timone Il Mercante in Rete
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Marketing e comunicazione nell'internet


Numero 60 – 26 novembre 2001

 

 
Consiglio a chi legge abitualmente il Mercante in Rete
di tener d’occhio la segnalazione delle

novità
per verificare se c’è qualcos’altro
che possa trovare interessante.
 

 


loghino.gif (1071 byte) 1. Editoriale: L’internet non è “nata ieri”


Fra le varie “date di nascita” dell’internet ce n’è una di cui si parla in questi giorni – ma non è la più adatta per festeggiare il “compleanno” della rete. Il primo “microchip”, o microprocessore, fu messo in commercio trent’anni fa (nel novembre 1971). L’autore del progetto è un ingegnere italiano, Federico Faggin. Alcuni dicono che l’internet è “figlia” di quell’invenzione. Ma la storia delle origini è un po’ diversa.

Ha indubbiamente giovato allo sviluppo della rete la diffusione dei personal computer – e a quelle macchine la disponibilità dei circuiti integrati e dei microprocessori. Ma la struttura dei “computer uso personale” era gà stata definita nel 1968 e i sistemi di networking erano in sviluppo dal 1964 – sulla base di definizioni concettuali che avevano preso forma più di cent’anni prima. Insomma la rete non è frutto solo delle tecnologie che l’hanno resa possibile ma anche di un processo culturale, in corso da molto tempo, che presto o tardi avrebbe “inevitabilmente” portato allo sviluppo di nuovi sistemi di informazione e di comunicazione. (Vedi la cronologia nell’appendice di L’umanità dell’internet).

Con questa “doverosa premessa”... è comunque ragionevole, per altri motivi, dire che l’internet ha trent’anni. La sua evoluzione è una storia significativa, e ricca di contenuti, che è sbagliato considerare “una cosa del passato”. Come dicevo due anni fa, non è questione di nostalgia. Ma di valori e di esperienze cui sarebbe sciocco rinunciare.

Sembra che molti vogliano dimenticare trent’anni di storia e farci credere che l’internet sia “nata ieri”. Che sia nella sua prima infanzia, oppure che sia un po’ oca – cioè in un modo o nell’altro abbia bisogno di “tutori”. Infatti a sostenere quella tesi sono interessi che vorrebbero rimetterci tutti sui banchi di scuola e indottrinarci secondo il loro punto di vista e le loro convenienze.

A sostegno della loro tesi questi autonominati “nuovi maestri” dell’internet fanno notare che fino al 1994 la rete era una risorsa per pochi, era popolata da persone che si sentivano un po’ speciali proprio perché erano online (ma non per questo era una cultura “elitista” o chiusa, come tendono a dire i suoi detrattori). Che solo nel 1997 negli Stati Uniti, e un anno dopo in Italia, è cominciata una diffusione “popolare” della rete. Questo è vero. Ma non significa che sia utile od opportuno dimenticare ciò che si è imparato in trent’anni, né pensare che i “nuovi utenti” della rete siano bambini sbrodoloni incapaci di muoversi senza l’assistenza di qualche governante fortemente interessata a condizionare la loro dieta e la loro cultura secondo i suoi privati comodi e pregiudizi.

C’era, nella cultura delle origini, una visione un po’ esagerata dell’indipendenza della rete, come se potesse essere un mondo a parte. Quella fase è davvero finita. La rete non è e forse non sarà mai “per tutti” (ci sono persone che non saranno mai interessate a usarla) ma è e deve essere “aperta a tutti”, comprese correnti culturali diverse da quelle che, nei primi anni, erano prevalenti.

Le balie che vogliono ridurre la rete a un asilo infantile sono prevalentemente interessi “commerciali”. Nel senso peggiore e più miope della parola. Cioè vogliono fare dell’internet uno strumento, prima di tutto, per la comunicazione dell’impresa – e in subordine, marginalmente, un ambiente culturale e di dialogo umano. Peggio ancora, vogliono centralizzarla secondo gli interessi di poche grandi imprese (di telecomunicazioni e di informazione) a scapito di tutte le altre. Questo percorso è profondamente sbagliato. Non conviene né alla cultura né all’economia (perfino le imprese che oggi, egoisticamente, propongono un tale modello non sono finora riuscite a offrire servizi validi e non sarebbero in buona salute fra qualche anno in un terreno così asservito e arido da essere incoltivabile e improduttivo).

