Nellottobre 2002 un articolo in questa rubrica
riguardava le bizzarrie dei domain
alcune stranezze nella definizione delle sigle
nazionali o di categoria
che raggruppano i domain internet cioè i nomi
(indirizzi) che identificano i siti web e altre attività in rete.
(Come, per esempio, .it
per lItalia o .com
per attività commerciali).
Ero ritornato sullargomento
nel settembre 2005, con un aggiornamento nellagosto 2007.
Vale la pena di riesaminare, con dati più aggiornati, la
stessa situazione? Si, per due motivi.
Perché, se il quadro fosse cambiato, sarebbe
doveroso costatarlo. Ma non lo è.
E non è meno significativo rilevare che è
sostanzialmente tutto come prima, con alcune
differenze e sviluppi che non modificano il significato della situazione.
Laltro motivo è che, assurdamente, si continuano
a ripetere elaborazioni insensate su questo tema e si continuano
a sprecare energie in interminabili dibattiti su decine o centinaia di
ipotesi per la creazione di nuovi top level domain di cui si è
ampiamente dimostrata, nei fatti, linutilità
a scapito di altre valutazioni che sarebbero molto più utili
per capire come cresce la diffusione della rete e come si possa
estenderne luso in quelle ampie, parti del mondo in cui
lattività online è ancora molto scarsa
(vedi dati internazionali)
e in quelle aree sociali e culturali che sono ancora oggi
depresse anche nei paesi più evoluti (in
particolare in Italia).
A sette anni di distanza, la situazione non è
cambiata. Continuano i tentativi di proporre e vendere soluzioni
più o meno disparate o bizzarre, ma con scarso esito.
Questo accade anche in molti altri modi, con lattenzione concentrata su presunte o poco rilevanti novità, trascurando i valori (e i problemi) che sono, da sempre, essenziali nella rete come in ogni forma di comunicazione umana.
I cosiddetti nuovi top level domain
continuano ad avere scarsissimo successo. Il totale di host
internet che risultano attivi su questo genere di TLD
nel giugno 2009 è poco più di 200.000. Cioè meno di quanti ne ha l'Islanda (con 300.000 abitanti). È lo 0,03 % su 681 milioni
la stessa percentuale di sette anni fa.
Sette anni fa cerano ottomila host su quello che sembrava
il più importante, .biz
e ora (come due anni fa) sono meno di 60 mila. Nonostante la (relativa) crescita,
rimangono pochissimi rispetto (per esempio) ai
.com,
che sono 140 milioni. In pratica la sigla biz somiglia più
a bizzarro che a business.
Cè qualcosa di più per
.info, con una crescita
(in sette anni) da 5.600 a 210.000 (ma sono trascurabili rispetto a 225
milioni .net).
Dalla presenza di 18.000 host su
.int si deduce
che questo TLD (esistente da parecchi anni)
è molto raramente usato da organizzazioni internazionali.
Sembrano un po aumentati i
.coop (23.800) .travel (4.800)
.name (3.200)
.aero (1.900) .mobi
(1.070).
Ma si tratta di numeri estremamente piccoli in confronto alla
dimensione generale dellinternet e anche alle
specifiche attività online riguardanti le cooperative, i viaggi,
laeronautica o qualcosa di mobile o ai molti milioni di di domain
riferiti alle identità (nomi) di persone.
Sono infinitesimali nel caso di
.pro (230)
.jobs (70)
.museum (37). Sono
tante, e in aumento, le attività in rete riguardanti professioni, musei,
offerta e ricerca di lavoro. Ma quasi nessuno si
serve dei TLD proposti per identificare le
categorie di attività. Ci sono 46 host su
.tel un inutile
TLD che qualcuno pensava potesse interessare
agli operatori della telefonia o delle telecomunicazioni.
In sostanza, la disponibilità di questi nuovi
TLD, immaginati e proposti come
importanti per lo sviluppo della rete, si è rivelata
inutile e irrilevante e chi pensava di potersi arricchire
con il loro commercio è rimasto molto deluso.
