Il potere della stupidità
Kali


Stupidità, ironia e comicità

(Con alcune interessanti osservazioni di Carlo Cipolla)

Giancarlo Livraghi – novembre 2011

 
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Uno dei problemi fondamentali, nel cercare di capire la stupidità, è la diffusa tendenza a considerarla comica. E così liberarsi da ogni imbarazzante responsabilità o preoccupazione. Con una distensiva risata si esorcizza, si rimuove. Si sfugge all’amara constatazione del suo catastrofico potere. Si cade ostinatamente nell’evasiva finzione: lo stupido è sempre qualcun altro.

Per chi non ha letto il libro... o non ricorda le mie osservazioni su questo tema... l’ho spiegato così nel capitolo 28 di Il potere della stupidità.


«Tutta la storia della cultura umana sulla stupidità (con rare eccezioni, come alcuni testi citati in questo libro) si può ridurre a una continua ripetizione di due atteggiamenti banali – che non tentano di capire il problema, ma sono molto efficaci nell’evitare di affrontarlo».

«Uno è la condanna sprezzante degli stolti, visti sempre come “altri”. Il che vuol dire che spesso è considerato stupido chi ha idee diverse da quelle di un certo autore che si considera “saggio”. È un modo comodo e sbrigativo per liberarsi dal fastidio di dover affrontare un dialogo o un dibattito.Infatti era in voga migliaia di anni fa e non è meno di moda ai nostri giorni».

«L’altro è la derisione. Lo stupido è quello di cui si ride, la vittima designata di burle, beffe, lazzi e sberleffi. Anche questo è un modo per evitare il problema – e per scaricare addosso a qualcun altro non solo la stupidità, ma anche ogni genere di diversità e di incomprensioni. Chi non pensa e non fa come noi è stupido. Perché perder tempo a cercare di capirlo, quando basta considerarlo goffo e ridicolo?»


Non mi stancherò mai di ripetere che la stupidità è un argomento imbarazzante. E considerarlo “solo comico” è un modo per ignorarne il perverso potere. Un’occasione interessante per ritornare sul tema è offerta da una nota introduttiva di Carlo Cipolla al libro Allegro ma non troppo in cui sono state pubblicate (per la prima volta nel 1988) le sue, meritatamente famose, Leggi fondamentali della stupidità umana.

È l’unico testo di Carlo Cipolla che l’editore offre liberamente online.

Quelle pagine, come accade spesso con prefazioni e premesse, passano largamente inosservate. Nei tanti commenti che ho letto e ascoltato su quello che è in Italia il testo più noto in tema di stupidità, nessuno le ha mai citate.

Il titolo è Tanto per incominciare. Ed entra subito nell’argomento serietà, comicità e ironia – con queste lucide e interessanti osservazioni.


«La vita è una cosa seria, molto spesso tragica, qualche volta comica. I Greci dell’età classica avvertivano profondamente e coltivavano il senso tragico della vita. I Romani, in genere più pratici, non ne facevano una tragedia ma consideravano la vita una cosa seria: di conseguenza tra le qualità umane apprezzavano in modo particolare la gravitas e tenevano in poco conto la levitas».


In realtà non mancavano, nella cultura classica greca e romana, l’ironia e la comicità. Come, ma non solo, nelle commedie di Aristofane, Plauto e Terenzio, nelle satire di Orazio, Giovenale, Lucilio, Persio, Petronio, negli epigrammi di Marziale, nello scherno di Apuleio, nelle feste dei Saturnali, negli sberleffi dei trionfi. In alcune favole di Esopo e Fedro – e in capricciose vicende della mitologia. Anche nelle decorazioni dei vasi e delle case. Ma è vero che qualche concessione alla levitas non era un’evasione dalla gravitas.


«Cosa sia il tragico – continua Cipolla – non è difficile né da capire né da definire e se ad un Tizio gira per la testa di apparire come una figura tragica non gli è difficile riuscirvi anche se Madre Natura non ha già provveduto alla bisogna. La serietà è pure una qualità relativamente facile da capire, da definire e per certi versi da praticare. Quel che è difficile da definire e che non a tutti è dato di percepire ed apprezzare è il comico. E l’umorismo che consiste nella capacità di intendere, apprezzare ed esprimere il comico è una dote piuttosto rara tra gli esseri umani».

«Intendiamoci: l’umorismo grossolano, facilone, volgare, prefabbricato (= barzelletta) è alla portata di molti ma non è vero umorismo. È un travestimento dell’umorismo».


