Dagli all’untore

 

 

Un argomento di così alta intensità emozionale come le violenze contro bambini e adolescenti induce anche le persone più equilibrate a perdere il lume della ragione. Devo constatare, senza sorpresa, ma con dispiacere e preoccupazione, che chiunque si distacchi dal coro (non privo di ipocrisie) per fare qualche osservazione su come viene affrontato e gestito questo problema può essere sospettato di essere un criminale – o di voler difendere chi ha commesso abusi. Mi trovo perciò costretto (assurdamente) a chiarire che non ho alcun motivo di difendere chi perseguita, in qualsiasi modo, i “minori”; e che non ho alcuna simpatia per alcuno di costoro, in qualsiasi punto dell’estrema gamma che va da un elogio “letterario” dei rapporti sessuali fra adulti e bambini (o adolescenti) alle più brutali violenze. Vorrei anche ribadire che i pretesti per cercare di imporre censure o altre regole repressive alla libertà di opinione e di dialogo sono molti; questo è solo il più frequente, il più “gridato” (specialmente in questi giorni) e uno dei più perniciosi proprio per la sua inevitabile carica di emozione.




L’Italia, patria di Cesare Beccaria, si vanta della sua civiltà per il fatto che non solo ha abolito la pena di morte, ma si impegna per farla abolire in tutto il mondo. C’è diffusa indignazione quando in qualche altro paese qualcuno viene condannato a morte, indipendentemente dalla gravità dei delitti di cui quella persona è accusata. Com’è possibile che nessuno esprima il minimo dubbio quando la massima autorità dello stato incita pubblicamente al linciaggio?

Dicono i giornali che il 5 settembre 1998 il Presidente della Repubblica ha esortato le schiere plaudenti dell’Azione Cattolica a prendere chi manda o riceve fotografie “proibite” sull’internet, mettergli al collo una macina da mulino e gettarlo “negli abissi del mare“. Non risulta che abbia fatto alcun accenno a chi maltratta o sodomizza bambini in collegi, oratori, chiese eccetera (e continua indisturbato, perché l’attenzione della giustizia, e dell’opinione manipolata dai giornali e dalla televisione, punta altrove).

Non ho sentito la “viva voce” di Oscar Luigi Scalfaro. Alcuni, che l’hanno ascoltata, dicono che il suo non era un invito al linciaggio, ma una proposta di suicidio collettivo. Ma non così è stata riferita sui giornali; e, anche se fosse, è un “lapsus” difficilmente perdonabile.

Il problema è grave. La psicosi che infuria da anni sul tema “pornografia”, “pedofilia” e affini non affligge solo la rete.

Le vittime innocenti di questa “caccia all’untore” sono tante. Molte più di quanti siano i veri colpevoli indagati. Quasi sempre hanno (giustificata) paura; tacciono, o se parlano sottovoce non permettono né a me, né a chicchessia di raccontare la loro via crucis.

Fra tante cose che meriterebbero di essere rese note, ma sono costretto a tenere riservate, ce n’è una che posso pubblicare. Una psicologa che conosce bene la materia, Irene Mohrhoff, mi ha gentilmente (e coraggiosamente) autorizzato a diffondere questo suo messaggio (8 settembre 1998):

Senza scherzi, perché non credo che sia un argomento su cui si possa scherzare. Come più volte ho detto, lavoro in diversi Tribunali come esperta di abusi sui minori. Questo da circa 15 anni.

Sono sbalordita e seriamente preoccupata da questa caccia alle streghe. Adesso, basta che un moccioso apra bocca e dica una stronzata solo per farsi grande, ed ecco che un adulto, nella migliore delle ipotesi, essendo indagato, venga 1) sospeso dal lavoro 2) indicato come mostro nel suo quartiere o paese 3) condannato.

In tutto questo gran parte delle responsabilità le hanno gli insegnanti, i quali, invece di fare il proprio lavoro, si arrogano il diritto di “interrogare” e registrare le affermazioni del presunto abusato. Ovviamente con una tecnica che non posseggono e non possono possedere. La cosa gravissima, a mio avviso, è che i provvedimenti contro il presunto “abusante” vengono presi prima di qualsiasi intervento peritale. Salvo poi essere revocati qualora la perizia scagioni l’indagato. Il quale, nella migliore delle ipotesi, ha passato, essendo innocente, il peggior periodo della sua vita.

Nel mio piccolo, ma io sono nessuno, ho lavorato anche di notte per tirare fuori di galera un innocente. Altri, e ne sono assolutamente disgustata, dormono sonni tranquilli. Con un indagato che rischia 11 anni di carcere.


Sento dire in giro:

“La mia bambina vorrebbe venire a riposare con me nel lettone matrimoniale, ma glie lo impedisco perché se lo scoprisse il mio ex-marito potrebbe rivolgersi al tribunale con un’accusa di molestie sessuali”.

“Non credi che nella pubblicità dei pannolini, con le mamme compiaciute di com’è morbido e asciutto il culetto, ci sia qualcosa di morboso?”

Chiesto da un giudice alla già citata psicologa: “Secondo lei, posso continuare a fare il bidet a mia figlia?” (Non stava scherzando).

L’antologia potrebbe continuare all’infinito. Sappiamo da sempre, anche prima che Alessandro Manzoni scrivesse la Storia della colonna infame e descrivesse nei Promessi sposi gli orrori delle paranoie collettive, che la peste non si guarisce con la caccia all’untore; né si sconfigge la criminalità inasprendo le pene inflitte agli innocenti. Sappiamo che i “casi Tortora” (che sono molto più numerosi di quelli saliti all’onore delle cronache) sono utilissimi alla mafia. Ancora una volta, i peggiori delinquenti, acquattati nell’ombra con le loro vittime, si fregano le mani: fin che imperversa questa follia, chi avrà il tempo e la voglia di occuparsi di loro?

Che i cacciatori di streghe si accaniscano specificamente contro la rete, o che tiri aria in generale di repressione, è sostanzialmente lo stesso. L’effetto non cambia.

Se è questa l’alba del “terzo millennio”, c’è poco da stare allegri.




Vedi anche:

Storia della crociata infame

Alice nel paese delle ipocrisie

La crociata, il macigno e il venticello

L’internet, il bambino e l’acqua sporca

Quel simpaticone di Zio Luigi

Dalla parte dell’Inquisitore

 

   
 

 
Giancarlo Livraghi
gian@gandalf.it
  8 settembre 1998
 
 

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