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Kali

Il potere della stupidità


di Giancarlo Livraghi
gian@gandalf.it
giugno 1996
 
Traduzione italiana settembre 2001
revisione e aggiornamento ottobre 2006

 



Questo articolo era stato scritto in inglese nel 1996, per un sito online americano, che mi aveva chiesto alcune osservazioni sul tema della stupidità umana. Di The power of stupidity era stata fatta nel 1998 una traduzione spagnola. Ma non avevo mai trovato il tempo, né sentito la necessità, di farne una versione italiana – fino a quando varie persone me l’hanno chiesta con una certa insistenza. Così è uscita nel settembre 2001.

Questa versione è un po’ modificata, anche in relazione a vari testi successivi sullo stesso argomento (vedi indice). Ma la sostanza è essenzialmente la stessa.

Il tema è sviluppato più ampiamente in un libro, in italiano e in inglese.

L’analisi della stupidità può far parte di una più estesa area di studio sui motivi per cui tante cose vanno molto peggio di come dovrebbero (vedi a questo proposito una breve sintesi in Murphy, Parkinson, Peter e Cipolla). Ma si può inquadrare l’argomento anche in senso inverso. Tutti i fenomeni che portano a decisioni sbagliate sono classificabili come forme di stupidità – e nessuno ha effetti così devastanti come la stupidità umana.




Sono sempre stato affascinato dalla stupidità.

La mia, naturalmente. E questa è già una grossa fonte di preoccupazione.

Ma le cose si complicano molto quando abbiamo l’occasione di scoprire come persone potenti e influenti prendono “grandi” decisioni con “grandi” conseguenze.

Tendiamo spesso ad attribuire decisioni sbagliate (o catastrofiche) a intenzionale perversità, astuta cattiveria, megalomania, eccetera. Questi comportamenti ci sono – e in esagerata abbondanza. Ma un attento studio della storia (come degli avvenimenti in corso) porta all’inevitabile conclusione che la principale causa di terribili errori è una: la stupidità.

Questo è un fenomeno abbastanza noto. Uno dei modi in cui è riassunto è il cosiddetto Rasoio di Hanlon: «Non attribuire a consapevole malvagità ciò che può essere adeguatamente spiegato come stupidità». Il concetto è stato ribadito da Robert Heinlein in una frase ancora più semplice: «Non sottovalutare mai il potere della stupidità umana».

L’origine di Hanlon’s Razor è un po’ misteriosa. È considerato un corollario della cosiddetta “legge di Finagle” (Finagle’s Law of Dynamic Negatives) che somiglia alla “legge di Murphy”. Si ispira al classico “Rasoio di Occam” (ed è altrettanto tagliente). Non si ha notizia di un autore chiamato Hanlon – probabilmente è una variazione fonetica sul nome di Robert Heinlein, che aveva fatto quella constatazione nel suo romanzo Logic of Empire (1941).

Quando la stupidità si combina con altri fattori (come succede spesso) l’effetto può essere devastante.

Una cosa che mi sorprende (o forse no?) è quanto poco studio si dedichi a un argomento così importante. Ci sono dipartimenti universitari che si occupano delle complessità matematiche dei movimenti delle formiche in Amazzonia o della storia medievale dell’isola di Perim. Ma non mi risulta che ci siano cattedre di stupidologia.

Ho trovato pochi buoni libri sull’argomento. Fra cui tre che meritano, in particolare, di essere citati.

C’è un librio che ho letto quando ero un ragazzino – e non ho mai dimenticato. Si chiama A Short Introduction to the History of Human Stupidity di Walter B. Pitkin della Columbia University ed era stato pubblicato nel 1934. L’avevo trovato per caso, molti anni fa, in uno scaffale di vecchi libri, E, per fortuna, ce l’ho ancora. Vecchio com’è, è ancora un buon libro. Molte delle osservazioni del professor Pitkin sono di grande attualità dopo più di settant’anni.

Viene spontanea una domanda: perché un libro di 300 pagine si chiama “breve introduzione”?

Il libro si conclude con un epilogo: «ora siamo pronti a cominciare lo studio della storia della stupidità». Poi... più nulla.

