Il filo di Arianna
Il paradosso dellabbondanza
Ormai da parecchio tempo la percezione del benessere, il sogno di una crescita senza limiti, il mito di unabbondanza senza confini, sono profondamente in crisi. Il disagio non viene solo dalla percezione, confusa quanto preoccupante, di problemi economici, che non affliggono solo i grandi sistemi, ma incidono sulla vita quotidiana delle persone e delle famiglie. Cè anche un disorientamento, una crisi dei valori, che dura da parecchi anni, ma comincia a essere diffusamente percepita.
Il 37° Rapporto Annuale del Censis (dicembre 2003) approfondisce quella situazione di disagio che si era già rilevata negli anni precedenti. Ma coglie anche i sintomi di nuovi sviluppi che potrebbero portare a un cambiamento.
Lanalisi rivela un rifiuto, inespresso ma nitido, di molte mitologie dominanti. «Il disormeggio dalla coazione a parlare solo di sviluppo e declino non ha portato a un processo regressivo, anzi ha in qualche modo incubato una ricca logica di impegni e comportamenti individuali e collettivi».
Insomma qualcosa sta cambiando. In una cultura sempre più disancorata dai valori che appaiono, ma non sono, prevalenti le persone stanno prendendo coscienza della loro capacità di essere e di agire. (Alcune osservazioni a questo proposito si trovano in un articolo che avevo pubblicato nel settembre 2002 Larca di Noè e in due dellottobre-novembre 2003: Facciamo un passo indietro e Le ambiguità dellinnovazione.
Il rifiuto della abbondanza come valore assoluto e fine a se stesso è un fenomeno che non deriva solo dallattuale percezione di rincaro dei prezzi, ristrettezza economica, incertezza e disagio. È una tendenza più profonda, che non esiste solo in Italia. Si manifesta, in un modo o nellaltro, in tutte le economie più ricche.
Nella fase iniziale di uscita dalla povertà, di espansione dei consumi, prevaleva il desiderio del more and more, più e più, labbondanza come valore e piacere in sé. Si è poi passati a una situazione più matura, in cui si bada alla qualità oltre che alla quantità (more and better, più e meglio).
Ora stiamo entrando in una terza fase, in qui la quantità comincia a essere percepita come negativa. Il valore è less and better, meno e meglio. In alcuni settori si comincia a capire che spesso less is better, meno è meglio. Non si tratta solo di quei casi, come lalimentazione, in cui è preferibile limitare la quantità (senza sacrificare il gusto). Ci sono altre situazioni (in particolare nelle tecnologie) dove le soluzioni semplici sono più funzionali (e più affidabili) di quelle inutilmente complesse. (Vedi Meno e meglio e Meno è meglio).
Non si tratta di pauperismo, di rinuncia o di una visione ascetica della vita, ma di una ridefinizione del concetto di ricchezza e di benessere.
Sta emergendo, rileva il Censis, «la maturazione a livello individuale verso unetica della responsabilità non più solo autocentrata (la responsabilità verso se stessi) ma sempre più relazionale, cioè unetica della responsabilità verso gli altri: verso i familiari, i collaboratori, i componenti della comunità».
Questo stato di coscienza accentua «lautonomia nei confronti anche dei temi che più seriamente attraversano il dibattito sociopolitico, i temi cioè del potenziale declino, della potenziale ripresa, del potenziale rilancio dello sviluppo ..... quasi la cultura collettiva avvertisse un bisogno intimo di non farsi imprigionare dalla depressione del potenziale declino, ma ancor più dal radicale bisogno di non restare intrappolata nella coazione a ragionar sempre del binomio alternativo sviluppo-declino.
Lautonomia della società arriva, in altre parole, a un lucido disormeggio dai vincoli di unitario sviluppo, di unitaria volontà e intenzionalità, di unitaria soggettualità collettiva, di unitario prometeico controllo del proprio essere e del proprio destino».
In conclusione «le grandi pur se silenziose novità di questo periodo portano a una società che vive un suo altrimenti più che una società destinata a inevitabile declino».
In altre parole, al di là e al di fuori delle grandi vicende di cui si parla (e spesso si straparla) nel sistema informativo dominante, qualcosa di nuovo, e di potenzialmente forte, sta maturando nella coscienza delle persone. Nasce da quelle che gli americani chiamano grass roots, le radici di uno sviluppo che non viene dallalto ma dalle basi dellumanità e dalla profondità delle coscienze.
Non mancano, nellanalisi del Censis, osservazioni di motivata durezza sulla sempre più profonda sconnessione fra la realtà della vita e il sistema massificato dellinformazione.
«Non cè dubbio che, in questo momento, la società italiana abbia bisogno e diritto di dare voce a quel che sta sperimentando nel suo interno, visto che la sua dinamica profonda è continuamente rimossa e distorta da quel mix di operatori politici e della comunicazione che ci siamo ormai adattati a considerare classe dirigente. Il loro dominio porta infatti a rimuovere la dinamica sociale ingabbiandola nellattualità, nellaffanno a breve, nella dialettica falsamente radicale fra parti contrapposte, nel pettegolezzo di retroscena o di corte, nella grossolanità del render tutto spettacolare, nella sostanziale tentazione ad una autoreferenzialità che sempre sottovaluta la realtà esterna».