La strada giusta, per far crescere la rete, è ovviamente un’altra. Prima di tutto favorire il suo sviluppo come fatto culturale e umano. Poi trovare il “giusto posto” per quelle attività commerciali che in ogni comunità umana hanno una legittima e utile presenza. Mai favorire quelle “centralizzazioni” in poche, adunche mani che non convengono né alla cultura né all’economia. Per fortuna le persone online (comprese quelle arrivate recentemente) non sono “nate ieri” e non sono stupide. Imparano da chi c’era prima – o trovano spontaneamente la loro strada. Scoprono i valori umani, la conoscenza e il dialogo. Quelle realtà fondamentali e vitali senza le quali l’internet non esiste e non ha motivo di esistere.


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loghino.gif (1071 byte) 2. La crescita rallenta?


Solo alla fine dell’anno, o all’inizio del 2002, saremo in grado di capire se c’è davvero un rallentamento nella diffusione della rete – e quali ne sono i motivi. Ma già oggi sembra chiaro che nel 2001, dopo un forte aumento nei due anni precedenti, il numero di “utenti internet” in Italia sta crescendo meno del previsto (vedi la sezione dati).

Non è solo un fenomeno italiano. Un articolo di Kathy Foley pubblicato da Nua il 12 novembre 2001 dice che secondo uno studio di Oftel (l’ente regolatore britannico per le telecomunicazioni) nell’agosto 2001 era online il 39 per cento delle famiglie in Gran Bretagna, rispetto al 40 per cento nel mese precedente. Una variazione dell’1 per cento, specialmente in estate, non è significativa. Ma è la prima volta che si rileva una diminuzione. Non tanto questo dato momentaneo, quanto un esame più approfondito della situazione, rende poco credibile l’ipotesi, dichiarata solennemente da Tony Blair, che «nel 2005 l’internet sarà onnipresente come la corrente elettrica».

Il governo britannico ha progetti energici per estendere la penetrazione dell’internet. La sua intenzione è fare in modo che tutte le scuole e le biblioteche del Regno Unito siano online entro il 2002. Intende anche creare mille centri di formazione e affittare computer a condizioni agevolate a 100.000 famiglie che soffrono di ristrettezze economiche. Ma pare che siano più di due milioni le famiglie che considerano “troppo costoso” attrezzarsi per accedere alla rete.

Il problema, comunque, non è solo economico. Circa un terzo delle famiglie in Gran Bretagna, indipendentemente dal reddito, considera “non interessante” collegarsi all’internet. Alcune fonti (compresa l’autrice dell’articolo) ritengono che uno dei motivi sia l’ancora scarsa disponibilità della “banda larga” (solo lo 0,28 % delle famiglie online in Gran Bretagna ha un collegamento “ad alta velocità” rispetto a una media dell’1,96 % nei trenta paesi dell’Ocse). Che la broadband sia la soluzione di tutti i problemi è un’ipotesi profondamente sbagliata – e l’origine di molti errori che ostacolano uno sviluppo efficiente e utile della rete (vedi Quei grandi tubi pieni di nulla). Per il 99 per cento degli usi della rete la “banda larga” è del tutto inutile – come è inutile avere computer particolarmente potenti o “aggiornati”.

Comunque l’articolo conclude che, indipendentemente dalle disponibilità economiche e dalla qualità dei collegamenti, «dobbiamo accettare il fatto che ci saranno sempre persone non interessate a usare l’internet, non disposte a fare ciò che occorre per essere online».

Uno studio di Harris Interactive negli Stati Uniti rileva che il numero totale di persone che si collegano alla rete (da scuola, da casa, dall’ufficio o da altri luoghi) da un anno è sostanzialmente statico intorno al 64 per cento della popolazione (giova ricordare che la e valutazioni del numero di utenti sono dovunque poco affidabili e generalmente “sovrastimate” – ma ciò che conta in questo caso è che il numero, a parità di metodo di rilevazione, non sia cambiato nel tempo).

