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Africa viola

FEDERICO DE MELIS 
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Il casus belli tra lo scrittore e l'antropologo scoppiò sulla pubblicazione (1950) della Storia della civiltà africana che Leo Frobenius (1873-1938) aveva dato alle stampe in Germania nel fatidico 1933. E l'occasione dell'articolo che state leggendo è un altro titolo del grande africanista tedesco, che vede la luce oggi per merito di Adelphi: Fiabe del Kordofan (pp. 388, L. . 46.000), l'"inserto" forse più prezioso e suggestivo di quell'opera sterminata dal titolo Atlantis, pubblicata tra il '21 e il '28, che ancora oggi rappresenta il repertorio per eccellenza delle favole africane. Ma torniamo al dissidio tra Pavese e de Martino: quello si pronuncia senza mezzi termini contro le "dieci pagine di mani avanti e di proteste antifasciste" rappresentate dalla introduzione alla Storia della civiltà africana chiesta a Ranuccio Bianchi Bandinelli, spezzando piuttosto una lancia in favore di
"una rigorosa e tagliente noticina bio-bibliografica"; de Martino risponde di non ritenere sufficente "una semplice delucidazione filologica", e invece necessaria "una introduzione impegnativa che vaccini dai pericoli". Com'è indubbiamente il testo di Bianchi Bandinelli, molto più allarmato e fosco rispetto ad altri suoi famosi sul tramonto dell'umanesimo: Frobenius vi è assimilato addirittura a Sartre, ad Henry Miller, tutti "distruttori della ragione", al pari dell'arte dada e automatica, "così di moda negli studi à la page della 57ma strada est di New York"...

 

 

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Ma Frobenius? Bianchi Bandinelli distingue due momenti nell'opera dell'africanista, la ricostruzione della civiltà africana e la
"morfologia storica" che ne deriva. Se il primo offre una messe di documenti preziosi per la storia (che hanno per esempio chiarito l'origine preistorico-africana di gran parte della civiltà faraonica, o individuato importanti analogie tra alcuni miti astrali e cosmici orientali e pre-ellenici ed altri della preistoria europea), il secondo fa perno su "forze oscure e profonde" quali motrici della cultura. Per Frobenius non è un processo utilitaristico, cioè razionale, che solleva l'uomo dallo stato animalesco, ma quel
"regno" rappresentato dal mito, rispetto a cui l'uomo non è protagonista ma passivo strumento: è il preistorico "commosso"
dinanzi al "nume" il primo anello della civiltà. Frobenius vede in questo momento sorgivo la realtà, e lo sviluppo successivo come una caduta alienante verso l'odierna civiltà "meccanica e materialista". E se questo approccio si opponeva sia all'evoluzionismo che al naturalismo storico-culturale, entrambi in profonda crisi metodologica, lo faceva con una inquietante "evasione" irrazionalista, fondata non sulla conoscenza storica ma sull'intuizione, e sulla fede nel proprio personale inserimento entro "il magico ciclo della mentalità primitiva": lo stesso Frobenius, del resto, che aveva la protezione di Guglielo II in persona,
si sentiva parte viva dell'antico misticismo germanico.

Leggendo ora le Fiabe del Kordofan, che lui raccolse nel 1912 da alcuni cammellieri di El Obeid nel Sudan, il fosco orizzonte della sua "morfologia storica" si schiarisce, lasciando luogo a una pura e fresca favolistica che ha molto in comune con la più antica versione - egiziana - delle Mille e una notte. Al truce mitologismo che come una nera coperta avvolge l'Europa occupata dai tank nazisti, si sovrappone un vivace e azzurro oriente, sortito da quella regione mediana del corso del Nilo chiamata Kordofan, e definita da Frobenius "la terra trasognata" per la sua visione "piatta" e immemore. Il ricco patrimonio favolistico di quella landa sabbiosa rotta dalle acacie è dato, nell'edizione Adelphi, senza alcun riferimento storico a colui che lo raccolse, Leo Frobenius, semplicemente definito "il più grande africanista del nostro secolo", e alla sua opera, solo elencata nei titoli più importanti, e omettendo che Kulturgeschichte Afrikas è già uscito in Italia, appunto nella "collana viola" (e poi riproposto da Bollati sei anni fa). Ma l'anima-Pavese di quella collana è forse l'origine "segreta" della diaspora dalla Einaudi che, via
Bollati-Boringhieri, avrebbe poi partorito la casa editrice di Calasso. Però lo scrittore piemontese, pur perso nelle magie bianche
e nei sanguinari riti solari, non avrebbe avuto timore di una "noticina bio-bibliografica", pure "tagliente" e "rigorosa", che spiegasse da che cielo son piovute a noi italiani, nel maggio 1997, le affascinanti Fiabe del Kordofan. 
 

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