Il professor Pitkin era saggio. Sapeva che un’intera vita è troppo breve per poter approfondire anche solo qualche frammento di un argomento così vasto. Perciò pubblicò l’introduzione – e basta.

Pitkin era cosciente della scarsità di lavori precedenti in quel campo. Mandò una squadra di ricercatori a esplorare gli archivi della Central Library a New York. Trovarono solo due testi sull’argomento: Über die Dummheit di Leopold Löwenfeld (1909) e Aus der Geschichte der menschlichen Dummheit di Max Kemmerich (1912).

Evidentemente esistono molti altri libri e documenti
in cui si parla, in un modo o nell’altro, di stupidità.
Ma pochi in cui si tenta un inquadramento sistematico
del problema per individuarne i meccanismi e gli effetti.
Nel corso degli anni, per completezza di informazione,
ho raccolto una piccola bibliografia sull’argomento.

Secondo Pitkin, quattro persone su cinque si possono definire “stupide”. All’epoca in cui ha scritto il suo libro erano un miliardo e mezzo di persone. Oggi più di cinque miliardi. Questo, in sé, è piuttosto stupido.

Una fondamentale osservazione di Pitkin è che uno dei motivi per cui è difficile studiare la stupidità è la mancanza di una buona definizione di che cosa sia. Per esempio i geni sono spesso considerati stupidi da una maggioranza stupida (non è facile neppure definire che cosa sia il genio). Ma la stupidità palesemente esiste. E ce n’è molta più di quanto possiamo immaginare nei nostri peggiori incubi. Infatti governa il mondo – cosa ampiamente dimostrata dal modo in cui il mondo è governato.

Qualcuno, cinquant’anni dopo, ha proposto un’analisi molto interessante della stupidità. Carlo M. Cipolla, professor emeritus di storia dell’economia a Berkeley, aveva scritto in inglese un piccolo saggio intitolato The Basic Laws of Human Stupidity – uno dei migliori testi che siano mai esistiti sull’argomento. Circolò per alcuni anni in forma semiclandestina (vedi la nota alla fine di questa pagina) finché fu pubblicato a Bologna da Il Mulino nel 1988 in un libro ititolato Allegro ma non troppo (tradotto in italiano da Anna Parish).

Le “leggi fondamentali della stupidità umana” sono note e citate anche in altri contesti. Non mi sembra necessario riprodurle, né riassumerle. A chi non le conoscesse, consiglio di leggere il testo di Carlo Cipolla (che, come altre opere dello stesso autore, unisce la serietà dell’analisi a una gradevole vena di umorismo). Mi limito qui ad alcuni commenti.

In parte si tratta di cose già note. Per esempio un fatto rilevato anche da altri autori (vedi il già citato rasoio di Hanlon) e da quasi tutte le persone che hanno avuto occasione di ragionare sull’argomento: si tende sempre a sottovalutare “il numero di stupidi in circolazione”.

È una constatazione che ognuno di noi può fare ogni giorno: per quanto coscienti possiamo essere del potere della stupidità, siamo spesso sorpresi dal suo manifestarsi dove e quando meno ce la aspettiamo.

Ne derivano due conseguenze, anche queste evidenti in ogni analisi coerente del problema. Una è che si sottovalutano spesso i perniciosi effetti della stupidità. L’altra è che, per la loro imprevedibilità, i comportamenti stupidi sono ancora più pericolosi di quelli consapevolmente malvagi.

Ciò che manca nell’analisi così impostata (come anche nel caso di Wakter Pitkin e di altri autori che si sono occupati dell’argomento) è una valutazione della nostra stupidità – o comunque della componente di stupidità che esiste anche nelle persone più intelligenti.

Su questo ritorneremo più avanti – ma intanto vorrei rilevare che il problema della stupidità presente in ognuno di noi, generalmente ignorato o sottovalutato, è correttamente impostato nell’interessante libro Understanding Stupidity di James Welles, la cui prima edizione è uscita nel 1986 (ampliata e approfondita negli anni successivi).