In Italia la situazione è diversa perché i numeri sono più bassi. Se ci fosse una “soglia” al 64 per cento (Stati Uniti) o al 40 per cento (Gran Bretagna) ne saremmo ancora lontani, perché la penetrazione dell’internet in Italia è circa il 20 per cento. Invece anche da noi si nota, se non una stasi, una crescita più lenta. (Secondo alcune analisi ci sarebbe una diminuzione, sia pure temporanea: le persone che hanno usato la rete nel settembre 2001 sarebbero meno che in giugno).

Come ho detto all’inizio, è ancora presto per poter fare una “diagnosi”. Ma sembra probabile che i fattori più importanti siano quattro.

  • Una “soglia temporanea”. Tutte le persone che due o tre anni fa avevano in mente di collegarsi l’hanno fatto – incoraggiate anche da “offerte promozionali”. È ragionevole pensare che sia più graduale, perciò più lento, l’afflusso di altre persone che un po’ per volta scoprono l’utilità della rete.


  • Un “clima negativo” nell’area business. In molte imprese c’è delusione o perplessità. Come dimostra il fatto che da più di un anno la crescita è nell’uso “domestico” ma non nei collegamenti “dal luogo di lavoro”.


  • Un effetto “deprimente” dell’informazione più diffusa. L’enorme eco dei cattivi risultati finanziari di alcune grandi imprese del settore si traduce in una generica percezione di “fallimento dell’internet”. Che naturalmente è falsa, ma favorisce comportamenti di disinteresse o di “attesa”. Altrettanto negativa, come sempre, è la grancassa su tecnologismi esagerati od offerte bizzarre che per la maggior parte delle persone sono prive di interesse e scostanti – e fanno perdere di vista quei valori, più semplici e più rilevanti, che rendono davvero utile l’uso della rete.


  • Delusione. Molte promesse non sono mantenute, molti servizi online sono inadeguati. Più alte e “miracolistiche” sono le aspettative, più ci dobbiamo aspettare che siano insoddisfatte e che perciò ci sia una diminuzione degli accessi.

È bene ricordare, comunque, che il numero di “utenti internet” in un dato momento, rispetto a un periodo precedente, è la “somma algebrica” di aumenti e diminuzioni. Ci sono persone che provano mai poi abbandonano l’uso della rete. Quindi anche in una situazione di stasi o di leggera diminuzione c’è un certo numero di persone nuove (che, in quella fase, non supera il numero di quelle che se ne sono andate).

Soprattutto è importante capire che nessun fenomeno sociale ha una crescita continua e inarrestabile. Tutto ha un limite, tutto può avere oscillazioni. Sarà opportuno continuare a osservare le tendenze nei prossimi mesi e anni. Ma intanto si conferma ancora una volta una semplice verità. Le visioni “miracolistiche” e le esagerazioni (in un senso o nell’altro) non giovano a una sana e solida crescita della rete. Solo una visione più concreta, più semplice e più umana può portare a uno sviluppo rilevante e duraturo.


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loghino.gif (1071 byte) 3. Nuovi dati in Europa


Come già detto, dal novembre 2000 gli aggiornamenti sulla situazione dell’internet in Italia, in Europa e nel mondo non si trovano in questa rubrica ma nella sezione dati. Riassumo qui solo alcune delle indicazioni che emergono dai più recenti dati europei.

Ci sono 15 paesi in Europa con più di 300.000 host internet, come vediamo in questo grafico.


Host internet in 15 paesi europei
Elaborazione su dati RIPE – ottobre 2001

grafico


I cambiamenti più rilevanti sono la forte crescita dell’Olanda (anche se non è “certo” che abbia superato la Gran Bretagna e la Germania e sia al primo posto in Europa) e della Russia (che in passato risultava avere poco più di 300.000 host mentre ora ne ha 800.000).

Per quanto riguarda la densità, questa è la situazione nei 20 paesi europei che hanno più di 100.000 host internet.


Host internet per 1000 abitanti
Elaborazione su dati RIPE – ottobre 2001

grafico

Come si era già rilevato in analisi precedenti, l’Italia ha superato la media dell’Europa ma è ancora al di sotto della media nell’Unione Europea.

La mappa dell’Europa, in base alla densità, ora ha assunto questo aspetto.


Host internet per 1000 abitanti
Elaborazione su dati RIPE – ottobre 2001

mappa

Il cambiamento più rilevante, rispetto a qualche mese prima, è il passaggio della Russia dall’area “grigia” a quella “gialla”.

