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Cenni di storia dei sistemi
di informazione e comunicazione



L’internet

Era inevitabile che lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e dei sistemi di comunicazione portasse a qualcosa di simile all’internet. Strutture di dialogo e scambio in rete si sono sviluppate, indipendentemente l’una dall’altra, prima che il protocollo TCP/IP (cioè inter-net) diventasse la risorsa di base su cui i diversi sistemi si appoggiano.

Le origini concettuali si possono far risalire alla metà dell’Ottocento. Quando, per esempio, Ada Byron (figlia del poeta – nota come Lady Lovelace) si era interessata agli esperimenti di Charles Babbage con la difference engine, intuendo che lo sviluppo poteva portare non solo a “macchine calcolatrici”, ma anche a strumenti di informazione e comunicazione.

 
Di questi esperimenti abbiamo già parlato a proposito di computer

The Difference Engine è anche il titolo di un romanzo di fantascienza, scritto da William Gibson e Bruce Sterling nel 1990, in cui si immaginava che nell’Ottocento in Inghilterra si fosse diffuso non solo l’uso dei computer, ma anche qualcosa di simile all’internet, in base al lavoro di Charles Babbage e Lady Lovelace. Il libro, purtroppo, è mediocre, ma l’ipotesi è interessante.
 

Ma passarono più di cent’anni prima che ci fossero sviluppi reali.

Un progetto specifico era stato proposto nel 1945. In un articolo sull’Atlantic Monthly Vannevar Bush (vicepresidente del MIT e uno degli scienziati dell’Office of Scientific Research organizzato dal presidente Roosevelt) proponeva un sistema capace di costituire una rete mondiale di condivisione della conoscenza. Lo chiamava Memex. Il progetto non fu realizzato, ma contribuì a ispirare gli sviluppi che presero forma vent’anni più tardi.

Nel 1958 fu costituita l’Advanced Research Project Agency, per iniziativa del presidente Eisenhower e del suo ministro della difesa Neil McElroy (che non era un militare, ma un civile: veniva dalla Procter & Gamble).

Nel 1964 una proposta pubblicata da Paul Baran (Rand) delineava i princìpi di quell’idea di networking che vent’anni più tardi prese il nome di internet.

Nel 1965 Ted Nelson inventò il termine hypertext per definire un linguaggio che permetta una gestione articolata nei contenuti (un concetto che era già stato definito vent’anni prima nel progetto Memex). Nelson aveva sviluppato anche le basi tecnologiche per un progetto che chiamò Xanadu, simile al Memex. Ma anche questo, per il momento, non fu realizzato.

L’idea di networking era “nell’aria”. Era evidente che qualcuno, presto o tardi, l’avrebbe messa in pratica. Il primo esperimento basato sui principi Rand fu realizzato nel 1968 dal National Physics Laboratory in Gran Bretagna. Intanto negli Stati Uniti nasceva il Network Working Group.

Ma l’iniziativa più concreta fu quella dell’Advanced Research Project Agency, che dal 1965 stava studiando le possibilità del networking e nel 1969 lanciò il progetto ArpaNet.

 
Dal fatto che Arpa era un’agenzia del ministero della difesa si è dedotta la diffusa, ma in gran parte sbagliata, convinzione che il progetto di networking avesse obiettivi prevalentemente militari.
Vedi l’internet non è militare.
 

Fu stabilito il primo collegamento con quattro istituti universitari: l’UCLA a Los Angeles, l’UCSB a Santa Barbara, lo Stanford Institute e l’Università dello Utah. Si definì il primo protocollo di collegamento (NCPNetwork Control Protocol).

Nel 1971 nacque un nuovo sistema di “posta elettronica” – quello che oggi conosciamo come e-mail. Ray Tomlinson definì il programma per lo scambio di messaggi in rete. Nel 1972 fu adottato l’uso del segno @ (at) che in italiano è stato poi chiamato “chioccioletta”. Nello stesso anno fu costituito l’Inter Networking Group per definire gli standard della comunicazione in rete – e si cominciò lo sviluppo di quello che poi divenne il protocollo TCP/IP. C’erano 27 computer collegati all’ArpaNet.

Nel 1973 ci furono i primi collegamenti internazionali dell’ArpaNet con l’University College di Londra e con Norsar in Norvegia. Nel 1974 nacquero Telnet (il primo sistema che permette a chi ha un accesso a un servizio nella rete di collegarsi con un altro) e il protocollo FTP (File Transfer Protocol) che è ancora oggi largamente in uso.

