Accademia di Fitomedicina e Scienze Naturali

 

Accademia di Fitomedicina e Scienze Naturali

 

Reazioni avverse e controindicazioni delle Piante medicinali.

 

Reazioni avverse e controindicazioni nelle piante più comunemente usate.

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Droghe antrachinoniche.

 

Il capitolo sulle informazioni sulle reazioni avverse e le controindicazioni delle piante medicinali è tuttora aperto; ciò è dovuto al continuo evolversi della ricerca, alle sempre nuove esperienze cliniche da cui emergono nuovi dati (alcuni dei quali da valutare ulteriormente) costantemente in aggiornamento. La conoscenza scientifica delle piante medicinali permette il corretto uso terapeutico, fatto dal medico, senza incorrere, per molte di loro, in effetti avversi di rilievo. Fondamentale è non eccedere con le dosi, evitare strane associazioni medicamentose, porre particolare attenzione nelle terapie a lungo termine e nella cura dei bambini, evitare la somministrazione in gravidanza e allattamento. C'è da valutare, quindi,  la convenienza terapeutica   della scelta di questa o quella pianta, optando ovviamente per quella più sicura e con minori effetti collaterali, anche rispetto ai farmaci che possono risultare dannosi se pur usati ai normali dosaggi terapeutici. A tale proposito, si ricorda che i FANS (antinfiammatori non steroidei), oltre ai noti problemi di gastrolesività, hanno dimostrato di essere in grado di danneggiare le cartilagini articolari, soprattutto la cartilagine dell'anca. Ci si domanda quindi quel'è la convenienza del loro uso nelle malattie reumatiche; in questo caso le piante medicinali rappresentano una valida alternativa.

                         Passoflora incarnata Passiflora  incarnata

Si dovrà tener conto, oltre che della durata del trattamento terapeutico, di particolari situazioni come la gravidanza ove l'uso di alcune piante può risultare dannoso per l'embrione, per il feto e anche per la madre. Tra le sostanze in grado di provocare danni: il fumo, l'alcol (una modica quantità può essere permessa), l'abuso di caffeina. Droghe vegetali contenenti salicilati e retinoidi possono essere rischiose (teratogene) per l'embrione e vanno quindi sconsigliate in gravidanza. I salicilati, inoltre, espongono la gestante  a un maggior rischio di fenomeni emorragici al momento del parto, e nel corso dell'allattamento rendono meno gradevole il latte materno. Sono sempre sconsogliate in gravidanza tutte quelle piante medicinali che, aumentando la motilità dell'utero, possono provocare aborto. E' bene tener sempre presente che bisogna limitarsi a prescrivere, in una donna in stato di gravidanza, una droga medicinale solo quando se ne ha un reale bisogno, somministrando solo quelle piante medicinali di provata sicurezza. Anche l'allattamento richiede particolari attenzioni, evitando in particolare la somministrazione, alla madre, di droghe antrachinoniche, droghe contenenti basi xantiniche (bevande nervine), lattoni sesquiterpenici e salicilati (che possono anche provocare reazioni allergiche).

La terapia con le piante medicinali  va attuata con grande prudenza nei bambini e negli anziani, in particolare nei sofferenti di patologie debilitanti.

Ribadire gli effetti negativi  dell'abuso delle cosiddette bevande nervine (caffè, tè, guaranà, matè, cola, ecc.) è scontato, particolare attenzione andrà posta alle loro interferenze con farmaci che contengono caffeina (diversi analgesici) e al loro utilizzo in pazienti con patologie psichiatriche. Stesso discorso andrebbe fatto per l'alcol e per la contemporanea somministrazione di piante medicinali (valeriana, passiflora, escolzia, piscidia, iperico, arancio, papavero rosso, kawa-kawa, olio essenziale di menta, ecc.) con benzodiazepine, antidepressivi e altri farmaci neuropsichiatrici. Si ricorda, inoltre, la possibile influenza sull'attenzione, sulla vigilanza e sulla capacità di guidare mezzi meccanici. Pazienti affetti da patologie renali, quali a esempio le glomerulonefriti, non dovrebbero assumere piante quali kawa-kawa, levistico, sandalo, yohimbee, ginepro, cappuccina, asparago (in particolare nell'insufficienza renale) ed elavate dosi di peperoncino. Molta attenzione deve essere posta all'uso di aglio, meliloto, china e ginkgo biloba sia con una contemporanea somministrazione di farmaci anticoagulanti, antiaggreganti piastrinici, o in tutti coloro che abbiano patologie della coagulazione sanguigna. Non bisogna dimenticare tutte quelle piante che esercitano un'azione sulla tiroide (es.: laminaria) e un'attività estrogenica (si ricordino in particolare gli epilettici) quali a esempio la salvia, il luppolo, la trigonella, l'erba medica, la cimifuga racemosa, il cipresso.