Nove anni fa (quando, nel 2000, avevo scritto
La batracomiomachia dei domain vedi più
avanti) ero caduto anchio nellerrore di credere che
potessero servire alcuni nuovi tld. Ma dai fatti
si è imparato che sono inutili. Se allora si poteva pensare
che fosse ragionevole una sperimentazione con due o tre (per
verificare se servissero davvero a qualcosa) è comunque
inconcepibile una farraginosa proliferazione che, oltre a essere
fastidiosamente inutile, potrebbe diventare dannosa se, come alcuni
vorrebbero, si trasformasse in tentativi di classificazione
e controllo, cioè di censura dei contenuti.
Intanto circolano altre ipotesi di cui è difficile prevedere
lesito. Le richieste di un TLD per le cose
dedicate al sesso (.sex
o .xxx) e uno per
i bambini (.kid o
.kids) hanno avuto
scarse adesioni e, almeno per il momento, idee di quel genere sembrano abbandonate (anche se pare che il parlamento europeo abbia avuto tempo
da perdere con quisquilie di questa specie). Sono esempi, fra tanti, di come
si continui a sbizzarrirsi con svariate ideuzze prive di reale utilità.
Ci sono anche storie buffe, come un ipotetico
.cul
per unindefinibile (o presuntuosa?) categoria cultura,
che suscita una certa ilarità da parte di chi sa il francese (e anche
in italiano e spagnolo lascia qualche perplessità).
Si è discusso per anni su un top level domain europeo
(.eu) che si è
realizzato nel 2006. Ci sono state dichiarazioni trionfalistiche su oltre
due milioni di registrazoni (che comunque non sarebbero molte rispetto allo sviluppo dellinternet in Europa) ma nel 2009 su domain
.eu
risultano attivi 118.800 host internet. Meno del hostcount
di Cipro 0,07 % dellUnione Europea.
Milioni di
registrazioni o sono una favola, o sono difese legali
da parte di imprese e persone che non hanno motivo di usare quel
TLD, ma preferiscono impedire che qualcun
altro lo usi con il loro nome. Anche altre iniziative di questo genere
sono servite, più che altro, a dare lavoro agli avvocati.
È bizzarro che a qualcuno sia venuto in mente di inventare un
TLD .asia
(ma non per altri continenti) e che quella sciocca idea sia stata realizzata.
Alla fine del 2007 risultava presente un solo host internet
così identificato. Pare che nel 2009 siano 420 un
numero infinitesimale rispetto a 82 milioni in Asia.
Non è meno bislacca la proposta di alcuni catalani di separarsi
dal .es spagnolo
con un .cat che li identifica
come gatti. Anche questa stupidaggine si è realizzata, ma con
scarsissimo esito: mille host con quella identificazione, rispetto
ad alcuni milioni attivi in Catalogna. Speriamo che questo fallimento
possa far diminuire il rischio di scatenare una proliferazione di
identità regionali, etniche, provinciali o campanilistiche, che
potrebbe provocare ogni sorta di conflitti in varie parti del mondo.
Intanto lICANN (Internet
Corporation for Assigned Names and Numbers), cioè
lautorità che gestisce il domain name system,
a quanto pare ignara di questi fallimenti, si è persa in interminabili,
complicati e futili dibattiti sulla possibile istituzione di altri nuovi,
quanto inutili, top level domain destinati a definire
categorie di attività o di argomento mentre
è stata meno sollecita di quanto avrebbe dovuto nel prendere atto
di cambiamenti nelle identità nazionali.
Per esempio il Montenegro, indipendente dal 2006, dal 2007 ha un proprio top-level domain .me che si è cominciato a usare alla fine del 2008. Anche per la Serbia è stato necessario trovare
un TLD diverso dallormai superato
.yu
di Yugoslavia. Ma il Il TLD
.rs si è realizzato solo nel 2009. Per tutti e due la procedura è stata molto lunga e la conversione è ancora incompleta.
I venditori di bizzarrie sono tornati in azione con
la bislacca idea di usare
.me
nel senso di a me, ma in tutto il mondo ci sono tremila host di quel genere (metà di quanti ne ha la repubblica di San Marino). È probabile (e sperabile)
che anche questa stupidaggine continui ad avere scarso esito, come è
accaduto finora con altre fantasie dello stesso genere.