Nel 1976 fu definito il protocollo UUCP (Unix to Unix copy) su cui dal 1979 si è basato lo sviluppo, indipendente dall’internet, dei newsgroup Usenet. (Dal 1986 è stato progressivamente adottato in Usenet il nuovo protocollo NNTPnetrwork news transfer protocol – ma la natura dei newsgroup rimane sostanzialmente invariata). Nel 1977 Dennis Hayes inventò il modem.

Nel 1981 c’erano 200 host collegati all’ArpaNet – mentre nasceva BitNet (because it’s there network) che si sviluppò indipendentemente e solo alcuni anni dopo confluì nell’internet. Nel 1982 si stabilì (con il Cnuce a Pisa) il primo collegamento in Italia al sistema di reti che poco più tardi prese il nome di internet.

Nel 1983 fu adottato il protocollo TCP/IP e cominciò la diffusione dell’internet, che dal 1984 fu posta sotto il controllo della National Science Foundation. Nel 1984 fu anche messo a punto il sistema DNS (Domain Name System) su cui si basano gli indirizzi i rete – come quelli della “posta elettronica” e poi, dieci anni più tardi, quelli dei “siti web”.

Il primo BBS (bulletin board system) era nato nel 1972. Negli anni successivi cominciarono a collegarsi fra loro. Agli inizi degli anni ’80 si aprirono i primi BBS in Italia. Nel 1984 si realizzò, separatamente dall’internet, la loro rete internazionale di collegamento (dieci anni più tardi c’erano decine di migliaia di BBS negli Stati Uniti, duemila in Italia).

C’erano, in quel periodo, sistemi separati di networking che operavano indipendentemente l’uno dall’altro. I newsgroup Usenet. Le reti dei BBS che si collegavano in echomail (il più diffuso sistema internazionale, Fidonet, nacque nel 1986). Reti aziendali, nelle imprese internazionali, che usavano sistemi diversi. Mentre l’internet era usata quasi esclusivamente dalla comunità accademica in alcune università scientifiche (in particolare quelle di fisica).

I criteri della netiquette, cioè del corretto comportamento online, che circolavano in rete già negli anni ’70, cominciarono nel 1985 ad avere una definizione formale. Nel 1985 si svilupparono le prime mailing list, cioè aree di dialogo e dibattito basate sull’e-mail.

Nel 1988 nacque IRC (international relay chat). Varie situazioni di chat, cioè di dialogo “in tempo reale”, esistevano anche prima, ma non avevano quella possibilità di “interconnessione” che si realizzò con IRC – e poi anche con altri sistemi, come ICQ (I seek you) dal 1996.

Nel 1988 fu identificato il primo worm o “virus replicante” capace di riprodursi e diffondersi attraverso “allegati” ai messaggi online. Nello stesso anno John Walker, fondatore di Autodesk, acquistò da Ted Nelson i diritti della tecnologia Xanadu e investì circa cinque milioni di dollari nello sviluppo. Ma l’anno dopo abbandonò il progetto perché venne a sapere che qualcun altro era più avanti di lui.

Nel 1989 Tim Berners-Lee al Cern di Ginevra sviluppò l’idea e le soluzioni pratiche da cui è nato il sistema world wide web. Totalmente aperto e gratuito, come le tecnologie e le applicazioni su cui si basa l’internet. Molti oggi confondono internet e web, ma non sono la stessa cosa. L’internet è la base su cui si appoggiano le risorse del linguaggio HTML (Hyper-Text Markup Language) che è la struttura del sistema web.

Nel 1991 Philip Zimmerman mise in distribuzione la prima versione di PGP (Pretty Good Privacy) che si affermò come il più diffuso sistema di crittografia. Nello stesso anno nacque Gopher, il primo sistema di “navigazione” nell’internet, cui poi si aggiunse Veronica (ma caddero in disuso quando l’ambiente web prese il sopravvento). Sistemi di ricerca in rete, meno facili degli attuali search engine, ma di non irrilevante efficienza, si basavano su FTP (file transfer protocol).

 
La sigla “Veronica” sta per Very Easy Rodent-Oriented Net-wide Index to Computerized Archives – dove rodent è un riferimento a gopher, che è una specie di talpa.
 

Il sistema web si diffuse gradualmente nella prima metà degli anni ’90. Nel 1993 Marc Andreessen rese disponibile in rete Mosaic (il primo browser) e un anno più tardi, insieme a Jim Clark, sviluppò Netscape. Nello stesso anno nacque Allweb, il primo “motore di ricerca” web.

