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IL CONVEGNO SU ERNESTO DE MARTINO NELLA CULTURA EUROPEA Pag. 1 di 2 di Amalia Signorelli * La Associazione Internazionale Ernesto de Martino ha promosso e organizzato un Convegno di Studio su "Ernesto de Martino nella cultura europea", che si è svolto dal 29 novembre al 2 dicembre 1995, con una sessione di apertura a Roma e cinque sessioni di prosecuzione dei lavori a Napoli. Il Convegno, promosso in occasione del trentennale della morte dell'insigne studioso napoletano, ha avuto, a detta dei partecipanti e degli osservatori, le caratteristiche di un evento speciale. Non spetta a me ribadire questo giudizio, poiché dell'evento stesso sono stata parte scientifica e organizzativa. Credo però di non violare nessuna regola di modestia se tento di tracciare qui la cronaca di quell'evento. Primo dato rimarchevole: tra le grandi istituzioni scientifiche che hanno contribuito alla realizzazione del Convegno, dal CNR alla Università di Roma "La Sapienza", mi sembra particolarmente significativa la convergenza che si è creata a Napoli tra Università "Federico II", Istituto Universitario Orientale e Istituto Italiano per gli Studi Filosofici da un lato ed Enti locali, segnatamente Comune e Regione, dall'altro. Mi piace pensare che questo impegno convergente abbia un valore anche simbolico, e molto demartiniano: la città, impegnata nello sforzo tremendo di elaborare il lutto del suo "cattivo passato" e di costruire un futuro che trascenda quell'orrendo passato secondo valori nuovi, riscopre e recupera un troppo presto dimenticato protagonista della sua più nobile tradizione intellettuale e morale. |
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Secondo dato degno di nota: considerato il carattere
specialistico del Convegno, si è registrata una sorprendente affluenza
di pubblico, accademico e soprattutto di giovani, napoletano, ma anche
proveniente da ogni parte d'Italia e dall'estero. Anche questa affluenza
può spiegarsi in termini demartiniani, anzi nei termini di uno degli
insegnamenti di Benedetto Croce a cui de Martino rimase più saldamente
fedele: ogni storia è storia per il presente, ogni volta che ci dedichiamo
all'analisi e alla ricostruzione del passato, è sempre la risposta
ad un problema del presente, quella che cerchiamo. Se è vero questo
assunto, allora il risvegliarsi di un interesse così consistente e
diffuso per l'opera di Ernesto de Martino testimonia di una diffusa
fiducia nella possibilità che quell'opera valga ancora oggi, per i
problemi che abbiamo di fronte. Anticipando, dirò subito che sì, questa
attualità indiscutibile di de Martino è una delle conclusioni più
rilevanti a cui i lavori del Convegno sono pervenuti, ma al tempo
stesso mi pare che sia emersa con uguale forza una conclusione di
ordine più generale: come bene ha detto Carlo Tullio Altan, de Martino
appare oggi "nella sua autentica qualità di Bahnbrecher, di iniziatore
di una nuova tradizione". Gli ha fatto eco Carles Feixa Pampols definendo
de Martino "l'asse" di "una ricchissima tradizione nazionale (italiana)
di studi antropologici", mentre George R. Saunders ha mostrato come
de Martino avesse lucidamente individuato e superato, mezzo secolo
fa, le aporie del naturalistico evoluzionismo positivista e quelle
dell'astorico relativismo culturale, tra le quali si dibatte ancora
la pur tanto celebrata antropologia statunitense: sicché non resta
che rammaricarsi per loro, quando si constata che l'incontro con Ernesto
de Martino è per gli americani ancora oggi un incontro mancato. "De
Martino è senz'altro il classico precursore dimenticato" secondo Thomas
Hauschild, che rimpiange che Turner e Geertz non lo abbiano letto
o comunque non abbiano utilizzato la sua lezione. Giustamente, Hauschild
si è chiesto le ragioni di questa generalizzata ignoranza, e la sua
risposta, polemicamente esplicita, merita di essere riportata per
intero: "L'antro-pologia dei vincitori aderiva al naturalismo. Antropologi
inglesi e americani, avendo svolto le loro ricerche nel campo di Ernesto
de Martino, potevano permettersi di ignorare l'Italiano ...(e) la
sua decostruzione delle stereotipie del discorso anglosassone e tedesco
sull'Italia... Tutto ciò mi sembra collegato alla dislocazione del
potere nel Mediterraneo,...ai limiti della libertà del pensiero antropologico,
segnati dai fantasmi e dagli arabeschi del potere". |