[Sezione per addetti ai lavori]
Il termine dissociazione, traduzione inglese da parte
di William James dell'originale termine "desagregation" proposto
da Pierre Janet nel 1889 (Lapassade, 1996), è stato per decenni
utilizzato solo relativamente alla frammentazione dell'esperienza
propria delle psicosi.
In origine si riferiva, invece, alla concezione
della mente umana come naturalmente frammentata, tale per cui il
naturale senso di individualità proprio dell'uomo sarebbe
l'esito di un'attività sintetica della mente (Lapassade, 1996).
Quello che oggi viene chiamato "modello traumatico" di
Janet prevede che il senso dell'unitarietà della persona risulti
alterato dall'incontro con esperienze traumatiche che producono stati
mentali e parti della persona dissociate (Bremner, Marmar, 1998).
La riscoperta del modello traumatico e con esso del concetto di dissociazione
ha comportato l'impiego di esso in una tale varietà di contesti
che, per alcuni autori, è diventato inutilizzabile (Carlson,
Dalemberg, 2000). Nella sua accezione più ampia il termine
dissociazione «significa semplicemente che due o più processi
o contenuti mentali sono non associati o non integrati. Solitamente
si assume che questi elementi dissociati dovrebbero essere integrati
nella consapevolezza cosciente, nella memoria e nell'identità»
(Cardeña, 1994). Di taglio differente l'interpretazione di
Briere, che intende per dissociazione ogni esclusione a scopo difensivo
di materiale disturbante (Berliner, Briere, 1999), e similmente Nemiah
(1991) propone che la dissociazione si riferisca ad una «esclusione
dalla consapevolezza ed alla inaccessibilità al recupero volontario
degli eventi» (da Lyn, Rhue, 1994). In queste ultime accezioni,
però, una quantità di processi mentali i più diversi
sarebbero tutti nominati con lo stesso termine, escludendo anche
la possibilità, nella concezione di Briere, che si possano
originare fenomeni dissociativi anche in assenza di scopi difensivi,
per esempio in coincidenza di gravi traumi che travolgono le capacità di
modulazione delle emozioni, ovvero per motivazioni strettamente psicobiologiche.
Sono stati dati molti altri significati alla dissociazione
che, seguendo Cardeña (1994), possiamo riassumere nel modo
seguente:
1. Per caratterizzare sistemi o moduli
mentali semi-indipendenti che non sono accessibili consapevolmente
e/o non sono integrati all'interno della memoria cosciente, dell'identità e
della volizione:
- dissociazione come l'assenza di consapevolezza per le percezioni
ed i comportamenti che avvengono senza consapevolezza (ad esempio,
la percezione di stimoli subliminali, guidare con il "pilota
automatico", etc.). Come giustamente nota Cardeña,
però, «l'etichettamento di ogni comportamento di consapevolezza
periferica, comportamento automatico, attenzione divisa, distrazione,
processo preconscio, percezione implicita e così via come dissociativo,
sovraestende il termine, in quanto include la quasi totalità dei
processi coinvolgenti la nostre funzioni esecutive e di monitoraggio
mentali non coscienti. Un tale modo di considerare la dissociazione
trascura se l'individuo può rendere cosciente uno stimolo
o un comportamento, e se l'abilità di farlo sia attesa
come una ordinaria capacità percettiva e di processamento
delle informazioni. Se proprio si vuole utilizzare il termine
di "dissociazione" per queste attività, allora
si tratta di un tipo di dissociazione normale, ecologica e molto
diversa dai fenomeni dissociativi implicati nella psicopatologia.
Nel caso dei processi intrinsecamente esclusi dalla percezione
cosciente si ha semplicemente a che fare con il normale processamento
delle informazioni da parte della mente umana, che funziona attraverso
moduli esecutivi virtualmente indipendenti.
- La coesistenza di sistemi mentali separati o identità che
dovrebbero essere integrate nella consapevolezza, nella memoria
o identità della persona.
- La presenza di percezioni strane o di comportamenti che sono
dissonanti rispetto alla valutazione introspettivo della persona.
2. Come una modificazione della coscienza,
dove l'individuo o alcuni suoi aspetti diventano disconnessi o disinnestati
l'uno dall'altro, in un modo simile a come la dissociazione viene
intesa dal DSM-IV: «Alterazione marcata delle funzioni usualmente
integrate della coscienza, memoria, identità o percezione
dell'ambiente. L'alterazione può essere improvvisa o graduale,
transitoria o cronica» (American Psychiatric Association, 1994).
3. Come meccanismo di difesa
Rimando
alla letteratura per approfondimenti ulteriori sulle complesse
diatribe relative al concetto di dissociazione (Bremner, Marmar,
1998; Hacking, 1995; Hilgard,1991, 1994; Krystal et al., 1998,
Lapassade, 1987-1990, 1996; Liotti, 1993, 1994; Lynn, Rhue, 1994;
Maldonado, Spiegel, 1998; Michelson, Ray, 1996; Phillips, Frederick,
1995; Nemiah, 1998; Pennati, 1995a, b; Reviere, 1996; Singer, 1990;
Van der Kolk, Fisler, 1995, Van der Kolk, Pelcovitz, Roth, et al,
1996; Watkins, Watkins, 1997; Williams, Banyard, 1999), soffermandomi
sinteticamente sull'utilizzo del termine dissociazione che verrà fatto
in questa sede. Il termine "dissociazione" verrà utilizzato
per riferirsi a: una modificazione dello stato di coscienza connessa
ad esperienze altamente stressanti. Tale modulazione della consapevolezza
può avere a) carattere volontario (difesa) e/o b) totalmente
involontario, come esito del soverchiamento delle capacità di
modulazione delle emozioni, in particolare in presenza delle esperienze
critiche previste dal criterio A1 del DSM-IV, ovvero rischio di danno
grave o di morte per sè o per persone affettivamente vicine.