Devo confessare che (mea culpa) quando avevo scritto la prima stesura di questo articolo non conoscevo ancora il lavoro di James Welles. Ora posso dire che lo considero il miglior libro fra tutti quelli che ho letto sull’argomento. Il più completo per ampiezza e profondità. Mi ha fatto piacere constatare che, in molte cose, i ragionamenti di Welles confermano ciò che aveno già scritto e pubbicato sul potere della stupidità.

Uno dei meriti del saggio di Carlo Cipolla (come del libro di James Welles) è riconoscere il fatto che la stupidità di una persona “è indipendente da qualsiasi altra caratteristica della stessa persona”.

Questo è un punto fondamentale, che contraddice opinioni diffuse, ma è confermato da ogni attenta verifica sul tema. Non è solo o banalmente politically correct, ma è sostanzialmente vero, che nessuna categoria umana è più intelligente o più stupida di un’altra. Non c’è alcuna differenza nel livello o nella frequenza della stupidità per genere, sesso, razza, colore, etnia, cultura, livello scolastico eccetera. (L’ignoranza può essere influenzata dalla stupidità, e viceversa, ma non sono la stessa cosa – vedi a questo proposito Tre sorelle della stupidità).

C’è un criterio, della teoria di Cipolla, che ho adottato come metodo in alcune delle mie analisi. È definito in quella che lui chiama “terza (e aurea) legge”. «Una persona stupida è una persona che causa un danno a un’altra persona o gruppo di persone senza realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo un danno».

Un importante vantaggio di questo concetto è che evita l’arduo problema di definire “in teoria” che cosa sia la stupidità (o l’intelligenza) mentre ne valuta la rilevanza in relazione agli effetti pratici.

È evidente che, in base a questo criterio, si possono definire diverse categorie di comportamento. Ovviamente ai due estremi stanno le persone che realizzano un vantaggio per sé e per gli altri (perciò “intelligenti”) e all’altro quelle che danneggiano gli altri e anche se stesse (perciò “stupide”). È chiaro anche che ci sono almeno due categorie “intermedie”. Una che fa danno agli altri con vantaggio per sé (Cipolla li definisce“banditi”) e l’altra che fa un danno a sé con vantaggio per gli altri.

Per quest’ultima categoria, la definizione “sprovveduti” è discutibile. Può essere ragionevole fin che ci si limita alle valutazioni di costi e guadagni secondo i canoni dell’economia “classica”. Ma può essere sbagliata quando si tratta di persone che consapevolmente si sacrificano per il bene altrui – come vedremo poco più avanti.




È ovvio che concetti come questi possono essere inquadrati con le classiche “coordinate cartesiane”.


grafico

Non so perché la regola (o l’usanza) sia numerare i “quadranti” da I a IV
in senso “antiorario”. Ma se così vuole la matematica, così sia.


Se sulle ascisse (asse X) collochiamo il vantaggio (o svantaggio) che qualcuno ottiene con le proprie azioni, e sulle ordinate (asse Y) il beneficio (o danno) ad altri, ognuno di noi può definire, in base alle conseguenze pratiche di un comportamento, dove si colloca una persona o un gruppo di persone – in generale o in una particolare circostanza. È evidente che i comportamenti collocati nel “primo quadrante” (in altro a destra) sono a vari livelli di “intelligenza”, mentre nel “terzo quadrante” (in basso a sinistra) si tratta di stupidità.

È altrettanto ovvio che nel quarto quadrante (in basso a destra) si possono collocare diversi livelli di “banditismo”. Invece quelli del secondo (in alto a sinistra) possono richiedere interpretazioni più complesse. (Questo è uno dei punti in cui la mia interpretazione diverge, in parte, da quella di Carlo Cipolla – di un altro, più generale, parleremo nelle osservazioni conclusive di questo articolo).

Si può trattare di “sprovveduti” quando inconsapevolmente danneggiano se stessi e gli altri. Ma la stessa collocazione può riguardare comportamenti consapevolmente generosi o “altruistici”. In questo caso l’analisi può procedere in due modi. Può tener conto dei vantaggi morali e sociali – e perciò collocare quei comportamenti nell’area dell’intelligenza. Oppure lasciare che si trovino a sinistra dell’asse “Y”, ma usare una definizione diversa da “sprovveduti” (a questo proposito vedi anche il supplemento a La stupidità del potere).

