Parlangeli, G. Rohlfs. 
			Questo volume raccoglie i lamenti funebri (Morolòja), il "modo 
			di piangere controllato" per "facilitare 
			l'allontanamento del morto", "per onorare la memoria", "per impedire 
			il ritorno", espressi dalle préfiche (in latino répute) 
			che venivano in genere dal vicinato (in greco ghetonìa), e 
			potevano anche significare il conflitto tra il morto e Caronte al 
			momento del trasbordo, che si chiamava Charopàlema, volume 
			antologico, perchè i sessantanove canti riuniti: di pianto, 
			42, dei quali ventotto in "grico" e quattordici in dialetto salentino; 
			e d'amore, 27, dei quali quattordici in "grico" tradotti in lingua 
			e tredici in dialetto salentino non tradotti, con note esplicative 
			in calce, sono tratti da testi di M. Cassoni, G. Morosi, D. Tondi, 
			Maria Corti, Irene M. Malecore, G. Aprile, D. Romano, ma trentasei, 
			sono stati raccolti direttamente da Brizio Montinaro che si è 
			avvalso, specie per i "lamenti", "dell'aiuto di Luigi Chiriatti". 
			
			Il dilettantismo è superato dal desiderio di approfondire particolari 
			argomenti incontrati nel corso dell'esame di argomenti generali, come 
			ad esempio il "tarantismo", punto da cui mosse E. De Martino per la 
			terra del rimorso, che analizzò <<la festa dei Ss. Pietro 
			e Paolo (29 giugno), quando cioè i tarantati affluiscono dai 
			vari paesi del Salento alla cappella della guarigione ottenuta durante 
			la cura domiciliare>>. 
			Montinaro, nel 1974 era tornato a Galatina per controllare se essa 
			fosse deserta di "tarantati", come aveva previsto De Martino nel 1959 
			e aveva rilevato statisticamente che, salvo una lieve flessione, S. 
			Paolo era ancora considerato lo "psicanalista" dei tarantati. Si è 
			dato perciò allo studio della presenza etnologica del serpente 
			e nella sua valenza etologica nella superstizione di particolare popolazione 
			in particolari territori, proponendo agli studiosi specialisti ed 
			ai cultori delle credenze religiose, l'ultimo prodotto della sua ricerca 
			non più dilettantesca. 
			San Paolo dei serpenti, Analisi di una tradizione (Sellerio ed., Palermo, 
			1996, pp. 144), inserito come 
			88° volume della prestigiosa collana "La diagonale", con l'avallo 
			di Alfonso M. Di Nola che conclude 
			l'ampia prefazione, giudicando il lavoro di Montinaro <<un contributo 
			non approssimato, serio e 
			fondamentale per le analisi delle dialettiche di taumaturgie di santità 
			che in Francia e in Italia da molte parti si vanno tentando>>. 
			Dal racconto di S. Luca in Atti degli Apostoli, di S. Paolo morso 
			da una vipera senza essere avvelenato 
			mentre si trovava a Malta, nasce il culto per il santo che diventa 
			il vincitore di Satana, figurato nella vipera, e il protettore di 
			coloro che siano morsi da serpenti o dalla taranta, anche attraverso 
			l'acqua di alcuni pozzi 
			sacri al santo. Questo culto, da Malta si estese in tutta la parte 
			meridionale d'Italia, specie in Sicilia, in 
			Calabria, in Puglia dove è particolarmente radicato a Galatina 
			e anche a Copertino, come ha dimostrato 
			Giulietta Livraghi Verdesca Zain in Tre Santi e una campagna (Laterza, 
			1995). 
			La tradizione paolina, col passare del tempo ha ampliato l'area del 
			suo patronato, da quello dei serpenti e delle tarante, alla siccità 
			alle febbri maligne, alla dissenteria, oltre che assegnare una patina 
			di cristianizzazione alle pratiche magiche antiofidiche e a quelle 
			coreutico-musicali del tarantismo, oltre che alla sacralità 
			paganeggiante dell'acqua e della terra con qualità medicinali. 
			C'è infine, un espresso desiderio di conciliare la cultura 
			popolare-folklorica con quella ecclesiastica-dotta. 
			Il libro di Montinaro, di dotta ricerca e vasta bibliografia, mi ha 
			richiamato alla mente una lontana lettura ginnasiale: Il Voyage autour 
			de ma chambre, nel quale Xavier de Maistre descriveva i quarantadue 
			giorni di arresti militari assegnatigli nel 1794. A parte l'immaginazione 
			che lo fece uscir fuori dalla sua prigione, egli descriveva con precisione 
			scientifica tutto l'aspetto della stanza, fino alla longitudine e 
			alla latitudine. La Grecìa Salentina, mi è parsa la 
			"stanza" di Montinaro, il quale è andato via via in profondità 
			nel ricercare le 
			ragioni storico culturali delle tradizioni e credenze, abbandonando 
			la descrizione in orizzontale di quelle 
			ormai affidate alla storia del folklore. 
			  
		  
Tratto da: 
			http://utenti.tripod.it/Montinaro/html/quotidiano.html