrere a inutili abusi, quel genere di inutili
e perverse procedure è tuttaltro che scomparso.
Con tutti i problemi che ci affliggono, è facile
pensare «Vabbè, ma che mimporta?
Posso vivere tranquillamente anche senza usare linternet
o stando nei limiti che le balie mi vogliono imporre».
Ma il problema non è così banale. Quando
si rinuncia troppo facilmente a un pezzo di libertà si
rischia di perderne molta di più.