Nel 1993 uscì il primo quotidiano online – il San Jose Mercury News. Il primo italiano fu L’Unione Sarda nel 1994, seguita da Il Manifesto nel 1995, La Repubblica e Il Sole 24 Ore nel 1996, La Stampa e il Corriere della Sera nel 1998.

I primi accessi all’internet “aperti a tutti” in Italia divennero disponibili alla fine del 1994. La rete cominciò a avere una diffusione “popolare” negli Stati Uniti nel 1997. In Italia ci fu una forte crescita delle connessioni a partire dal 1998.

Nel 1983 c’erano 500 host internet nel mondo. Più di mille nel 1964, 5000 nel 1986, 100.000 nel 1989, un milione nel 1992, quasi cinque milioni nel 1994, più di dieci milioni alla fine del 1995 (di cui tre milioni in Europa e 150.000 in Italia). Si diffuse in quel periodo la percezione che si trattasse di una crescita “esponenziale”. Ma non è vero, come risulta da tutte le verifiche negli anni seguenti.


Dati e grafici sull’evoluzione dell’internet,
che compaiono nella versione stampata del testo,
sono omessi qui perché si può accedere
direttamente alle analisi disponibili online.

Per una breve sintesi, aggiornata alla fine del 2003,
vedi il
numero 70 della rubrica “Il mercante in rete”.


 
Per le analisi sullo sviluppo dell’internet
vedi nella “sezione dati”

L’internet nel mondo

L’internet in Europa e in Italia

 


Oggi ci sono 230 milioni di host internet nel mondo, 34 milioni in Europa, più di cinque milioni in Italia. Le percentuali di crescita, naturalmente, diminuiscono con l’aumentare della quantità, ma non si può definire “lento” sviluppo di un sistema che cresce del 36 % in un anno.

Il problema non è la quantità totale dell’attività in rete, ma il modo squilibrato in cui è diffusa. La cosiddetta “globalità” è un mito. Per l’accumulo di diversi fattori (economici, culturali, politici – e anche di repressione e censura) nove decimi dell’umanità sono ancora esclusi dalla comunicazione in rete.

Per quanto riguarda l’Italia, c’è stato un cambiamento fra il 1999 e il 2000. Dopo molti anni in cui la nostra presenza online rimaneva a un livello basso rispetto al resto del mondo, la crescita in Italia ora è più veloce della media internazionale.

Un quadro diverso risulta dai dati sul numero di persone online. Questo genere di statistiche è poco attendibile, per le caratteristiche delle metodologie di ricerca e per la varietà di criteri con cui viene definito il concetto di “utente” internet. Ancora meno affidabili sono i confronti internazionali. C’era chi immaginava che otto anni fa ci fosse un miliardo di persone nel mondo collegate alla rete. Qualcuno cita ancora quel dato bizzarro come se fosse vero. Ma oggi le ipotesi più “ottimistiche” sono intorno ai 600 milioni (una valutazione più realistica è circa la metà).


 
Per le analisi sulle persone online
vedi nella “sezione dati”

L’internet in Italia
 


Vent’anni fa c’erano persone in Italia che si collegavano a sistemi di networking (si trattava, in gran parte, di reti diverse dall’internet). Ma erano poche decine di migliaia. La diffusione della rete (come anche nel resto del mondo) ha cominciato a estendersi dopo che, nel 1994, si erano resi disponibili accessi all’internet aperti “a tutti”. C’è stata un’accelerazione della crescita fra il 1998 e il 2000, ma poi è rallentata.

Dalle origini dei collegamenti all’internet fino al 1999 era prevalente, in Italia, l’uso della rete dal luogo di lavoro. Ma dal 2000 è maggiore la crescita dell’uso “domestico”. C’è stato un recente afflusso di giovani, mentre rimane scarsa la diffusione della rete fra le persone di età più avanzata. (A questo proposito vedi I “giovani” e la comunicazione e I “vecchi” e la comunicazione).

C’è un’evoluzione positiva per quanto riguarda la presenza femminile. Mentre era “tradizionale” che la rete fosse prevalentemente usata dagli uomini, oggi anche in Italia la percentuale di donne online è in continuo aumento e tende ad avvicinarsi alla “parità”.

Le differenze per categorie sociali ed economiche sono in progressiva diminuzione. C’è un evidente allargamento verso i livelli “medi” – mentre rimangono sacrificate, come è purtroppo ovvio, quelle categorie “basse” che soffrono, in generale, di una scarsità di risorse di informazione e di comunicazione.