Il prossimo grafico rappresenta, per gli stessi 20 paesi di quello precedente, l’attività in rete in rapporto al reddito.


Host internet in rapporto al reddito (PIL)
Elaborazione su dati RIPE – ottobre 2001

grafico

La posizione dell’Italia, anche da questo punto di vista, è notevolmente migliorata rispetto a due o tre anni fa (anche se non è ancora in proporzione al ruolo della nostra economia in Europa) ed è migliore di quella della Germania e dalla Francia. Si conferma una posizione forte, in proporzione al reddito, dei paesi dell’Europa orientale – in particolare dell’Ungheria e della Polonia. Benché in posizione ancora arretrata, è notevole il miglioramento della Russia.


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loghino.gif (1071 byte) 4. L’Audiweb rimane in letargo


La situazione non è cambiata rispetto a quattro mesi fa. Il progetto Audiweb rimane nel suo lungo e inquieto letargo. Le grandi imprese che investono in pubblicità sono sempre meno interessate all’internet. È vistoso il loro “sollievo” nel costatare che i tanto sbandierati mutamenti non ci sono e che rimane dominante l’uso dei mezzi pubblicitari tradizionali. Anche le varie iniziative private per la “misurazione della pubblicità online” sono poco attive. Molte sono scomparse dalla scena, le poche ancora presenti hanno un tono sommesso e dimesso.

Sono circolati “libelli” semiclandestini con violente polemiche riguardanti l’Audiweb (l’ente interassociativo di coordinamento che dovrebbe definire uno standard accettato da tutti per la misurazione della cosiddetta audience, come l’Auditel per la televisione, l’Audipress per la stampa, eccetera). Quelle diatribe non meritano attenzione perché sono palesemente di parte – cioè scritte o ispirate da qualcuno che non ha ottenuto ciò che voleva. Confermano che, oltre alle ovvie difficoltà tecniche, molti problemi derivano da contrasti e conflitti fra i venditori di pubblicità (ognuno dei quali vorrebbe un metodo favorevole ai suoi interessi) e fra i fornitori di servizi in concorrenza fra loro per avere la gestione delle verifiche.

La cronaca dei fatti conferma che il progetto, nato nel 1997, si è ripetutamente insabbiato. Dopo varie vicissitudini è stato chiuso, ricostruito su nuove basi nel 2000, di nuovo fallito, riproposto in modo diverso nel 2001 – ma (almeno finora) senza alcun esito pratico.

Da questa bizzarra vicenda emergono due constatazioni. La prima è che “misurare l’internet” è tutt’altro che facile – specialmente se si tenta di valutare la rete secondo i criteri dei mezzi tradizionali. La seconda è che gli operatori del settore (come risulta anche da molti altri fatti) non hanno alcuna visione strategica, non hanno prospettive di medio o lungo periodo, si affannano in una bagarre concorrenziale che tende a risolversi in un suicidio collettivo. E, quel che è peggio, non imparano dai loro errori e alle strategie fallite ne sostituiscono altre ugualmente confuse, in una continua altalena di false promesse e di inevitabili delusioni.

Com’era evidente fin dall’inizio, l’Audiweb è sostanzialmente inutile perché usare la rete come “un altro mezzo pubblicitario” è un modo radicalmente sbagliato di affrontare il problema e perché la “misurazione” dei risultati è molto più efficace nell’esperienza diretta che sulla base di dati generale di “audience” (poco rilevanti nel caso delle attività online).

Tuttavia il fallimento dell’Audiweb non è una buona notizia. Poiché esiste nelle imprese l’abitudine di “avere numeri”, anche quando sono inutili, sarebbe meglio se ci fosse un unico sistema condiviso (probabilmente imperfetto ma potenzialmente migliorabile) anziché un confuso affollamento di fonti diverse e in disaccordo fra loro. La mancanza di un “sistema di misura” non è la causa del mancato sviluppo della pubblicità online, ma è un sintomo di quei disagi e disordini che c’erano fin dall’inizio della furibonda e disordinata concorrenza fra i molti e mal progettati tentativi di “centralizzare” la rete e che, nonostante l’evidente fallimento di quel modo di pensare e di fare, continuano a ripetersi.