Deridere “gli stupidi” è una delle più stucchevoli e devianti usanze del barzellettismo. (E di quello sciocco genere di letteratura che è lo “stupidario”). Il vero umorismo è tutt’altra cosa, come spiega Carlo Cipolla.


«Il termine umorismo deriva dal termine «umore» e si riferisce ad una sottile e felice disposizione mentale solitamente basata su un fondamento di equilibrio psicologico e di benessere fisiologico. Schiere di scrittori, filosofi, epistemologi, linguisti hanno ripetutamente tentato di definire e spiegare l’umorismo. Ma dare una definizione dell’umorismo è cosa difficile per non dire impossibile. Tanto è vero che se una battuta umoristica non è percepita come tale dall’interlocutore è praticamente inutile se non addirittura controproducente cercare di spiegargliela».


Questo è uno dei motivi per cui l’umorismo è un’arte difficile. È sempre importante, quando si parla o si scrive, vedere ogni cosa dal punto di vista di chi legge. Il rischio di spiegarsi male, perciò essere mal capiti, c’è anche nei ragionamenti più seri. Ma tende ad aggravarsi quando si tratta di umorismo.


«Chiaramente l’umorismo è la capacità intelligente e sottile di rilevare e rappresentare l’aspetto comico della realtà. Ma è anche molto di più. Anzitutto, come scrissero Devoto e Oli, l’umorismo non deve implicare una posizione ostile bensì una profonda e spesso indulgente simpatia umana».


Il vero umorismo è l’arte di trattare argomenti, anche seri e importanti, con sensibilità e umanità, senza troppo “prendersi sul serio”. Non per questo con leggerezza o superficialità. Si tratta soprattutto di capire che per essere precisi, chiari, rilevanti non è necessario essere noiosi.


«Inoltre l’umorismo implica la percezione istintiva del momento e del luogo in cui può essere espresso. Fare dell’umorismo sulla precarietà della vita umana al capezzale di un moribondo non è umorismo. D’altra parte quando quel gentiluomo francese che saliva i gradini che lo portavano alla ghigliottina, avendo inciampato in uno dei gradini, rivolgendosi alle guardie esclamò: “dicono che inciampare porti sfortuna”, quel gentiluomo meritava certamente che la sua testa venisse risparmiata».

«L’umorismo è così intimamente legato alla scelta accurata e specifica dell’espressione verbale in cui viene prodotto che difficilmente si riesce a tradurlo da una lingua in un’altra. Il che anche significa che è così permeato dei caratteri della cultura in cui viene prodotto che riesce sovente del tutto incomprensibile quando travasato in un ambiente culturale diverso».

«L’umorismo va distinto dall’ironia. Quando si fa dell’ironia si ride degli altri. Quando si fa dell’umorismo si ride con gli altri. L’ironia ingenera tensioni e conflitti. L’umorismo quando usato nella misura giusta e nel momento giusto (e se non è usato nella misura giusta e nel momento giusto non è umorismo) è il solvente per eccellenza per sgonfiare tensioni, risolvere situazioni altrimenti penose, facilitare rapporti e relazioni umane».


È vero che l’ironia può diventare satira, cioè essere usata in modo aggressivo. Con giusta ferocia quando la critica è meritata – o almeno polemicamente significativa. Con squallida, insidiosa malizia quando è un trucco per disorientare chi ascolta (o legge) e cambiare le carte in tavola.

Ma non è sempre così. Ci può essere ironia più leggera, soprattutto sincera, che è una forma gradevole di umorismo. Specialmente quando è autoironia.

Come dicevo all’inizio, l’umorismo diventa un problema quando è una scappatoia. Non solo nella stucchevole proliferazione di grossolane stupidità, ma anche in alcuni modi di leggere un testo serio come il saggio di Cipolla.

È curioso constatare come quasi tutte le persone che l’hanno letto lo considerino soprattutto “spiritoso” o “divertente”. Invece merita di essere meditato con serietà. È scritto con umorismo, ma non sottovaluta la gravità del problema. Lascia però aperta una via di fuga, considerando “gli stupidi” come «un gruppo di persone nel genere umano». Molto numeroso, come spiega “Prima Legge di Cipolla”. «Sempre e inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione». Però separato ed escluso dal mondo di presunta superiorità i cui si trovano gli “intelligenti”.