Senza entrare nei dettagli, che possono essere complessi, di analisi come queste, il fatto è che le valutazioni degli effetti di diversi comportamenti si possono fare su scala individuale (rapporti fra due persone) o su una base più estesa, riferita a “grandi” sistemi (nazioni, comunità internazionali o anche l’umanità in generale) o ad ambiti più ristretti (situazioni locali, imprese, associazioni, gruppi organizzati o spontanei, aggregazioni umane di qualsiasi specie, natura e dimensione).

Il sistema, nel suo complesso, può progredire o arretrare per una combinazione di comportamenti di varia specie, non tutti e non sempre “altruistici”. Ma è chiaro che il massimo beneficio collettivo si ottiene con azioni “intelligenti” – e il massimo danno con quelle “stupide”. In altre parole, se ognuno bada troppo al suo interesse particolare, trascurando gli effetti del suo agire sugli altri, si ha un degrado generale della società nel suo complesso – e così anche chi credeva di essere “furbo” si rivela stupido. Ma spesso accade che questa constatazione avvenga quando è troppo tardi per poter rimediare.

Questo conferma la premessa fondamentale: il fattore di maggior danno in ogni società umana è la stupidità.

Naturalmente si creano particolari, e spesso drammatiche, conseguenze quando c’è uno squilibrio fra causa ed effetto. Come nel caso in cui le azioni di pochi influiscono sulla condizione di molti. Per qualche ulteriore osservazione su questo tema vedi La stupidità del potere.




Nell’uso di queste coordinate ci sono alcune differenze fra il metodo proposto da Carlo Cipolla e quello che sto seguendo in questi ragionamenti. Sono principalmente tre.

  • Le osservazioni di Cipolla (come quelle di Walter Pitkin e di quasi tutti quando si occupano di questo argomento) si basano su un’ipotesi di separazione netta: alcune persone sono intelligenti e altre sono stupide. Come vedremo poco più avanti, la mia convinzione è che quasi nessuno è totalmente stupido e (soprattutto) nessuno può illudersi di essere sempre intelligente. Perciò è necessario tener conto della componente di stupidità (come di altre categorie di comportamento) che è presente in ognuno di noi.

  • Le analisi basate sui risultati possono essere fatte tentando di definire in generale il comportamento di una persona oppure limitandosi a un particolare sistema di circostanze. Questa seconda soluzione non è da escludere, anzi può essere particolarmente interessante per scoprire come la stessa persona, in situazioni diverse, possa avere un comportamento diversamente classificabile e definibile.

  • La più ovvia tendenza è, quando si traccia un grafico di questo genere, collocare se stessi nelle ascisse (asse X) e qualcun altro nelle ordinate (asse Y). Ma può essere molto utile fare il contrario: cioè valutare il nostro comportamento in base all’effetto sugli altri. La difficoltà sta nel fatto che, ovviamente, la qualità dei risultati deve essere valutata dal punto di vista di chi ne subisce l’effetto – ma sapersi “mettere nei panni degli altri” è sempre utile, specialmente quando tentiamo di verificare il nostro livello di stupidità (o di intelligenza).




È un fatto universalmente noto che le persone consapevoli e generose generalmente sanno di esserlo, i malvagi e i prepotenti si rendono conto del proprio atteggiamento e anche le vittime più deboli e peggio informate hanno qualche percezione del fatto che qualcosa non va... ma gli stupidi non sanno di essere stupidi – e questo li rende ancora più pericolosi.

Il che mi riporta alla prima, angosciosa domanda: sono stupido?

Ho superato varie prove di “quoziente di intelligenza” con buoni risultati. Purtroppo conosco il funzionamento di quei formulari e so che significano poco o nulla.

Molte persone mi hanno detto che sono intelligente. Ma anche questo non è significativo. Potrebbero essere troppo gentili per dirmi la verità. O, al contrario, potrebbero voler sfruttare la mia stupidità a loro vantaggio. O potrebbero essere stupide come me.