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loghino.gif (1071 byte) 5. La “stasi” della pubblicità


La pubblicità, in generale, non sta crescendo. Le proiezioni “prudenti” che erano state fatte in marzo sono smentite dai fatti: finora nell’anno 2001 in Italia c’è “crescita zero”, se non diminuzione. Potrebbe esserci una parziale ripresa nel secondo semestre, ma non è ancora possibile capire se arriverà a raggiungere o superare il livello dell’anno precedente. C’è una maggiore negoziabilità dei prezzi – e anche una diminuzione dei listini (in sostanza un “rientro” rispetto ai prezzi alti, e poco“trattabili”, che derivavano da un eccesso di domanda nell’anno precedente).

Questa evoluzione era prevedibile e (nonostante i piagnistei di chi vende pubblicità e ha un fatturato inferiore alle previsioni) non è una “crisi”, ma solo un assestamento dopo la forte crescita del 2000 (“gonfiata” da incauti ed esagerati investimenti nei settori della cosiddetta “nuova economia”).

Il problema non è solo italiano. Come è noto, c’è una significativa diminuzione degli investimenti pubblicitari negli Stati Uniti (dovuta in parte allo sgonfiamento della “bolla” nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione) – e anche in Europa. Secondo uno studio di Zenith Media questa è la situazione degli investimenti pubblicitari nel 1999-2000 e una “proiezione” per il 2001 nei cinque più grandi paesi dell’Unione Europea (in milioni di euro).

  1999 2000 Variaz.
%
2001 Variaz.
%
%
su PIL
Germania 18.506 19.595 +  5,9 18.817 – 4,0 0,9
Gran Bretagna 15.916 17.630 + 10,8 17.165 – 2,6 1,2
Francia 9.256 10.333 + 11,6 10.425 + 0,9 0,7
Italia 7.019 7.957 + 13,4 8.211 + 3,2 0,6
Spagna 5.046 5.658 + 12,1 5.591 – 1,2 0,7

Le situazioni, ovviamente, non sono omogenee – ma si nota dovunque una fase di assestamento nel 2001 dopo un incremento “anomalo” nell’anno precedente. Con una forte crescita nella seconda metà degli anni ’90 l’Italia si è avvicinata a un livello “europeo” – ma (come indica la percentuale rispetto al reddito) rimane ancora un po’ arretrata. Non è chiaro, per ora, se nel 2001 in Italia ci sarà un aumento, come quello indicato da questi dati, oppure una diminuzione come nella maggior parte degli altri paesi. Comunque siamo lontani da quella crescita del 6,7 per cento che all’inizio dell’anno sembrava una proiezione “prudenziale”.

Secondo la stessa fonte, questi sarebbero i dati (milioni di euro) per la pubblicità online (“internet”).

  1999 2000 Variaz.
%
2001 Variaz.
%
% su
totale
Gran Bretagna 89 173 +  94 231 + 33 1,3
Francia 79 213 + 170 224 +  5 2,1
Germania 77 153 +  99 162 +  8 0,9
Italia * 27 77 + 185 88 + 14 0,9
Spagna 15 53 + 253 88 + 66 1,6
* Secondo informazioni locali non c’è alcun aumento in Italia nel 2001
– anzi sembra più probabile una diminuzione

Può essere utile ricordare che circa metà (se non più)
delle spese in pubblicità online sono “partite di giro”
(cioè chi compra è a sua volta venditore di pubblicità)
e quindi le cifre riguardanti questo settore dovrebbero
essere dimezzate per avvicinarsi a stime realistiche.


L’attendibilità di questi dati è discutibile – ma emergono abbastanza chiaramente due fatti. Nel 2000, in tutti i paesi, c’è stata una crescita elevata in percentuale (ma su basi molto piccole) seguita da un forte rallentamento nel 2001. Comunque la pubblicità online è una parte minuscola degli investimenti complessivi.

Questa appare come una catastrofe agli occhi di chi aveva fatto previsioni esagerate. Ma non è una sorpresa per chi osservava la situazione in modo più concreto. Per affrontare la “crisi” si sono pensati rimedi peggiori del male (come l’uso di “banner” più vistosi e invasivi e perciò ingombranti e fastidiosi).

Ci sono possibilità di crescita per tutto ciò che riguarda l’internet, compresa la pubblicità online, ma richiedono un cambiamento sostanziale nel modo in cui le imprese concepiscono l’uso della rete.

 

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