È vero che più una persona è stupida meno è interessata ai ragionamenti sulla stupidità (e meno è in grado di capirli). Ma non vuol dire che autori e lettori, anche i più attenti e intelligenti, si possano considerare “immuni”.

Quasi tutta la letteratura su questo argomento, oltre a confondere la stupidità con la follia, è dedicata al dileggio e allo scherno degli stupidi come specie inferiore – spesso trattando da stupida ogni persona, dottrina, metodo o corrente di opinione che ragioni in modo diverso da quello dell’autore (come accade, per esempio, nel famoso Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam).

Quando l’ironia diventa sarcasmo, perde il suo valore critico e degrada fino alla violenza, demolizione di ogni possibilità di dialogo, sprezzante rifiuto della possibilità di imparare qualcosa e liberarsi dei propri pregiudizi.

Come diceva Bertrand Russell «Il problema del mondo è che gli stupidi sono troppo sicuri e gli intelligenti sono pieni di dubbi».

L’intelligenza ha il dovere di saper sorridere, anche ridere, soprattutto di sé, nella necessità di saper coltivare il dubbio senza averne paura.

La stupidità teme ogni luce che possa rivelare l’inconsistenza delle sue convinzioni. Perciò si diverte a ridere di ciò che non capisce, per tenere lontano il fastidioso pericolo del dubbio.

In conclusione, non posso evitare di ritornare a ciò che ho spiegato in Il potere della stupidità – e che non è inutile rileggere in questa prospettiva.


«La stupidità è imbarazzante. Fin che si ride, si ride. Ma quando si tratta di capire... si cercano tutti i modi possibili per evitare l’argomento. Anche chi ha il buon senso dell’autocritica – e il buon gusto di sapersi prendere in giro – difficilmente accetta l’idea di essere, almeno in parte, stupido».

«Siamo disposti ad ammettere di essere un po’ matti. Perché pensiamo che qualche elemento di pazzia sia frequente nei geni (il che è vero, specialmente quando si considera follia qualcosa che gli altri non capiscono bene – o un modo di pensare che è in disaccordo con la cultura convenzionale). Ma anche chi non ha alcuna genialità può essere simpatico, spiritoso, divertente se si concede qualche tratto di innocua pazzia».

«Ma stupidi? Che orrore. Possiamo anche fingerci stupidi, quando ci fa comodo per schivare una domanda imbarazzante o una responsabilità indesiderata. Ma ammettere di esserlo... è terrorizzante».


A questo proposito ci sono interessanti osservazioni di James Welles. In Understanding Stupidity spiega come, lavorando sul problema della stupidità, si sia trovato a cambiare atteggiamento.


«Sono stato perseguitato» – dice – «durante la scrittura del mio libro dalle vivide memorie dei miei più stupidi fallimenti. Ho continuamente ripensato ai miei più sciocchi errori». Credo che una tale autocoscienza, prima ancora che autocritica, sia necessaria per poter ragionare in modo un po’ meno banale del solito sul problema della stupidità».

«All’inizio – continua Welles – l’intenzione non era seria. Mi aspettavo di scrivere un libro leggero e giocoso. Ha assunto un tono più serio man mano che mi rendevo conto di quanto incredibilmente importante sia la stupidità. Può essere comica; è certamente interessante; ma è molto discutibile che si possa continuare nei nostri tradizionali errori. La stupidità è troppo importante per poter essere messa da parte come una tragicomica fonte di umorismo».


«Il primo, necessario passo di ogni efficace stupidologia sta nel saper affrontare a occhi aperti non solo il fatto che la stupidità esiste, e ce n’è assai più di quanto siamo abituati a pensare, ma anche l’imbarazzante constatazione che la stupidità è una caratteristica fondamentale della natura umana. E che tutti siamo, in qualche misura, stupidi – di solito più di quanto crediamo se non abbiamo dedicato sufficiente attenzione a valutare e conoscere la nostra stupidità».


Insomma l’umorismo, quando è usato bene, è una delle migliori risorse contro la stupidità. Ma ciò non significa che si possa rimuovere o trascurare l’imbarazzante problema considerandolo solo “comico”.



C’è un supplemento, con altre citazioni di Carlo Cipolla.
È imbarazzante scrivere sulla stupidità?


Sulla recente pubblicazione in inglese
di The Basic Laws of Human Stupidity
e sulla complessa vicenda delle edizioni precedenti vedi
Dopo trentacinque anni le “leggi” di Cipolla in inglese



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