In sostanza la definizione di nuovi suffissi nazionali
è una necessità, non sempre tempestivamente soddisfatta,
quando ci sono cambiamenti nella situazione geopolitica. Per il resto,
le proposte tematiche (comprese quelle già
insensatamente attuate) sono inutili e anche pericolose quando
rischiano di diventare strumenti di censura o di discriminazione culturale.
Da qui in avanti il testo è simile a
quello
che avevo pubblicato nel 2007 (con alcuni aggiornamenti).
Può
essere utile ai lettori che non conoscono
o non ricordano la versione precedente.
Per quanto riguarda i TLD nazionali usati
per assonanza fuori dal loro territorio, in base a un
significato attribuito alla sigla, anche questa è unidea
con cui molti pensavano di arricchirsi, ma ha avuto scarso esito.
Cè un solo caso verificaible in cui una cosa di
quel genere è accaduta davvero (ma in dimensioni poco rilevanti). Ci sono 103.000 host su
.tv
tanti per Tuvalu, un minuscolo arcipelago in Polinesia, pochi
per le emittenti televisive di tutto il mondo.
Per gli altri... praticamente nulla. Uno dei primi a essere proposti,
parecchi anni fa, per questo genere di utilizzo fu
.to (Tonga)
ma si tratta di 20.000 host, tutti attribuibili ad attività
locali (e non sono aumentati negli ultimi cinque anni).
Sono 14.000 quelli su .ws
(Samoa) che, per quanto si può constatare, nessuno usa nel senso
di website (i siti web sono 240 milioni). Anche altri improbabili tentativi
di vendere domain su TLD territoriali come
se fossero tematici sono miseramente falliti. Nel caso di
.fm
(è della Micronesia, ma si immaginava che potesse interessare a
unemittente radiofonica) ci sono mille host (pochi
per 110.000 abitanti in un esteso arcipelago). Sono tremila (e sono in Africa)
quelli su .cd
(Congo) che qualcuno voleva proporre nel senso di compact disc.
Circa 160 su .sr
(Suriname) che si immaginava potesse significare senior. Eccetera...
Come dicevo nove anni fa (aprile 2000) in La
batracomiomachia dei domain, se qualcuno abita a Torino
può divertirsi ad avere un domain
.to registrato a Tonga, se sta
a Napoli può cercare un .na
in Namibia. Un fiorentino può trovare un ottimo servizio
su un .fi in Finlandia...
un romano si può registrare in Romania, un palermitano a Panama,
un veneziano in Venezuela, un bolognese in Bolivia... eccetera... mentre
a Varese la cosa è difficile, perché è arduo ottenere
un domain vaticano e a Milano è impossibile, perché
un .mi non esiste (e .mil è riservato alle attività militari americane).
Naturalmente scherzavo, ma tutta la faccenda (insensatamente dibattuta)
dellistituzione di nuove sigle si è rivelata un gioco poco
divertente e un inutile perditempo e così luso
di TLD nazionali in base a un presunto significato.
Alcuni lettori mi hanno chiesto se sulla crescita del numero
di domain .it
(e perciò di host italiani) possa
influire luso di quel suffisso da parte
di stranieri (giocando, qualcuno immagina, sul significato di
it in inglese). La risposta si trova in uno studio
dellIstituto di Informatica
e Telematica del Cnr di Pisa da cui risulta che i domain
.it
attribuibili a utenti di altra nazionalità
alla fine del 2005 erano 22.000 cioè il 2 %
del totale (non cè motivo di pensare che negli anni seguenti la percentuale sia aumentata). Si conferma così che il fenomeno, nel caso
dellItalia, è irrilevante. (Sono probabilmente due
o tre volte tanti gli italiani che usano top-level domain diversi da
.it).
Fra le bizzarrie cè anche la grottesca
vicenda del fallimentare tentativo di trasformare la sigla
.it in un orribile
marchio e in un faraonico quanto inutilizzabile sito web.
Vedi Povera Italia.it.