Volontarietà ed involontarietà della dissociazione
si collocherebbero su un continuum; ad un estremo si pone la dissociazione
prodotta volontariamente per sottrarsi (nell'immediatezza della situazione
o successivamente) ad una situazione stressante, sull'altro estremo
la dissociazione come frammentazione della capacità attentive
ed autoregolative dell'organismo. La memorizzazione avvenuta in coincidenza
di questi avvenimenti è codificata - almeno parzialmente ed
ab origine - in modo marcatamente stato-dipendente e potenzialmente
frammentato (Pope, Brown, 1996); può essere difficilmente
accessibile con lo sforzo volontario o, al contrario, fortemente
intrusiva; la combinazione di iperassociazione e dissociazione, infatti, è di
frequente riscontro nel PTSD (Van der Kolk, Burbridge, Suzuki,
1997).
In questa sede si intende per dissociazione anche quanto
prodotto con tecniche ecologiche di modulazione della coscienza (trance
ipnotica, meditazione, dilatazione transpersonale della
coscienza, etc.): può essere incrementata la separazione e
la dis-integrazione fra moduli di elaborazione delle informazione
e di emissione comportamentale. In questi casi, però, la "dissociazione" non
viene prodotta da emozioni fortemente disturbanti, soverchianti la
capacità di modulazione delle emozioni, o come strategia di
difesa verso emozioni disturbanti, o da alterazioni biochimiche patologiche,
ma si tratta della modificazione del normale funzionamento settorializzato
della mente umana, che viene modificato, amplificato, modificato,
ma in modo ecologico e reversibile, anche quando ci consente di sperimentare
l'illusorietà
del senso di coesione del Sè (Varela, Thompson, Rosh, 1991).
Questa concezione di dissociazione non include i fenomeni
spontanei o ecologici di apparente dissociazione, quelli in cui parti
modulari della mente gestiscono con perfetta efficienza comportamenti
umani, apparentemente senza alcuna volizione, come nel consueto esempio
della guida in automobile con il "pilota automatico", mentre
altre parti della mente si occupano di tutt'altro; in quest'ottica,
per esempio, tutto il comportamento motorio automatizzato sarebbe
dissociato.
In sintesi, l'apparente dissociazione delle attività elaborative
ed esecutive dell'uomo è il normale modo di funzionamento,
abitualmente parzialmente occultato da un illusorio senso del sè.
La dissociazione è invece un'alterazione di questo abituale
funzionamento (con la conseguente alterazione del senso di continuità del
Sè nel tempo e nello spazio) causato da alcuni titpi di situazioni:
1) situazioni traumatiche che sopraffanno le capacità attentive,
elabarative e di modulazione delle emozioni; 2) stati modificati
di coscienza, autoiondotti o eteroindotti, prodotti in modo ecologico
o con sostanze tossiche. 3) è possibile che modificazioni
autoindotte dello stato di coscienza possano essere prodotte al fine
di segregare in unità mentali scisse parte dei ricordi, sotto
forma di sensazioni, emozioni, cognizioni, schemi di comportamento,
che possono assumere la configurazione di sottopersonalità relativamente
indipendenti dal resto della persona (Watkins, Watkins, 1997). Al
fine del mantenimento di tali dissociazioni possono contribuire anche
meccanismi di repressione e di evitamento e, in generale, meccanismi
di esclusione delle informazioni.
Il senso di coesione del Sè appare allora una
realtà all'interno delle consuete coordinate spazio-temporali,
ed all'interno di consueti equilibri biochimici. Attraverso l'impiego
di particolari dispositivi come la meditazione vipassana, che incrementano
enormemente la capacità attentiva e dilatano la consapevolezza,
il Sè appare quindi come assolutamente discontinuo, una frammentazione
assoluta cementata dal senso, insostanziale, di sostanzialità del
Sè. Anche la percezione di un "osservatore nascosto",
deus ex machina decaduto dell'attività mentale, viene colto
nella sua intrinseca insostanzialità, frammentarietà ed
illusorietà (Giannantonio, Pennati, 1995; Varela, Thompson,
Rosh, 1991; Welwood, 1979; Wilber, Engler, Brown, 1986)
Questa posizione si discosta rispetto ad una delle
più diffuse concezioni sulla dissociazione, ovvero
che esista un continnum sulla dimensione dissociativa. è
però vero che alcuni autori dubitano sull'esistenza di questo
continuum, e che fra la dissociazione dei Disturbi
Dissociativi o di altre patologie sembra esistere una differenza
qualitativa rispetto alla dissociazione della vita di tutti i giorni
(Ray, 1996; Vanderlinden, van der Hart, Varga, 1996). |