Mi rimane un filo di speranza. Spesso sono acutamente cosciente di quanto sono stupido (o lo sono stato). E questo indica che non sono completamente stupido.




A volte ho cercato di collocarmi nello schema cartesiano, usando il più possibile risultati concreti di azioni (non opinioni) come unità di misura. Secondo la situazione, sembra che io tenda a oscillare nella parte alta del grafico (sopra l’asse X) talvolta nel quadrante destro, cioè con un livello variamente “basso” o “alto” di intelligenza – ma in alcuni casi sono disperatamente perso in quello a sinistra, cioè fra quelli che avvantaggiano gli altri con proprio danno. Spero di essere “utile agli altri” così spesso come mi sembra. Ma so che non sbagliare è impossibile – e che non si finisce mai di imparare.

In generale, sembra logico aspettarsi che i fattori più forti di successo si trovino nel primo o quarto quadrante delle coordinate, cioè nei settori a destra dell’asse Y. Ma il numero impressionante di persone che si collocano dall’altro lato, e tuttavia hanno splendide carriere, si può spiegare solo con un forte desiderio da parte di molti potenti di circondarsi il più possibile di stupidi.




Poco dopo aver letto il suo libro, scrissi a Carlo Cipolla (ho fatto una cosa del genere solo due volte in vita mia).

Fui piuttosto sorpreso quando mi rispose. Con una lettera breve, ma cortese.

Gli avevo chiesto: «Che cosa pensa del mio “corollario” alla sua teoria?»

La risposta fu «Be’, perché no?» – che credo di poter interpretare come conferma e approvazione del


Corollario di Livraghi alla Prima Legge di Cipolla

In ognuno di noi c’è un fattore di stupidità
che è sempre maggiore di ciò che pensiamo


Questo “corollario” (come gli altri due – vedi “seconda parte”) non è necessariamente collegato a un singolo autore. Potrebbe anche, per esempio, riferirsi al “Rasoio di Hanlon” o alla “Legge di Finagle” – come a ogni considerazione generale sull’onnipresenza della stupidità e sul fatto che è spesso, se non sempre, più diffusa e più pericolosa del previsto.


Così si crea un modello tridimensionale e non credo di doverne spiegare la struttura, perché è improbabile che una persone stupida o pavida sia arrivata a leggere fino a questo punto.

Naturalmente, oltre alla nostra e altrui stupidità, possiamo inserire anche altre variabili, come i nostri diversi fattori di comportamento e il modo in cui si combinano con quelli di altre persone. Può essere saggio dimenticare il fattore “intelligenza”, perché non ce n’è mai abbastanza. Ma non è il caso di trascurare i valori del “quarto quadrante”, perché anche la persona più generosa può qualche volta comportarsi da “bandito”, anche se solo per errore. Con l’aggiunta di questi fattori si crea un modello multi-dimensionale di difficile gestione. Ma anche considerando solo le nostre componenti individuali di stupidità la complessità può essere sconcertante.

Provare per credere... ed essere davvero spaventati.






Vedi anche Il potere della stupidità, seconda parte
 
e la terza parte La stupidità del potere
 
oltre all’indice dei testi successivi.



Avevo fatto parecchi tentativi, nel corso degli anni,
di trovare il testo originale inglese
del saggio di Carlo Cipolla sulla stupidità.

Era stato scritto all’inizio degli anni ’70
e distribuito in fotocopia “fra pochi amici”.
Poi stampato nel 1976 a Bologna
in un piccolo opuscolo “fuori commercio”
come regalo natalizio a colleghi e amici.
Pubblicato dalla Whole Earth Review nel 1987
(senza, a quanto pare, autorizzazione dell’autore).

Sembrava irreperibile – finché, nel 2002,
si scoprì che era diventato disponibile online
in Ecotopia e altri siti.

Ma ora, per volontà dei titolari del “diritto d’autore”,
non è più consentito metterlo a disposizione in rete.

(È un peccato che così quel testo
sia diventato di nuovo irreperibile.
Ma quella, purtroppo, è la legge).



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