Agli asmatici, ai sofferenti di allergia cui si consiglia di fare attenzione all'abete e al pino (in particolare all'olio essenziale) che potrebbero produrre broncospasmo; altrettanta cautela va posta con il propolis e l'aglio. Nei pazienti sofferenti di patologie delle vie biliari particolare prudenza andrà posta all'uso di piante ad azione colagoga e coleretica, valutando attentamente ogni situazione e ricordando che in caso di fenomeni ostruttivi è preferibile evitare l'uso di tali piante. Diverse erbe medicinali (anche l'olio essenziale di eucaliptus e Niaouli) possono aumentare la metabolizzazione epatica con un fenomeno di induzione enzimatica; un accenno, inoltre, a quelle piante adoperate dal sistema medico cinese che necessitano, nell'applicazione terapeutica, di grande attenzione, in particolare per quanto riguarda gli aspetti tossicologici.

Aumentano sempre più segnalazioni e studi che ne evidenziano la tossicologia e le controindicazioni; a tal proposito si ricorda che le erbe Chuen-lin e Ying-chen (Artemisia capillaris) aumentano il rischio di iperbilirubinemia e non dovrebbero essere somministrate ai neonati. L'erba dazao (Ziziphus jujuba var. inermis) induce edema angioneurotico, mantre la Danshen (Salvia miltiorrhiza) ha un'importante e pericolosa interazione con il warfarin: induce un aumento della coagulazione. L'infuso di Aristolochia debilitis, e altre specie di aristolochie, sono stati imputati di  causare epatiti acute; mentre la Jin Bu Huan ha dimostrato di provocare epatiti croniche. Uno studio (J. Altern, Complement Med., 1998), inoltre, segnala circa 100 casi di danni renali in donne che avevano adoperato alcune erbe cinesi (Aristolochia fangehi, Stephania tetranda). Sono dunque necessari accurati controlli e indagini per valutare la tossicologia, le controindicazioni delle erbe adoperate nella medicina cinese, senza trascurare gli aspetti tossicologici legati a possibili contaminazioni dovute a pesticidi, metalli pesanti, batteri e altro.

Nel concludere si fa presente che nella prescrizione di una pianta medicinale, o di un suo prodotto o derivato, è importante un'accurata diagnosi o anamnesi, al fine di individuare la "pianta giusta", di stabilirne il corretto dosaggio e di tenere conto del periodo di somministrazione. Un gran numero di piante può essere tranquillamente e vantaggiosamente utilizzabile nella pratica terapeutica corrente, anche in alternativa a molti farmaci. In moltissimi casi, inoltre, le reazioni indesiderate si hanno per dosaggi eccessivi e protratti nel tempo. Attenendosi alle dosi consigliate i problemi sono molto limitati; non è quindi un criminalizzare o demonizzare l'utilizzo delle piante medicinali, ma costruire un "percorso" più sicuro e valido, che ci possa permettere di sfruttare al meglio le grandi possibilità che il mondo naturale offre.

 

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Riguardo l'uso di droghe antrachinoniche (aloe, sena, frangula, cascara sagrada, rabarbaro, spino cervino) queste sono le principali avvertenze:
  • mai somministrarle per periodi prolungati;
  • farne soltanto un uso occasionale o per brevissimi periodi;
  • non somministrare nel periodo mestruale, negli stati infiammatori renali, uterini e vescicali, nelle coliti o in qualunque altro tipo di infiammazione intestinale, nelle emorroidi;
  • l'uso prolungato di questi lassativi può determinare perdita di potassio e di sodio;
  • vanno somministrate con grande prudenza nei pazienti affetti da patologie cardiologiche: il loro uso prolungato o abuso, provocando perdita di potassio, potrebbe dar luogo ad aritmie;
  • non vanno somministrate in gravidanza e allattamento: gli antrachinoni sono escreti nel latte delle nadri che allattano;
  • le droghe antrachinoniche possono ridurre l'assorbimento di vitamine e sali minerali.

La deplezione di potassio può interferire con alcuni farmaci potenziandone l'azione, come per esempio i glucosidi cardioattivi (digitale, strofanto), dove è possibile un aumento della tossicità, oppure come i saluretici. E' possibile un'interferenza con antiaritmici appartenenti alla prima classe: chinidina, propafenone, lidocaina. La deplezione di potassio (che può raggiungere anche il 50%) può provocare danni a livello renale (nefropatia tubolare). La ipocaliemia, di frequente riscontro nei pazienti che assumono per lunghi periodi diuretici (tiazidici, furosemide), predispone alla tossicità digitalica, e anche a una modesta riduzione della concentrazione di potassio, può causare aritmie. In questi casi è utile la somministrazione di alimenti ricchi di potassio.

 

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Peter