«Una realtà sociale quindi rimossa, distorta, non interpretata, neppure descritta in termini di rappresentazione collettiva. E non può allora sorprendere che una tale realtà lentamente finisca per mettere in moto una progressiva autonomia nei confronti dei caratteri autoreferenziali e spettacolari del dibattito sociopolitico, ormai sopportati senza neppure voglia di reagire (in fondo recite e retroscena non dispiacciono più che tanto se se ne sconta in anticipo la futilità)».
Perciò «In questa cultura che si evolve silenziosamente, e con poco apparire, verso un nuovo sistema di valori, si approfondisce il solco fra la realtà della vita, individuale e collettiva, e la rappresentazione che se ne dà nel teatro sempre più isolato e autoreferenziale dei sistemi di potere e dei grandi apparati dellinformazione».
La crisi dei mass media, con le loro sempre più gigantesche concentrazioni, lintrico dei giochi di interessi e di potere, lintrinseca e crescente lontananza dalla realtà e dai fermenti significativi della cultura umana, porta a quel declino che dieci anni fa Michael Crichton, inspirandosi al tema del suo libro più noto, definì mediasauri. Ma non è ancora chiaro, nella crescente molteplicità degli strumenti di informazione e comunicazione, come possano evolversi in modo meno giurassico o che cosa li possa sostituire.
La quantità di informazione disponibile continuamente crescente. Ci avviciniamo a quel paradosso dellinfinito che Jorge Luis Borges definì biblioteca di Babele. Continuano a crescere anche le risorse di comunicazione personale. Il fenomeno della congestione informativa è noto e studiato da almeno un secolo, ma ha assunto dimensioni che superano le previsioni più azzardate. E intanto siamo caduti in un inatteso fenomeno di congestione comunicativa.
Allabbondanza di strumenti si unisce una sostanziale povertà di contenuti. Cè una crescente concentrazione. La gerarchia delle informazioni è sempre più centralizzata. In parte per una precisa volontà di predominio, ma largamente anche per la passività del sistema, che tende sempre più a essere ripetitivo e omogeneo. Notizie, interpretazioni, prospettive, commenti, opinioni tendono ad aggregarsi intorno a un unico modello di linguaggio, di cultura e di contenuti.
Si pone per tutti (i meno abbienti come i più abbienti di informazione) un duplice problema. Da un lato, come destreggiarsi nella sovrabbondanza di materiale disponibile. Dallaltro, come andare oltre la superficie per cogliere informazioni, notizie e scambi personali meno generici e più significativi.
In termini storici e di evoluzione culturale (con tempi che si misurano in decenni o generazioni, non in mesi o anni) questo è un problema nuovo, che non abbiamo ancora imparato a capire e gestire. E tende a complicarsi continuamente perché levoluzione dei sistemi e degli strumenti è più veloce della capacità umana di governarli.
Cinquantanni fa, quando stava per nascere la televisione, lItalia non era solo un paese povero dal punto di vista economico, ma anche povero di informazione e di comunicazione. Cera un livello elevato di analfabetismo. Libri, giornali e telefono erano il privilegio di pochi. Neppure la radio era disponibile a tutti. La situazione è profondamente cambiata, anche se rimangono quelle diversità che i rapporti del Censis aiutano a definire e approfondire.
Il mondo dei sistemi di comunicazione e di informazione è un magma turbolento in cui ci sono state, e potranno ancora esserci, sviluppi inaspettati e i cui i ruoli si mescolano con conseguenze in gran parte imprevedibili. Per capire levoluzione in corso occorre, come fanno gli studi del Censis, porre al centro dellanalisi i veri protagonisti: le persone, le famiglie, le comunità umane.
Allargare la gamma delle risorse è utile, se non necessario. Ma la congestione informativa costringe a scegliere. Non solo quali strumenti usare, ma anche come. Quasi senza accorgersene, persone e famiglie di fatto stabiliscono una scala di priorità. Spesso in modo un po troppo passivo determinato dallabitudine e dallimitazione.
La crescente molteplicità di strumenti non crea solo una congestione con conseguenti crisi di rigetto, già visibili in alcune situazioni. Pone anche a ciascuno la responsabilità delle scelte. A ognuno per il proprio consumo personale. E a chi ha la responsabilità di altri (genitori, educatori, fornitori di informazione) per il modo in cui orientano il comportamento dei loro discepoli.
LOttocento, secondo gli illuministi, doveva essere il secolo dei lumi, il dominio della ragione. Fu il secolo della rivoluzione industriale, del dissanguamento dellEuropa in guerre sempre più di massa, dei conflitti sociali e delle indipendenze nazionali, fra cui quella italiana. Il Novecento doveva essere, in quella visione che si celebrava in teatro con il Ballo Excelsior, il secolo del progresso, del riscatto dalloppressione, della sconfitta delloscurantismo. Come sappiamo, le cose non sono andate proprio in quel modo.
Saranno gli storici del futuro a dirci se il ventunesimo secolo vedrà davvero fiorire la società dellinformazione, della comunicazione, dellintelligenza liberata, della ricchezza di diversità e delle libertà individuali. Ma a determinare quel percorso non saranno le risorse tecniche. Né la carta e linchiostro, né i processori elettronici, né il networking, né i telefoni o le comunicazioni satellitari né qualche altra tecnologia che potrà avere, in modo scarsamente prevedibile, una larga diffusione. Tutto dipenderà dai comportamenti e dallo stato di coscienza delle persone.
Questo è limpegno che dobbiamo affrontare, con strumenti che non avevamo mai avuto prima, ma (almeno finora) senza unadeguata capacità di usarli. Le meraviglie del possibile sono affascinanti, ma i risultati dipendono, oggi più che mai, dalle risorse umane.