Un caso curioso è quello di .nu
(Niue). Unisoletta nel Pacifico con duemila abitanti e quasi 400.000 host
internet. Ovviamente quelle attività non hanno sede nellisola.
Infatti sono quasi tutte in Svezia (poche in Danimarca, Olanda e Belgio).
La bizzarra vicenda cominciò più di dieci anni fa. Qualcuno
nellisola decise di fare un gioco, un po alla maniera di chi
fa una pizza gigante o una gara di mangiatori di salsicce per entrare nel
Guinness dei primati. Lintenzione dichiarata era
diventare il secondo TLD mondiale
dopo .com
(lidea è sbagliata, perché sono di più
i .net, ma quello
è un altro discorso).
Lofferta piacque a qualcuno in Svezia, che per
qualche motivo aveva difficoltà a registrare un domain
.se (non sembra rilevante
il fatto che nu in svedese vuol dire nuovo).
Fu introdotta anche qualche facilitazione tecnica, come
la possibilità di usare lettere accentate (che nella maggior parte dei
TLD, compreso quello italiano, non sono possibili
per esempio il domain stupidita.it
è registrato senza accento).
Lorigine di questa vicenda ormai è dimenticata ed
è tramontata fin dallinizio lazzardata ambizione di poter competere
con i milioni di domain su altri TLD. Ma
rimangono in uso (e continuano a crescere) i .nu
in Svezia, che sono un po più del 10 % rispetto a 3.900.000
host su .se
cioè relativamente pochi, ma molti più di ogni altro caso
di sigle straniere usate in qualsiasi parte del mondo.
Un altro risvolto bizzarro di questa vicenda è che il governo di Niue si rifiuta di usare
un domain .nu
ed è registrato come
niuegov.com (cosa
ovviamente impropria perché non è commerciale).
Pare che in Svezia i siti o servizi su .nu
siano considerati meno affidabili di quelli su .se.
E si dice che qualcuno in Russia abbia usato un domain
.nu per proporre immagini
di donne svestite, in base a unassonanza con il francesismo
nu per nudo (ma in realtà sono
chiacchiere o dettagli irrilevanti).
È solo un aneddoto curioso. Ma sono molto più
sciocche tante altre vicende che si propongono come se fossero
chissà quali invenzioni e innovazioni per poi (dopo aver
provocato un po di inutile confusione e forse sottratto un
po di soldi a qualcuno che ha commesso lerrore di crederci)
cadere nellaffollato dimenticatoio dellinutilità.
In fatto di host e domain, può essere
interessante cogliere un altro segnale, che smentisce gli
uccelli del malaugurio a proposito di unimmaginaria
morte dellinternet libera o gratuita
(come la per fortuna in diminuzione, ma stranamente ancora diffusa, opinione che tutto
in rete sia su punto com).
Naturalmente cè molta confusione: ci sono
attività commerciali che non hanno il suffisso
.com e
ci sono attività su puntocom che non sono
commerciali o che, anche se lo sono, offrono accesso libero
e informazioni gratuite.
Ma se guardiamo i grandi numeri di host
su TLD per categoria (prevalentemente,
ma non esclusivamente, americani) vediamo che su
.com sono
140 milioni, mentre in aree non commerciali (come
.net
.edu
.org eccetera)
sono più più del doppio. (Anche nei piccoli
numeri dei nuovi TLD
cè unanaloga differenza: i
.info sono
il triplo dei .biz).
Per quanto rozzo possa essere questo criterio
di valutazione, non è privo di significato.
E anche altri tipi di analisi confermano che sono
predominanti in rete le attività con accesso libero
e aperto a tutti. Non solo non sono moribonde, né
malate, ma sono in continua e vigorosa crescita.
Unoccasione in più per confermare un concetto
tante volte ribadito in queste pagine. La rete funziona e si sviluppa
quando e dove è libera e aperta. E questo conviene anche
alle attività commerciali, o comunque dimpresa, che
funzionano molto meglio quando si collocano (senza tentare di
opprimerlo o condizionarlo) in un fertile terreno di libero scambio
umano e culturale. Nellinternet come in ogni altro sistema
di comunicazione e di convivenza civile.