Il concetto di digital divide, di cui molto si parla senza darne alcuna chiara definizione, è sostanzialmente sbagliato. Il problema esiste, ma è culturale, non tecnico. (Vedi La divisione è culturale, non “digitale”).

Un rallentamento dell’afflusso di persone online (non solo in Italia) è dovuto a una varietà di fattori. Delusioni rispetto a promesse esagerate, disagio per varie forme di invasività (e anche per rischi di varia specie la cui pericolosità è spesso descritta nei mass media in modo “sensazionalistico”).

I problemi, tuttavia, ci sono davvero. Non solo la proliferazione dei virus (se ne conoscono più di 80.000) favorita dalle debolezze tecniche dei software più diffusi, ma anche l’esagerata diffusione dello spam, di fastidiose invasività e di truffe di varia specie. (Vedi Spam e scam).

Ha fatto notevoli danni l’estesa diffusione di notizie sul “fallimento dell’internet” – basate sullo sgonfiamento di “bolle speculative“ che nulla hanno a che fare con lo sviluppo della rete. (Vedi La “crisi” che non c’è).

Non è stata meno dannosa l’eccessiva insistenza sulla inesistente necessità di usare macchine complesse e costose – o collegamenti “superveloci” che per il 99 per cento delle persone (e imprese) che usano la rete sono inutili, se non nocive. (Vedi Quei grandi tubi pieni di nulla).

Intanto aumenta il numero di persone che hanno una buona pratica della rete. E l’esperienza continuamente conferma che le risorse più importanti online sono i dialoghi personali e il “passaparola”. Il cerchio si chiude. La più moderna delle risorse è strutturalmente simile alla più antica.

 
Questo non è un dettaglio. Uno dei valori fondamentali delle “reti telematiche” (cioè oggi principalmente l’internet) è la “riscoperta” di forma di comunicazione che non sono mai scomparse, ma sembravano disperse e schiacciate in un mondo dominato dai mass media.
Vedi I valori antichi della nuova comunicazione.
 



Che cos’altro può essere all’orizzonte?

Sullo sviluppo delle “nuove tecnologie” ci sono molti più discorsi (e polemiche) che fatti. Ci sono, finora, solo tre rilevanti nuovi sviluppi. La diffusione della telefonia mobile e, meno velocemente, del computer e dell’internet. Per il resto la situazione è statica e si continuano a constatare situazioni che non sono sostanzialmente cambiate da alcuni decenni.

Le possibilità offerte dalle tecnologie sono così tante che una sola cosa è certa: fra le molteplici evoluzioni immaginabili solo alcune si realizzeranno. E lo faranno, molto probabilmente, in modo diverso da come oggi si immagina o si prevede.

La storia ci insegna chiaramente che fra la possibilità teorica, o anche la disponibilità pratica, di una risorsa e la sua diffusione il percorso è discontinuo. Talvolta veloce, ma spesso più lenta di quanto sarebbe “tecnicamente possibile”.

L’importante è capire che l’informazione e la comunicazione non sono tecnologie. Sono esigenze umane. Possono, secondo il caso, essere una risorsa o un problema. E prima di pensare a quali altre meraviglie (o incubi?) potrà riservarci il futuro è fondamentale approfondire il modo in cui i sistemi disponibili sono usati – e come potrebbero essere meglio adattati alle esigenze umane.

 
Il personal computer, specialmente con l’uso delle tecnologie oggi più diffuse, è una delle macchine meno efficienti, affidabili e funzionali che siano mai esistite. L’internet è una risorsa sostanzialmente solida, e di non difficile uso, ma anche sulla rete si sono accumulati problemi e difficoltà derivanti dalla farraginosa inadeguatezza delle tecnologie di accesso che si sono inutilmente e fastidiosamente sovrapposte a soluzioni molto più semplici ed efficienti.
 

Da quando, più di vent’anni fa, si è cominciato a capire che la “qualità della vita” non è esclusivamente un fatto economico, è diventato evidente che fra i fattori di povertà e ricchezza vanno considerate anche la quantità e la qualità di informazione. Nonostante la “globalizzazione” dei sistemi una larga parte dell’umanità è ancora tenuta in condizioni di grave ignoranza o condizionamento culturale. E anche nei paesi apparentemente più evoluti, come l’Italia, ci sono aree preoccupanti di privazione o limitazione.

Come mettono in evidenza gli studi del Censis, c’è chi soffre di scarsità di informazione e di comunicazione – e chi ne ha troppa. I due fenomeni non sono separati, ma si mescolano e si fondono in un quadro complesso.



 
A questo proposito vedi anche
Il paradosso dell’abbondanza
 



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