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Africa viola

- FEDERICO DE MELIS 

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NEI CINQUE anni che seguirono la fine della guerra, Cesare Pavese ed Ernesto de Martino lavorarono insieme alla realizzazione, per la casa editrice Einaudi, della famosa "collana viola". Attraverso di essa intendevano sprovincializzare la cultura italiana, stretta tra idealismo crociano (con variante marxista) e pensiero cattolico, introducendovi un'affilata selezione di studi religiosi, etnologici e psicologici europei. Era un grande azzardo, dopo l'ecatombe nazista, perché molti di quei testi facevano parte di un irrazionalismo che vedeva nel mito la chiave di volta della storia e della realtà, e che a quell'ecatombe aveva fornito,
sebbene in modi obliqui o - secondo l'espressione di Furio Jesi - "segreti", le premesse culturali. Non era cosa da poco, e poteva sembrare una provocazione, portare nelle nostre biblioteche subito dopo la liberazione un Lévy-Bruhl, un Frobenius o un
Mircea Eliade, il quale ultimo si era per di più "onorato" delle insegne della guardia di ferro.
 

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Convegno su Ernesto De Martino nella cultura europea
- De Martino e Cesare Pavese
- Il tarantismo dopo De Martino
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Ma intorno alla "collana viola" tra
Pavese e de Martino non c'era propriamente un sodalizio. Fu anzi un rapporto conflittuale, più o meno sottotraccia, in cui precipitavano contraddizioni, dubbi, colpevoli arrendevolezze e puntate di orgoglio d'una cultura comunista molto più mossa di quanto non abbia fatto credere, negli ultimi anni, la polemica di Ernesto Galli della Loggia. Il braccio di ferro tra l'autore dei Dialoghi con Leucò e quello del Mondo magico (primo titolo, peraltro, della collana, datato 1948) è stato raccontato nel '91, con dovizia documentaria e acume saggistico, da Pietro Angelini, in un libro Bollati Boringhieri dove pubblicava le lettere tra i
due sulle scelte editoriali da farsi. Ne sortivano chiarissimi i termini: da una parte de Martino, più implicato, sebbene criticamente,
nelle vicende del Pci (che ambiva indubbiamente a una egemonia sulla Einaudi), il quale riteneva di dover presentare i testi
irrazionalisti con introduzioni "profilattiche", che ne sottolineassero i pericoli politico-culturali; dall'altra Pavese, redattore della
casa editrice torinese, che soggiogato dal magismo e dal mito, com'è chiaro dal suo lavoro letterario di quegli anni, considerava
quella una politica da "pretini", e suggeriva di limitare gli apparati per dare il più possibile liberi e parlanti i testi in questione. La
pedagogia marxista si scontrava con un modo all'apparenza più sciolto e indipendente, ma forse, in realtà, coinvolto in oscuri
traffici con la morte, mascherati da letteratura (lo stesso Angelini ha suggerito di riconsiderare la vicenda della "collana viola" dopo la "scoperta" dei taccuini "fascisti" di Pavese).

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